IDEE/ Aborto ed eutanasia, la "sana" lezione di Engelhardt ai
cattolici Antonio Allegra, lunedì 6 febbraio 2012, http://www.ilsussidiario.net/
Tristam Engelhardt è uno dei più
noti bioeticisti contemporanei; ed è, inoltre, un autore per certi versi
inclassificabile all’interno del panorama spesso così polarizzato di questa
disciplina. Personalmente, è un cristiano (un ex cattolico convertito
all’ortodossia); ma sostiene (in un senso ambiguo, come spiegherò più sotto, e
dunque tutto sommato anche più sgradevole di quello di un Singer) la liceità di
aborto, eutanasia, o anche infanticidio.
Tra l’altro, questo carattere
delle sue proposte dovrebbe suggerire una salutare diffidenza nei confronti
della stucchevole distinzione, soprattutto italiana, tra “bioetica laica” e
“bioetica cattolica”: come se dalle posizioni in termini di appartenenza
religiosa, o meno, derivasse direttamente una posizione filosofica, e come se
un bioeticista che è anche un cattolico si ponga su un piano diverso
(superiore? o inferiore?) rispetto a un bioeticista “laico”: in realtà un buon
argomento filosofico come tale non è “cattolico” né “laico”.
Ora cerchiamo appunto di vedere,
sia pure nei limiti di poche righe, se Engelhardt ha buoni argomenti. Egli ha
appena pubblicato un volume per le edizioni Le Lettere, dal titolo Viaggi in
Italia. Saggi di Bioetica, e ha in corso una serie di conferenze e
presentazioni nel nostro paese. E in questo quadro un suo intervento è apparso
pochi giorni fa sulla Stampa (inserire link). Si tratta di un articolo molto interessante
perché consente di capire la radice delle sue discusse posizioni. Egli vi
sostiene la situazione di radicale infondatezza delle valutazioni morali, nel
contesto culturale contemporaneo. Questo è segnato difatti da una crisi di
fondamenti metafisici, che lascerebbe alla prospettiva religiosa il compito di
istituire principi come l’eguaglianza o la libertà o l’autonomia. Può solo
essere Dio ad aprire un ambito di valori non condizionati, in virtù
dell’affermazione di un ordine che deriva da una fonte superiore anziché troppo
umana. In realtà, però, in un quadro in cui anche la prospettiva trascendente è
andata in crisi, sembra che più nulla possa determinare ragioni fondanti e
condivise per tali valori.
Tutto ciò viene argomentato in
particolare nei confronti di Richard Rorty, che ha sostenuto in testi molto
noti la “priorità della democrazia sulla filosofia”, per riprendere il titolo
di uno di questi. Per Rorty ciò significa che i valori di una comunità come la
nostra, per quanto “fondati” (tra virgolette) solo a livello di vocabolari
contingenti e condivisioni storicamente date, godrebbero di una cogenza
autonoma rispetto alle pretese fallimentari della filosofia.
Engelhardt ha il merito non da
poco di dissipare questa frequente illusione. L’articolo è molto chiaro e utile
in questo senso; e sottolinea in maniera efficace che alcuni principi legati
all’immagine che abbiamo dell’uomo e delle sue pratiche possono trovare il loro
fondamento decisivo solo nel riferimento al trascendente. Ma appena si conoscono
le conseguenze che l’autore americano ricava da questa visione nella sua opera
complessiva, sembra che il rimedio engelhardtiano sia peggiore del male
rortyano. Il fatto è che la perdita dell’“ancoraggio in Dio o nell’essere” non
è solo il fatto cruciale che determina l’attuale panorama etico e culturale,
ciò su cui ha pienamente ragione; ma è colto da lui come un dato radicalmente
insormontabile che produce una sostanziale equivalenza delle opzioni etiche. Il
richiamo al fondamento trascendente diviene paradossalmente l’occasione per
sostenere, una volta affermata la sua sostanziale eclissi, la liceità di
comportamenti come l’infanticidio: ormai, solo entro una certa forma culturale,
per così dire, può avere senso la negatività dell’aborto o dell’infanticidio.
Diventa pertanto invisibile la possibilità di una negatività essenziale. La
difficoltà a procedere in un quadro pluralista che ha rinunciato ai fondamenti
filosofici, e le conseguenze incongrue che ne derivano, sono evidenti proprio
grazie alle specifiche posizioni di Engelhardt: pur affermandone personalmente
la negatività, egli sostiene la liceità delle pratiche in questione. Da un
punto di vista puramente secolare, infatti, né feti né neonati sarebbero,
ritiene Engelhardt, pienamente persone.
Insomma l’autore americano parte
dall’“evidenza” del pluralismo etico per derivarne non solo l’accomodamento ad
esso ma tutto sommato anche una pigra neutralità. Ne derivano interessanti
corollari: Engelhardt non ritiene che pratiche come l’aborto debbano essere
finanziate con soldi pubblici, nella misura in cui sono controverse e dunque
non neutrali; e in maniera affine difende l’obiezione di coscienza nelle
professioni sanitarie. Ma la sua posizione resta caratterizzata da un
minimalismo teorico sconfortante.
Nonché da una consistente
ambiguità, come si diceva. Se da un lato Engelhardt a più riprese ha sostenuto
di diagnosticare semplicemente tale situazione che rende impossibile affermare
idee di negatività o positività essenziali, e non di encomiarla, la sua analisi
si presta ad una ovvia difesa del pluralismo etico di tipo indifferentista. È
una lezione da meditare: egli affida alla religione tutto il carico
argomentativo, ma nel quadro della società contemporanea la conseguenza non può
che essere quella che egli osserva, ossia che chi non crede nel messaggio
divino farà più o meno quello che crede utilitaristicamente opportuno, senza
che gli altri o la legge morale possano davvero interferire.
In uno scenario in cui il
riferimento a Dio appare spesso difficile, rinunciare alle armi della
razionalità è mossa dalle conseguenze ulteriormente devastanti, come il
panorama contemporaneo non si stanca di ribadire. La posizione di Engelhardt
andrebbe utilizzata per argomentare in favore di una ripresa di tali fondamenta,
più che come motivo di rassegnata accettazione dello status quo come egli fa:
una lettura radicale potrebbe in effetti osservare che davvero l’infanticidio è
una conseguenza possibile dell’abbandono delle radici trascendenti. Se
veramente oggi è diffuso lo scetticismo nei confronti dei fondamenti metafisici
e religiosi, ciò forse andrebbe contestato più che accettato come un esito
ineluttabile. Non mancano pensatori che ammettono la crisi, ma ritengono di
replicare ad essa secondo una rinnovata ambizione filosofica: proprio perché
l’alternativa di Rorty è singolarmente fragile, ma quella di Engelhardt è
potenzialmente disastrosa.
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