Avvenire.it, L'emergenza globale (e italiana) non si può ridurre a una
sola dimensione - Capire la radice sociale della crisi economica, 7 novembre
2011
I fattori costitutivi della crisi
economico finanziaria e politica che stiamo attraversando sono ormai chiari a
tutti. Poco o per nulla si riflette invece sui fattori sociali che ne
costituiscono un importante corollario, sia come cause scatenanti che come
elementi concomitanti. Eppure, proprio nei giorni scorsi, è tornato alla
ribalta il tema del rapporto tra i sentimenti sociali, le loro manifestazioni e
il potere. Le dimostrazioni di piazza al Quirinale, a Palazzo Chigi e a Palazzo
Grazioli dopo le dimissioni del governo Berlusconi sono state prevalentemente
pacifiche, ma non si può fare a meno di osservare che abbiamo assistito ancora
una volta a espressioni di facile entusiasmo, a fronte di una congiuntura molto
difficile e persino drammatica.
Da sempre nella storia i momenti
di passaggio di potere sono stati accompagnati da forme simili, più o meno
significative ed estese, e 'acclamare, distruggere, seppellire' sono sin
dall’antichità fenomeni sociali ricorrenti. Dalle democrazie moderne,
cosiddette avanzate, ci si aspetterebbe però una crescita di consapevolezza e
un gradiente di maturità in più, ad esempio rispetto alle degenerazioni di quei
fenomeni, quali gli attacchi personali, anche solo verbali, lo sberleffo o la
gioia ostentata per la caduta dell’avversario. In realtà dobbiamo constatare
che il mondo moderno produce una continua riedizione degli antichi momenti di
sfogo che, per l’impatto dei potenti strumenti e canali di comunicazione
contemporanei, si accompagna a forme di spettacolarizzazione e di propagazione
universale, che ingigantiscono sulla scena sociale gli eccessi, riducendo le
possibilità di una riflessione più pacata e lungimirante. Con evidenti rischi
di impoverimento culturale e, qualche volta, di vero imbarbarimento.
Parliamo di fenomeni che si
dipanano a ogni latitudine, in Italia però si aggiunge un elemento in più, su
cui è bene riflettere, che ha a che fare con una predisposizione particolare
nel Paese alla sfiducia, sempre e comunque, nelle pubbliche istituzioni, e con
una non piccola dose di mancanza di responsabilità civile. Un elemento che
conferisce al clima sociale una connotazione particolarmente critica.
Emerge una sorta di personalismo
cinico, che finisce per agevolare un approccio alla crisi tutto centrato sulla
dimensione finanziaria. È chiaro a tutti che la situazione attuale richiede
l’utilizzo di strumenti eccezionali rispetto alla normale azione di governo di
un Paese come l’Italia.
Questa constatazione non sembra
però accompagnata a livello sociale da una sufficiente consapevolezza dei
risvolti problematici di una gestione di governo tutta spostata sull’asse delle
decisioni economico-finanziarie e su quello delle compatibilità di tipo
internazionale. Usciremo, di questo passo, almeno ce lo auguriamo, dall’emergenza
titoli di Stato e Borsa. Ma viene spontaneo chiedersi quando cominceremo a
mettere mano all’insieme delle questioni politiche, sociali ed economiche che
frenano lo sviluppo del Paese. Emergenza finanziaria, e conseguente
riduzionismo economico, non fanno bene allo sviluppo nel senso pieno del
termine.
Dice Alain Ehrenberg nella
Società del disagio che soffrono di più in simili congiunture i Paesi, e i
popoli, la cui identità è centrata sulla dimensione individuale, più che su
quella collettiva e istituzionale. Le società e le culture mediterranee
avrebbero questa caratteristica, meno adatta alla modernità globalizzata e alle
sue sfide. In Italia si aggiunge a ciò la questione delle grandi differenze
sociali e culturali, tra una parte meridionale decisamente più mediterranea, e
una settentrionale con forti influssi di tipo nord-europeo. Ma non va
dimenticato quanto già Leopardi affermava, e cioè che le vere élite italiane
(intellettuali, economiche, morali) si tengono, per lo più, distanti dall’impegno
politico, privando il Paese di forze vitali essenziali. È il nodo che addita
anche Christopher Lasch quando parla di «sciopero delle élite», e non solo per
le culture mediterranee ovviamente.
La crisi va dunque affrontata
tenendo conto di tutti questi fattori. E se la congiuntura
economico-finanziaria ammette un intervento straordinario all’insegna del
riduzionismo economico dei problemi, bisogna da subito pensare allo sviluppo di
una cultura civica – comunitaria e individuale – più matura e più volta a
consolidare il bene comune. È necessario un maggiore impegno delle élite morali
e sociali del Paese. E la riflessione che su questo punto si è aperta nel mondo
cattolico rappresenta un segnale incoraggiante.
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