"Pulizia" anticristiana in Kashmir di Anto Akkara, 08-02-2012,
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Il tribunale sharaitico del
Kashmir a maggioranza musulmana non ha alcuna autorità costituzionale. Ma la
sentenza con cui il 19 gennaio ha ordinato l’espulsione di cinque cristiani da
quella tormentata parte del Kashmir che è posta sotto la sovranità indiana ha
fatto scattare il campanello di allarme.
Le vittime sono il padre
neerlandese Jim Borst, della Società Missionaria di San Giuseppe di Mill Hill,
che si trova nella regione dal 1963, due pastori protestanti e le loro mogli,
tutti accusati di proselitismo.
«È una sentenza umiliante e
certamente inquietante», ha detto a La Bussola Quotidiana mons. Celestine
Elampassery, vescovo di Jammu-Srinagar, il 5 febbraio, durante una pausa
dell’assemblea della Conferenza episcopale cattolica indiana che ha radunato
170 presuli provenienti da tutto il Paese. «E la situazione sta peggiorando»,
ha aggiunto, ricordando, a mo’ di esempio, che, sabato 28 gennaio, a
mezzogiorno, alcuni ignoti hanno incendiato la motocicletta di don Matthew
Koonanickal, vicario della parrocchia della Sacra Famiglia di Srinagar, la
capitale dello Stato federato indiano del Jammu e Kashmir - consuetamente
abbreviato in Kashmir -, arroccato sull’Himalaya delle nevi eterne.
Predicatore ben noto, padre Borst
è il rettore della Scuola del Buon Pastore nella cittadina di Pulwama, in parte
bruciata durante le proteste che nel 2010 si sono scatenate nel mondo musulmano
dopo che un pastore protestante statunitense aveva dato alle fiamme una copia
del Corano nell’anniversario dell’Undici Settembre.
La sentenza del tribunale
sharaitico del Kashmir si e però accanito soprattutto contro il pastore Chander
Mani Khanna, della Chiesa di Ognissanti di Srinagar, appartenente alla
protestante Chiesa dell’India Settentrionale, giudicandolo «colpevole» di convertire
anime. Khanna è sfinito in carcere in novembre con l’assai dubbia imputazione
di «fomentare dissidi nella comunità locale» seguita all’accusa di avere
operato conversioni forzate che alcuni gruppi musulmani gli hanno mosso. Il tribunale civile ha poi rilasciato il pastore
su cauzione, ma nondimeno la corte sharaitica ha continuato il proprio iter.
«Khanna e i suoi accoliti sono stati giudicati colpevoli di disseminare
inimicizia tra la gente ed erano implicati in attività immorali», ha detto il
19 gennaio Nasir-il-Islam, vice Gran Muftì del Jammu e Kashmir leggendo il
verdetto del tribunale sharaitico. «Per questo è stato ordinato che venissero
espulsi dallo Stato».
Peraltro, oltre a colpire i
cinque cristiani, quello stesso tribunale sharaitico è riuscito a pilotare il
governo dello Stato del Jammu e Kashmir affinché che assumesse direttamente la
gestione delle scuole erette dalle missioni cristiane. L’attivismo giudiziario
di detto tribunale sharaitico ha del resto comportato una grande ondata di polemiche
contro i cristiani scatenatasi sui media locali e questo nonostante il fatto
che nella valle del Kashmir ne vivano meno di 400 contro 4 milioni di abitanti
musulmani. "Gli zeloti kashmiri costringono i cristiani in una valle di
terrore", titolava il 23 gennaio The Time of India, il maggiore quotidiano
in lingua inglese del Paese, denunciando l’orchestrazione di codesta campagna
di calunnie contro la minuscola comunità cristiana del Kashmir. Nel reportage
si legge che persino Juan Marcos Troia, un "mister" argentino che
allena le squadre giovanili cercando di sviluppare il gioco del calcio nel
Kashmir, sta oggi patendo sulla propria pelle questa recrudescenza di
cristianofobia. I funzionari della federazione calcistica di quello Stato
dell’India lo hanno infatti interrogato a proposito dei finanziamenti delle
squadre che Troia allena. E così, mentre qualche fondamentalista islamico
comincia a far circolare certe voci su quell’allenatore "cristiano",
la casa in cui Troia abita è già stata oggetto di atti vandalici.
«Negli anni 1970 il bersaglio
erano i sikh e a partire dagli anni 1980 lo sono diventati gli indù», ha
commentato mons. Elampassery, visitando il cuore musulmano del distretto di
Srinagar di cui è capoluogo l’omonima cittadina. «Adesso sembra proprio tocchi
a noi».
Nell’intera valle del Kashmir vi
sono in tutto poco più di una decina di segni della presenza cristiana, metà
dei quali sono scuole a cui in un paio di casi sono annessi ospedali e l’altra
metà chiese. «In quella regione stanno riuscendo a spaventare quel che resta
dei cristiani del Kashmir per spingerli ad andarsene», afferma Predhuman K.
Joseph Dhar, un cattolico kashmiro con un retroterra indù. «Vogliono farne una
zona esclusivamente musulmana». Dhar, uno studioso che ha tradotto la Bibbia in
lingua kashmira, rievoca i giorni del gennaio 1990 in cui dovette abbandonare
il Kashmir con la famiglia allorché dalle mosche di tutta la regione gli
altoparlanti presero simultaneamente a urlare agli indù di abbandonare quella
terra a maggioranza musulmana.
Fu così che oltre 400mila indù
lasciarono il Kashmir rifugiandosi in quelle zone dell’India dove i loro
correligionari sono la maggioranza, in specie nel Jammu. Benché nel 1984 anche
Dhar si fosse convertito al cattolicesimo, come tutti i 6 membri della sua famiglia,
in quanto di origine indù dovette anch’egli andarsene. «Oggi in tutta la valle
vi sono meno di cento cristiani originari del Kashmir», dice. «Gli altri sono
immigrati». Dhar, che è pure giornalista, ripete che «sui media kashmiri vi
sono ancora numerosi articoli contro i cristiani ma del tutto inventati». Il
più recente è quello pubblicato il 22 gennaio a proposito di quattro
«convertiti recenti» arrestati mentre si recavano a incassare dalla Chiesa gli
«emolumenti economici» in quel modo maturati. «Pura fantasia», commenta Dhar,
«ma il caso spiega bene quale sia il piano nascosto il perdurare di questa
campagna anticristiana».
Nel succitato reportage di The
Times of India si fa del resto riferimento a un articolo comparso con il titolo
"L’apostasia smascherata" sul principale quotidiano in lingua inglese
del Kashmir il giorno seguente la sentenza del tribunale sharaitico che ha
colpito i cinque missionari e pastori cristiani. Si tratta dell’improbabile,
lurido racconto di un giovane musulmano che si sarebbe convertito in cambio di
denaro, di alcolici e di una giovinetta.
Il cattolico John Dayal,
Segretario generale dell’organizzazione All India Christian Council, precisa:
«Noi cristiani non siamo tenuti a rispettare i pronunciamenti del tribunale
sharaitico. E le accuse di avere convertito forzatamente della gente che sono
state contestate al pastore Khanna sono del tutto infondate». Dayal lo dice a
ragion veduta, avendo appena visitato il Kashmir con un comitato ecumenico
d’indagine e avere incontrato di persona Khanna. L’idea poi, come pretende il
tribunale sharaitico, di porre le scuole cristiane sotto il controllo del
governo è per Dayal «irrazionale»: la maggioranza schiacciante della
popolazione scolastica di quegli istituti, e persino gli insegnanti, sono
infatti musulmani…
Tutto ciò, sottolinea Dayal, non
è peraltro in linea con i sentimenti della gran parte della popolazione
musulmana della regione, ma solo il risultato della competizione scatenatasi
fra alcuni gruppi islamici che cercano di far bottino di tutto ciò che può
alimentare la loro campagna di propaganda nazionalistica.
La parte del Kashmir a
maggioranza musulmana che si trova sotto la sovranità dell’India è infatti
funestata da una sanguinosa spinta secessionista - dal 1990 ha mietuto più di
30mila vittime - che, ottenuta la separazione, mirerebbe poi a unirsi al
Pakistan a maggioranza musulmana sotto il cui controlla sta già l’altra parte
del Kashmir.
In un “libro bianco” sulla
situazione della regione, il Catholic Secular Forum (CSF), che ha sede a
Mumbai, in India, evidenzia come tra 1989 e 1992 la maggior parte degli indù e
dei cristiani di origine indù del Kashmir sia stata «costretta dai terroristi
islamisti ad abbandonare le proprie abitazioni. Gli uomini sono stati
assassinati, le donne stuprate, le proprietà distrutte e le minacce costanti».
Per Joseph Dias, Segretario
generale del CSF, «la situazione è seria. E siamo esterrefatti dal silenzio che
sulla questione mantengono sia il governo dello Stato federato indiano del
Jammu e Kashmir sia il governo centrale della federazione indiana. I cristiani
della valle del Kashmir sono perseguitati da vicini ostili, dalle comunità
islamiche del territorio, dai tribunali fondamentalisti, dagli
estremisti-terroristi […] e dal governo, il quale ha deciso di non essere in
grado di agire».
Traduzione di Marco Respinti
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