Perché il disagio degli omosessuali aumenta anche nelle società
gay-friendly?, 24 novembre, 2011, di Adamo Creato ex omosessuale
Tutta la ricerca focalizzata
sullo studio della salute degli omosessuali, porta ad un dato universalmente
riconosciuto: gli omosessuali attivi (uomini e donne che adottano uno “stile di
vita gay”) soffrono di patologie fisiche e mentali di gran lunga più degli
eterosessuali. Sul sito ufficiale dell’A.P.A. (American Psychological
Association), del Vital Statistics (che “fornisce un unico punto d’accesso ai
dati derivanti dalla ricerca in merito alla sessualità maschile gay”) o su
qualsiasi altro sito dedicato alla salute degli omosessuali, sono pubblicati i
risultati di decine di ricerche che mostrano alti livelli di disturbi
depressivi e dell’alimentazione, elevato consumo di alcol, tabacco e droghe,
alta incidenza di suicidio e tentato suicidio tra gli adolescenti gay, numerosi
casi di autolesionismo e comportamenti sessuali rischiosi tra omosessuali.
Inoltre si moltiplicano siti che offrono assistenza medica e legale a gay e
lesbiche che subiscono abusi d’ogni genere all’interno della coppia
omosessuale: il dato della violenza “domestica” omosessuale è drammatico.
Gli omosessualisti confermano
sostenendo che l’elevato livello di problemi psichiatrici e disagi all’interno
delle comunità lesbiche e gay è dovuto all’oppressione sociale,
all’eterosessismo e alla “omofobia” ma non ad un particolare “stile di vita
gay”. Urlano che non esiste alcuno “stile di vita gay” e che, invece, il loro
stile di vita è perfettamente sovrapponibile a quello eterosessuale: è classica
la frase “lo fanno anche gli etero”. Da
questo dovremmo trarre la conclusione, quindi, che laddove lo stigma sociale
diminuisce e “l’omofobia” si riduce, i livelli di disturbi della psiche
dovrebbero attenuarsi di conseguenza.
In realtà già un importante
studio ha dimostrato l’inconsistenza di tale resistenza ideologica, mostrando
che l’elevato livello di disagi psichiatrici, tra gay e lesbiche, non
diminuisce affatto quando essi vivano in contesti ove l’omosessualità è
perfettamente accettata. I ricercatori hanno confrontato società molto tolleranti
con i gay, come l’Olanda e la Danimarca, con società più ostili
all’omosessualità. Lo studio, che è stato progettato proprio per misurare se il
disagio diminuisce nelle società in cui gli omosessuali godono di un elevato
livello di tolleranza, ha rilevato che il livello di disturbi tra gli uomini
gay (compreso il “minority stress”) è molto elevato in tutte le culture e non
solo in quelle che disapprovano l’omosessualità. ”La depressione è una norma nella nostra comunità“,
spiega Tom Moore, psicologo di Castro Street, il distretto gay della città più
gay del mondo: San Francisco. “C’è già la barzelletta che auspica di mettere
l’antidepressivo Prozac nell’acqua del quartiere” afferma allegramente.
Invece ciò che ha preso piede in
mezzo alla confusione (e che favorisce l’avanzamento di carriera degli
psicologi) è che l’oppressione sociale è l’unica fonte dell’alto livello di
disturbi psichiatrici e dei problemi relativi al consumo di alcol e droghe tra
i gay. Dovrà pur esserci qualche fondamento di verità in quest’affermazione.
Tuttavia, può essere l’oppressione sociale l’unica causa di una così elevata
diffusione di fattori negativi che si moltiplicano, e non si riducono, in città
gay friendly come San Francisco? E’ proprio vero che non esiste uno “stile di vita
gay”? La promiscuità, l’infedeltà, il consumo di alcol e sostanze, la
difficoltà di mantenere relazioni amicali sincere e durature sono da
considerare dei miti anti-gay? Sarebbe sufficiente una superficiale conoscenza
della letteratura, della cinematografia e della produzione musicale e
televisiva gay friendly per rendersi conto della visione che gli stessi gay
hanno del loro stile di vita. A questo possiamo aggiungere le dichiarazioni di
alcuni attivisti gay, come ad esempio Gabriel Rotello che è considerato un
conservatore dalla comunità gay: “Penso che per molte persone, la parola
promiscuità può essere piena di significato, essere liberatoria e gioiosa“.
Oppure del nostrano Mario Mieli, considerato il padre fondatore della comunità
GLBT italiana: “Tra noi omosessuali, la propensione a formare coppie chiuse è
molto meno forte che non tra gli etero: e i pregi della gaia promiscuità sono
parecchi, anzitutto poiché essa apre il singolo alla molteplicità e alla
varietà dei rapporti, e quindi positivamente gratifica la tendenza di ognuno al
polimorfismo e alla «perversione», facilitando, di conseguenza, il buon
andamento di ogni rapporto tra due persone (perché né l’uno né l’altro si
avvinghia disperatamente al partner, pretendendo la sua rinuncia a rapporti
totalizzanti contemporanei con altre/i)” (M. Mieli, “Elementi di critica
omosessuale” 2002). Oppure possiamo avvicinarci ancora di più verso
l’esperienza quotidiana di tanti omosessuali che si confidano sui forum a loro
dedicati: chi non si allinea al pensiero “noi gay non siamo più promiscui degli
etero” viene pubblicamente redarguito. Infine, per quello che può contare, la
mia esperienza personale: da un lato si
cerca di diffondere una visione molto “free” del comportamento sessuale e
dall’altro si criminalizza quel comportamento così “allegro”. E’ innegabile
che ”l’ambiente gay” (inteso come rete
di locali, saune, luoghi di ritrovo o manifestazioni) venga percepito come
negativo dagli stessi gay perchè considerato spesso “immorale” o “insano”. Il
fatto che discussioni su questo argomento siano molto frequenti tra i gay (c’è
chi dichiara “non frequento l’ambiente” e chi invece domanda “che male c’è a
frequentarlo?“) significa quantomeno che molti, tra coloro che si definiscono
gay, avvertono qualche disagio o fastidio. In genere, però, il pensiero
dominante è quello che “il sesso è un divertimento e dev’essere liberato da
qualsiasi influenza moralistica o bigotta“.
Lo stesso vale per il concetto di
fedeltà: nonostante la quasi totalità del “mondo gay” ricerchi spasmodicamente
una relazione monogama e stabile, lamenta poi una scarsa qualità dei legami
affettivi che spesso si rivelano estremamente brevi a causa della scarsa
fedeltà. Non sono rare le situazioni di profonda sofferenza causata
dall’infedeltà all’interno della coppia. E, come al solito, le organizzazioni
omosessualiste, invece di comprendere le motivazioni di questo disagio,
diffondono il concetto di “coppia aperta” come terapia contro il senso
d’abbandono e di solitudine. Essi definiscono la monogamia un retaggio
eterosessualista negativo in quanto denota “appartenenza” sessuale del partner.
Naturalmente anche in questo caso non mancano le eccezioni che, per
definizione, servono a confermare la regola: che esista una percentuale
trascurabile di coppie omosessuali fedeli e di lunga durata lo sappiamo tutti.
”Ma gli etero fanno lo stesso” è la frase magica che serve, quando l’evidenza
non può essere contestata, a giustificare o “normalizzare” un comportamento che
ha qualche difficoltà ad essere considerato accettabile dalla stessa comunità
gay.
A mio avviso ci sono argomenti
sufficienti per poter supporre che determinati comportamenti (se non peculiari,
molto frequenti tanto da poter essere considerati uno “stile di vita gay”)
potrebbero collaborare all’aumento del livello di quel disagio psicologico
presente in molti omosessuali attivi. E’ indubbio che chi non conosce nulla
dell’omosessualità potrebbe sviluppare “sentimenti irrazionali di paura, odio,
ansietà, disgusto, avversione che alcune persone eterosessuali sperimentano nei
confronti delle persone omosessuali” (Weinberg 1972). Questi sentimenti,
definiti omofobici, possono determinare dei comportamenti violenti nei
confronti delle persone omosessuali, tanto che, in alcuni casi, spingono addirittura
alla persecuzione e all’omicidio. Le organizzazioni omosessualiste cavalcano la
questione dell’omofobia per proporre l’offerta “prendi due al prezzo di
uno“: disprezzare le persone omosessuali
è socialmente deprecabile e quindi è deprecabile stigmatizzare il loro “stile
di vita”. Questa che sembra una sottigliezza, in realtà, è il punto focale
della strategia degli attivisti gay. Non è consentito criticare l’imposizione
del loro punto di vista perchè questo significa discriminare e perseguitare i gay.
Questo sofisma è assolutamente falso e subdolo perché, approfittando della
confusione, tende alla sovrapposizione tra “persona” e “comportamento”.
Sfruttando questo equivoco gli attivisti gay stanno lentamente, ma
inesorabilmente, modificano le coscienze per raggiungere i loro obiettivi ed
imporre la loro visione della società.
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