L’ultima vittima, P.C.A., un
cittadino colombiano di 48 anni, si è impiccato venerdì 18 novembre nel carcere
bolognese della Dozza. Ha rifiutato di uscire dalla sua cella durante l’ora
d’aria, ha lasciato sopra il materasso alcune lettere per i suoi familiari e si
è impiccato con il lenzuolo, «legandosi le mani con un calzino per evitare
ripensamenti». Una settimana prima, sabato 12 novembre, due tragedie identiche
si sono consumate nel Reparto di osservazione di Poggioreale, a Napoli, e
nell’ospedale psichiatrico di Reggio Emilia. E questi sono solamente gli ultimi
tre dei cinquantanove suicidi avvenuti quest’anno nei penitenziari italiani.
Uno ogni cinque giorni, uno ogni mille detenuti dicono le statistiche. E i
tentati suicidi (i dati fanno riferimento al 2010) sono stati quasi il triplo:
167.
Il numero impressionante di «auto
soppressioni», come vengono definiti i suicidi nelle relazioni delle guardie
penitenziarie che ci devono convivere tutti i giorni, è l’aspetto più evidente
di un sistema carcerario che si avvicina sempre di più a un inferno. Il primo
male, però, da cui discendono tutti gli altri, è il sovraffollamento. Ad oggi
nelle 206 prigioni italiane ci sono 67.510 detenuti (43.253 italiani e 24.257
stranieri) per 45.572 postiletto. Fra questi ci sono 37.395 persone condannate
in modo definitivo (il 55,4%) e 28.457 imputati (14.445 - il 21,4% - in attesa
del giudizio di primo grado, 7.698 l’11,4% - in attesa del giudizio d’appello e
4696 -il 7% - in attesa della sentenza definitiva della Cassazione). Il totale
dei detenuti era di circa 40.000 unità nel 2006, subito dopo l’indulto, ma in
questi cinque anni è tornato a crescere ben oltre la soglia di guardia. Per
comprendere il livello di emergenza basta confrontare l’indice di sovraffollamento
(quanti sono i carcerati ogni cento posti disponibili) dei principali Paesi
europei: in Italia è 148,2 (peggio di noi c’è solo la Spagna con 153) mentre la
media europea è 104 e nei paesi virtuosi (Svizzera, Danimarca, Norvegia,
Germania e Portogallo) l’indice si aggira intorno al 90.
«Nove regioni (Calabria, Emilia
Romagna, Friuli, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Valle d’Aosta e Veneto) -
scrive Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (l’Organizzazione sindacale
autonoma della polizia penitenziaria) - hanno superato persino le capienze
massime consentite, con 6.000 poliziotti penitenziari in meno su un organico di
45.109, 2.236 unità dei profili tecnici e amministrativi in meno su un organico
di 8.737 e circa 150 milioni di debiti su forniture e utenze per il 2011. E per
il 2012 c’è l’urgente necessità di reperirne altri 250».
Il 13 gennaio del 2010 l’ex
ministro della Giustizia Angelino Alfano ha cercato d’intervenire varando il
cosiddetto «Piano carceri». Il progetto di Alfano si fondava su tre pilastri:
la costruzione di 11 nuovi penitenziari, la realizzazione di 20 padiglioni
extra all’interno di strutture già esistenti e l’assunzione di 2.000 nuovi
agenti penitenziari. Dieci mesi dopo, però, come ha ricordato pochi giorni fa
Marco Pannella dai microfoni di Radio Radicale - «Il 28 luglio il Presidente
della Repubblica ci disse, direi, ci ordinò, di affrontare la prepotente
urgenza rappresentata dalla situazione delle carceri e della giustizia. Dov’è
finita questa emergenza?», siamo ancora al punto di partenza. Anche ammesso che
il «Piano carceri» venga completato in tempi ragionevoli, infatti, all’appello
mancherebbero comunque 12.788 posti. Le situazioni più allarmanti sono in
Lombardia (mancano 4.114 posti, ma a piano ultimato ne mancherebbero comunque
3.314), Campania (mancano 2.182 posti e a piano ultimato ne mancherebbero
1.332) e Lazio (mancano 1.754 posti e a piano ultimato ne mancherebbero 1.354).
Il nuovo governo è consapevole
che bisogna intervenire il prima possibile. Tant’è vero che le uniche parole
pronunciate dal Guardasigilli Paola Severino, intercettata dai cronisti mentre
usciva dal Quirinale dopo il giuramento sono state: «Diamoci tutti una mano. Il
carcere è un problema grave». Sul piatto, oltre agli interventi sulle strutture
e sugli organici della polizia penitenziaria, potrebbe esserci anche altro:
dalla revisione delle norme sulla custodia cautelare all’introduzione di misure
alternative alla detenzione per i reati meno gravi. In tempi di tagli alle
spese dello Stato, infatti, a preoccupare sono anche i numeri dei bilanci.
Secondo i dati del dipartimento di Polizia penitenziaria ogni giorno spendiamo
7.615.803 euro. In pratica 113 euro per ogni detenuto. Di questi 98,95 euro
vengono spesi per il personale, 4,03 per il funzionamento delle strutture, 3,35
per le spese d’investimento (edilizia penitenziaria, acquisto di mezzi di
trasporto) e 6,48 per il mantenimento dei detenuti. «Ma di questi spiega
Riccardo Polidoro, presidente della onlus “Il carcere possibile” -3,95 euro vengono
spesi per il cibo e solamente 11 centesimi per il trattamento di
riabilitazione».
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