martedì 7 febbraio 2012


Evitare che i Malati Diventino Assassini di Vittorino Andreoli - Corriere della Sera, 07 Febbraio 2012

La società chiede che i malati siano curati e non che divengano assassini, semplicemente perché malati. E soprattutto la società chiede che non si mettano in libertà persone pericolose che, uscite dal sistema penitenziario subito reiterino il reato e creino vittime. È un caso che ci interroga quello di Milano, ed è un dolore enorme vedere che la psichiatria, non curando adeguatamente, "produce" danno sociale. Ho passato molto del mio tempo nelle carceri e nei manicomi criminali e ora sogno finalmente di entrare, senza dovermi vergognare, in Istituti qualificati per fare della psichiatria scientifica, per applicare il sapere della indagine criminologica che significa sempre anche chiudere gli sproloqui vani dei cosiddetti psichiatri o criminologi da tribunale.
La legge che oggi si discute alla Camera dei deputati e che chiude i manicomi giudiziari si colloca in questo ambito. Sapere che dal 31marzo 2013 non risulteranno più dentro la storia della psichiatria italiana — sempre che i deputati la approvino come ha fatto già il Senato e senza modifiche — è una buona notizia per me psichiatra e per i 1.400 ospiti che vi sono rinchiusi. Perché questa è una legge che impedirà di riempire la cronaca di fallimenti psichiatrici.
Non vedo questo giorno come il prolungamento di quello del maggio del 1978 quando il Parlamento chiuse i manicomi " civili". Sapevo allora che la psichiatria può vivere senza manicomi , ma non senza predisporre delle misure alternative, più umane innanzitutto, ma soprattutto più efficienti e più rispondenti ai bisogni dei pazienti e alla sicurezza della società, e queste non vennero promulgate. Erano allora prevalse esigenze ideologiche, non la scienza.
La legge sulla chiusura dei Manicomi giudiziari non si limita a chiudere, ma ad aprire delle piccole strutture in ogni Regione con carattere non più custodialistico, ma curativo. Che si tratti di luogo di detenzione lo dimostra l'uso non solo della chiusura dei pazienti dentro un ambiente «carcerario», ma il fatto che molti ricoverati vengono «legati». Il passaggio dalla contenzione alla terapia è stato per molti anni il sogno di noi psichiatri e continuerà a esserlo finché questa «violenza terapeutica» non sarà totalmente cancellata.
Questa legge prevede dei luoghi regionali che stando al numero di degenti occuperanno mediamente 50-70 persone. Permettendo di sostituire le cinque strutture attuali per uomini e l'unica per le donne. Le strutture saranno curative e per esserlo devono giungere a una diagnosi e dunque utilizzare tutto il sapere medico e psichiatrico per farlo. Un risultato importante, se solo si pensa che adesso questi malati vengono «valutati» in tribunale, dove la psichiatria è addirittura vergognosa, poiché sovente mostra di adattarsi alle parti e non di attenersi ai criteri scientifici. Gli ospiti delle strutture che stanno per essere chiuse sono soggetti che hanno compiuto un reato punibile penalmente, ma per il quale nasce, nel corso del procedimento giudiziario, il dubbio che si tratti di malati di mente che, nella formula giuridica, significa «totalmente o parzialmente incapaci di intendere e/o di volere». Casi che se curati avrebbero evitato quel comportamento, e se curati adeguatamente potrebbero almeno non ripeterlo. E qui si pone la questione della pericolosità. Noi sappiamo che la malattia di mente non incorpora necessariamente la pericolosità sociale: questo principio è stato sancito dalla legge 180/1978 ed è un grande risultato, ma sarebbe un errore affermare che il disturbo mentale non è mai pericoloso. In certe malattie (poche) la pericolosità è un sintomo che dunque si lega al disturbo mentale, e sarebbe gravissimo dimenticarsene o volerlo negare ideologicamente. Pertanto la procedura penale deve considerare la pericolosità e deve poter inviare la persona sotto giudizio in un luogo in cui far valutare attentamente e scientificamente questa ipotesi. Come accade già nel mondo più avanzato, negli Stati Uniti per fare un esempio.

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