Nel giorno in cui si incontrano i medici cattolici. Il cardinale Ravasi
risponde alle domande più scomode, di Andrea Tornielli, CITTÀ DEL VATICANO, http://vaticaninsider.lastampa.it,
26/11/2011
«Vengo invitato sempre più spesso
a convegni medici: mi stia crescendo la consapevolezza che la malattia e il
dolore sono un tema globale e simbolico, non soltanto fisiologico.
L’accompagnamento umano, psicologico, affettivo e anche spirituale è tutt’altro
che secondario. C’è bisogno di tornare a una concezione umanistica della
medicina…». Il cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio consiglio
per la cultura, è abituato a confrontarsi con chi non crede. Ma di fronte alla
domanda drammatica sul perché della sofferenza e del dolore – tema del convegno
organizzato oggi a Milano dai Medici Cattolici – non si rifugia nelle formule
di rito.
Come risponde al quesito sul
perché della malattia?
«La scrittrice americana Susan
Sontag nel 1978 raccontò la sua esperienza di ammalata di cancro in un libro
intitolato La malattia come metafora. Definizione interessante: la malattia non
è mai solo una questione biologica. Quando siamo ammalati abbiamo bisogno di
essere confortati, guardiamo alla vita in modo diverso, cambiano le priorità e
se la malattia si aggrava cambia anche la scala dei nostri valori. E anche chi
non crede può talvolta arrivare a chiedere a Dio il perché di quanto gli
accade. Comunque la prima risposta è semplice, logica e razionale».
Qual è la «razionalità» iscritta
nella malattia?
«Il dolore è una componente della
finitezza delle creature. Un dato che nella nostra società orgogliosa e
tecnologica, che qualcuno ha definito “post-mortale”, non si vuole accettare.
Si occulta in tutti i modi la morte, o magari si insegue la possibilità di
vivere fino a 120 o 130 anni, continuando ad allontanare l’appuntamento.
Dobbiamo invece avere il coraggio di guardare in faccia malattia e morte come
componenti dell’esistenza».
Una capacità che sembra perdersi
in Occidente, ma che è ancora presente in altre culture…
«È vero. Quando ero in Iraq a
fare degli studi archeologici, un giorno uno dei miei collaboratori locali mi
invitò a casa sua, così avrei potuto vedere suo padre che stava morendo. Ci
andai e vidi quel vecchio adagiato al centro dell’unica grande stanza della
casa, con le donne che cucinavano da un lato e i bambini che giocavano
dall’altro e che ogni tanto si avvicinavano al nonno per toccargli la mano».
La coscienza della nostra
finitezza non basta però a spiegare il dolore innocente. La malattia dei
bambini, la sorte che si accanisce con chi ha già patito disgrazie.
«Il problema è la distribuzione
del male. Resta drammatica quella pagina de La Peste di Albert Camus, dove
davanti alla morte di un bambino si afferma: non posso credere a un Dio che
permette questo. È l’eccesso del male. Qui ha inizio la frontiera in cui si
attestano le religioni con le loro risposte, che non esauriscono il mistero.
Nel Libro di Giobbe, al culmine della disperazione umana, Dio parla e spazza
via tutte le spiegazioni e i tentativi di razionalizzare. La soluzione può
essere solo meta-razionale, globale e trascendente e si trova nell’incontro con
Dio».
La risposta del cardinale Ravasi?
«È quella cristiana, totalmente
diversa dalle altre religioni. Perché nel cristianesimo è Dio stesso, in
Cristo, che non solo si piega verso di noi per spiegarci il significato della
sofferenza, non solo in qualche caso guarisce grazie alla sua onnipotenza con i
miracoli, ma entra nella nostra umanità e prova tutto il dolore dell’uomo. Il
dolore fisico, morale, la paura, il silenzio del Padre. E alla fine anche la
morte, che è la carta d’identità dell’uomo, non di Dio. Diventa un cadavere,
senza mai cessare di essere Dio, soffre tutta la sofferenza umana e vi depone
un germe di trasfigurazione, che è la resurrezione, fecondando la nostra natura
mortale».
Questo però non cancella e il
dolore né la domanda. Anche per chi crede.
«Gesù Cristo, il Figlio di Dio
non è venuto a cancellare il dolore, tant’è vero che lo ha vissuto. Ma lo ha
assunto su di sé e trasfigurato con il germe dell’infinito, che è preludio
d’eternità per noi. Il cristianesimo è una religione fieramente carnale e
vicina al dramma di chi soffre – al contrario di tante altre religioni – perché
per i cristiani Dio è diventato un uomo ed è morto in croce. I cristiani, come
attesta la nascita degli ospedali, hanno sempre avuto questa attenzione verso i
malati, perché credono in un Dio che è stato sofferente, ha conosciuto la morte
ed è risorto».
Il suo dicastero ha organizzato
di recente un convegno dedicato alle staminali adulte, via alternativa all’uso
di quelle embrionali. Chiesa e scienza si possono ritrovare insieme?
«L’utilizzo delle cellule
embrionali sta ottenendo risultati minimi rispetto a quelli ottenuti con le
staminali adulte: si cancella così il luogo comune che ci attribuisce la
responsabilità di non voler alleviare le sofferenze di tanti malati. Proprio le
staminali adulte, che non hanno alcuna controindicazione di tipo etico, stanno
portando risultati incoraggianti in campo oncologico, e contro il Parkison e
l’Alzheimer».
Nessun commento:
Posta un commento