Protesi al seno, tra etica ed estetica, di Tommaso Scandroglio, 01-02-2012,
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La notizia tiene ormai banco da
qualche settimana: sarebbero intorno alle 4.000-4.300 le protesi al seno
difettose di marca Pip (Poly Implants Prothesis) vendute in Italia. La vicenda
fa sorgere una domanda di carattere generale e previa al brutto fattaccio di
cronaca clinica. Il quesito si pone in questi termini: quando è lecito dal
punto di vista morale intervenire sul nostro corpo per modificarlo?
Le tracce che seguiremo per
tentare di dare una risposta sono per lo più ipotesi che non sicuri assiomi veritativi.
O meglio: alcune indicazioni sono certe altre ci paiono degne di maggiore
riflessione futura.
Scopo terapeutico. Se intervengo
sul mio corpo al fine di curarlo l’azione è sicuramente buona. Lo scopo
terapeutico può essere volto da una parte per salvare la vita: l’intervento
potrà essere sia di tipo demolitivo (amputazione di un braccio per evitare che
la cancrena investa organi vitali), sia di tipo additivo (impianto di un cuore
artificiale a seguito a sua volta di un intervento demolitivo, come l’asportazione
del cuore o parte di esso malato). Oppure la modificazione del mio corpo può
essere mirata al fine di tutelare il bene salute: anche in questo caso
l’intervento può essere di tipo demolitivo (togliere le tonsille) oppure
additivo (poniamo mente alle protesi per eccellenza: gli occhiali). Quando c’è
un’azione additiva per uno scopo terapeutico, l’azione in genere ripristina una
funzione persa o messa in pericolo: pensiamo a cuori e arti artificiali, agli
occhiali etc.
Scopo estetico: ripristino della
funzionalità estetica. Analizziamo ora il caso di intervento per ripristinare
la completezza estetica di una persona. Il corpo umano ha una sua naturale e
dunque fisiologica completezza, non solo quindi funzionale di tipo meccanico
(come visto prima) ma anche estetico. Completezza che per quanto è possibile
deve essere conservata oppure, ed è il caso che ci interessa, deve essere
ripristinata. Tutti noi abbiamo due braccia, due occhi, un naso etc. Perderli o
menomarli reca un danno alla completezza della persona, alla sua armonia
estetica. Quindi nulla osta ad intervenire anche con protesi per ripristinare, non più la funzione
meccanica ad esempio di un arto perso, bensì la funzione estetica naturale,
cioè originaria, di una parte del nostro corpo ad esempio distrutta a seguito
di un incidente (sfondamento della cavità orbitale dell’occhio) oppure a
seguito di un’operazione chirurgica (mastectomia, cioè amputazione del seno ad
esempio a causa di una neoplasia), oppure mancante dalla nascita. Quindi semaforo
verde sul piano morale per la sostituzione dell’occhio ormai perso con uno
artificiale e per le protesi mammarie dopo un intervento chirurgico per
togliere un carcinoma al seno. In questi casi non si ripristina una
funzionalità meccanica: l’occhio artificiale non permetterà al paziente di
vedere, né il seno di secernere latte. Qui si ripristina una funzionalità
estetica naturale.
Scopo estetico: miglioramento
dell’estetica. Qui la materia inizia a diventare insidiosa. Procediamo per
gradi. Nel caso precedente abbiamo visto che l’intervento era volto a
reintegrare una parte del corpo persa al fine di ricostruire un’armonia del
corpo compromessa per incidenti, operazioni chirurgiche etc. Ora occupiamoci
invece del caso in cui non si agisce per ripristinare esteticamente una parte
del corpo persa, ma per migliorarne sempre dal punto di vista estetico una già
esistente. Due sono i criteri di liceità sotto il profilo morale. Un primo
oggettivo ed un secondo soggettivo.
Dal punto di vista oggettivo vi
sono imperfezioni fisiche che non compromettono la funzionalità degli organi o
degli apparati ma che non rientrano in alcuni standard previsti dalla
letteratura medica. Pensiamo ad una asimmetria tra le due orbite oculari (un
occhio un poco più alto dell’altro) ed altre anomalie simili. Le funzionalità
non sono compromesse e nemmeno si tratta di ripristinare parti del corpo andate
distrutte o mancanti geneticamente. Qui si tratta di eliminare un difetto
ritenuto tale dalla medicina attraverso la comparazione di parametri
scientifici: l’imperfezione è oggettiva. In questi casi l’intervento è lecito
dal punto di vista morale (ovviamente rispettando il divieto di accanimento
terapeutico, cioè di sproporzione tra mezzi impiegati e risultati sperati).
La questione diventa spinosa – ed
interessa il caso delle protesi al seno “per sentirsi più belle” – quando il
difetto è giudicato tale non più dalla medicina ma dalla persona medesima. Una
prima di seno non è un’imperfezione fisica oggettiva, ma può essere percepita tale
dalla donna. Quando allora è lecito intervenire per migliorare questi difetti
ritenuti tali dal soggetto?
Iniziamo ad eliminare criteri di
giudizio erronei. C’è chi afferma che gli interventi di mastoplastica additiva,
al di fuori dei casi menzionati prima, sono da rifiutare sul piano morale
perché alterano artificialmente l’aspetto di una persona. Se è per questo anche
il fondotinta e il rimmel lo alterano artificialmente. Anche lo sport e una
sana dieta sono strumenti assai artificiali per modificare il nostro corpo.
C’è chi aggiunge che gli
interventi di modificazione dell’aspetto sono morali allorchè valorizzano la
naturale bellezza della persona, non aggiungono nulla alla fisiologica bellezza
umana, come invece fanno gli interventi al seno (che tra l’altro possono essere
volti anche alla diminuzione del volume dello stesso). Ma sono due le obiezioni
a tal proposito. La prima: anche il fondotinta, a rigore, aggiunge qualcosa –
il materiale minerale di cui è fatto: titanium dioxide, mica, iron oxides, etc.
– alla naturale bellezza della pelle. Che dire poi delle extension per capelli
e ciglia? Sono sicuramente interventi additivi.
A tal proposito è da rigettare
anche la controreplica che un seno rifatto è per sempre e il fondotinta
no. A parte il fatto che la donna
potrebbe ad un certo punto decidere di eliminare la protesi, non si comprende
il motivo per cui un intervento di modificazione perenne è di per sé immorale
ed uno temporaneo è di per sé da accettare.
Seconda obiezione: valorizzare
significa, in questo ambito, o aggiungere un plus di bellezza ad una bellezza
già esistente, cioè aggiungere un valore estetico. E allora la critica non ha
ragione d’essere perché è autoconfutatoria. Oppure valorizzare significa
svelare, scoprire, mettere in risalto una bellezza sì già esistente ma un poco
velata. Ma allora perché così non potrebbe essere anche nel caso di un aumento
di taglia del seno? Non potrebbe essere un modo per dare risalto alla bellezza
di un seno naturale? Infatti non si aggiungerebbe un nuovo seno, sostituendolo
ad uno precedente, ma si valorizzerebbe, aumentandone le dimensioni, quello già
esistente.
La strada per comprendere quando
un’imperfezione fisica, percepita tale solo dal soggetto, può lecitamente
indirizzare ad un intervento di modificazione del proprio corpo – che va dal
rimmel ai seni rifatti – passa invece dalle motivazioni che spingono
all’intervento stesso. Se queste non sono etiche allora anche l’intervento non
lo sarà. Facciamo il caso di Tizio che ha un neo vistoso sulla punta del naso o
le orecchie a sventola: la medicina gli dirà che ciò rientra nei canoni
estetici. Ma la sua percezione sarà diversa: tutti appena lo guardano pensano a
quel neo o a quelle orecchie così brutte. E’ lecito l’intervento di miglioria?
No, se è dettato da vanità, da insicurezza, da manie di perfezionismo estetico,
etc. Sì, se è dettato dalla consapevolezza che ad esempio dal punto di vista
sociale la vita di Tizio ne avrà un sicuro giovamento. No, se sarà
un’ossessione: tutta la vita di Tizio dipende da quel neo. Sì se Tizio si dice:
“Anche se me lo tenessi non sarebbe un dramma”. Cioè dare al difetto il suo
peso reale, seppur relativamente all’esistenza particolare di Tizio.
Questo criterio però non deve
essere inteso in senso assoluto. Le motivazioni – quindi i fini soggettivi
perseguiti – che spingono all’intervento sono importanti, ma vi sono fini più
importanti che hanno la precedenza nella vita di un uomo. Spieghiamoci meglio.
Noi abbiamo il dovere morale di diventare sempre più belli. Una delle
motivazioni è di carattere etico: tutti noi per natura tendiamo al totale e
quindi anche fisico perfezionamento di noi stessi (tenuto ovviamente conto
delle contingenze: età, sostanze economiche, luoghi e tempi dove si svolge la
nostra esistenza etc.). Un’altra motivazione ha un suo fondamento
escatologico-teologico: noi qui sulla terra dobbiamo già tendere alla
condizione paradisiaca che vivremo – si spera – nell’Aldilà. In Paradiso
diventeremo bellissimi anche fisicamente una volta che il nostro corpo
risorgerà (alcuni di noi – ammettiamolo – saranno irriconoscibili). Nel Regno
dei Cieli non ci sarà posto per i brutti (nel senso che là tutti diventeremo
belli). Questo dovere morale però è contingente. Detto in parole povere tale
obbligo non è da soddisfare sempre e comunque, costi quel che costi. Ci sono
altri doveri più importanti che se entrano in conflitto con questo è bene
privilegiare. Così, tornando a Tizio, se l’operazione di asportazione del neo
sottraesse risorse economiche preziose ai suoi cari, dovrebbe rinunciare
all’operazione oppure rimandarla. Se si incaponisse significherebbe che le sue
motivazioni non sono limpide dal punto di vista etico.
Quest’ultimo passaggio ci
permette di argomentare intorno al problema della chirurgia estetica. Il più
delle volte albergano nelle menti delle donne e degli uomini che si
sottopongono a questi interventi motivazioni non eccelse: mancanza di
accettazione di sé, disistima, vanità, immaturità, sindrome da fashion victim,
superbia, classismo, etc. Le spese ingenti, il carattere di intrusività, la
complessità dell’intervento, i rischi paventati sono tutti ostacoli i quali, se
si vogliono superare, mettono in luce che le motivazioni soggiacenti sono per
lo più non apprezzabili sotto il profilo morale. Insomma: ci si tiene troppo a
questo seno rifatto, ergo, anche solo inconsciamente, si punta tutto su questo
sperando una svolta significativa nella propria vita. Ma sappiamo bene che il
problema si sposterà più in là: non è con un seno più grande che si diventerà
più sicuri nelle relazioni con gli altri. Ed infatti dopo questa prima
operazione poi ce ne saranno altre che interesseranno nasi, bocche, zigomi,
etc. L’accettazione di sé germina non nel proprio seno ma sotto e sopra ad
esso, cioè nel cuore e nella testa di ognuno di noi.
Quindi in teoria l’intervento per
rifarsi seno, bocche etc. di suo non è immorale, ma può diventarlo per le
motivazioni che spingono ad esso.
Questo rimane vero anche per
quelle azioni meno intrusive sempre di carattere estetico: i trucchi per le
donne, le tinte, i profumi etc. così anche per le attività sportive. Se
diventano atti di idolatria di noi stessi anche questi semplici gesti non sono perfetti
dal punto di vista morale.
Un ultimo e suggestivo capitolo
riguarda l’ipotesi fantascientifica – perché allo stato dell’arte di questo si
tratta – di intervento per alterare geneticamente il nostro patrimonio
cromosomico. Quando è lecito? Oltre che ovviamente per motivi terapeutici,
anche per finalità funzionali ed estetiche di carattere migliorativo. Dal punto
di vista funzionale: se per ipotesi si potesse intervenire geneticamente per
essere più forti, più resistenti alle influenze, per avere una memoria più
estesa ciò sarebbe lecito (così come lo è ora mangiando pesce). Dal punto di
vista estetico: se, sempre pensando in modo futuribile, potessimo debellare la
calvizie intervenendo sul nostro DNA ciò sarebbe ugualmente lecito. E quando
non si tratta di migliorare una funzione o un tratto estetico ma di sostituirne
una presente con un’altra equipollente? Non è un problema morale, nel rispetto
dei criteri prima elencati, che le donne si tingano i capelli e che da uno
scialbo castano ad esempio si passi ad un biondo platino, o che qualcuno si
metta lenti a contatto colorate: non c’è un miglioramento oggettivo ma solo
soggettivo, dunque semplicemente una sostituzione di un tratto particolare
della nostra estetica con un altro ritenuto migliore. Ciò sarebbe ugualmente
etico se intervenissimo sul DNA per cambiare ad esempio colore dei capelli o
degli occhi? Il criterio del fine preposto è sempre quello scriminante: come
prima accennato la complessità dell’intervento di alterazione genetica, i
costi, i rischi, la probabile irreversibilità dell’operazione (forse), etc.
fanno sospettare che le motivazioni addotte non siano delle migliori. Cioè ci
sarebbe una sproporzione immotivata tra mezzi adoperati e fini perseguiti. Non
così in genere ed invece in relazione ad una semplice tinta per capelli.
Gli interventi genetici quindi,
rispettando queste condizioni, sarebbero leciti, esclusi però quelli di
modificazione dei tratti identitari della persona, costitutivi della sua
unicità e specificità: mai sarebbe lecito ad esempio intervenire per cambiare
sesso da XX a XY e viceversa. Mai per cambiare cancellare la nostra memoria o
sostituirla con un’altra creata a tavolino, mai per cambiare radicalmente le
fattezze del nostro viso e casi simili. Il Magistero infatti a questo proposito
ha indicato che – ed utilizziamo l’argomento per valore analogico – il
trapianto di cervello (semmai si riuscirà a compierlo) e di faccia sono
illeciti dal punto di vista morale proprio perché aspetti distintivi ed unici
di ciascuno di noi.
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