Nello spazio pubblico della cultura - La sfida dell’ateismo
contemporaneo, di Adriano Pessina, Università Cattolicadel Sacro Cuore, 26
novembre 2011, http://www.osservatoreromano.va/
Che fine ha fatto l’ateismo
contemporaneo? Se fino a qualche anno fa, complice la svolta filosofica moderna
che rendeva dogmaticamente impossibile, per definizione, il discorso dedicato
alle prove dell’esistenza di Dio, l’ateismo si presentava in primo luogo dentro
lo spazio pragmatico dell’irreligiosità e dell’indifferenza, oggi assistiamo a
una duplice svolta.
La prima svolta riguarda la
ripresa dell’ateismo teoretico alimentato dal riferimento al discorso
scientifico. Dopo le stagioni classiche dei maestri del sospetto (Marx,
Nietzsche, Freud), oggi è la volta del neodarwinismo e delle neuroscienze a
fornire argomenti affinché si creda che Dio — che alcuni autori preferiscono
scrivere con la minuscola — non esiste. La seconda, più interessante, forse, è
quella che si premura di affermare che l’ateismo può costituire una nuova forma
di moralità. Anche in questo caso si potrebbero trovare degli antecedenti
storici, nell’epoca moderna, citando il dibattito tra Pascal e libertinismo
erudito, o pensando al celebre pamphlet di Sartre sull’ateismo come umanesimo.
La nuova apologetica dell’ateismo
privilegia il riferimento alle scienze empiriche per giustificare la tesi per
cui senza Dio si può vivere moralmente bene e, anzi, si può e si deve prendere
nelle proprie mani il futuro di un’evoluzione che finora è stata, per così
dire, cieca, ma che ora potrà finalmente essere governata dal progetto umano
emancipato dalle pastoie di divieti ancestrali formulati sotto l’autorità
divina. Il nuovo ateismo militante si pone così al servizio delle
biotecnologie, sostituendo l’antica formula della filosofia ancilla theologiae
con quella dell’ateismo come ancilla technologiae.
Questo mutamento di prospettiva
non va affatto sottovalutato. Da una parte, depurato dai toni polemici e dalle
sfumature risentite e spesso condizionate da una cattiva comprensione della
questione di Dio come Creatore (che andrebbe pensato come Fondamento dell’ora e
non soltanto come iniziatore del passato), l’ateismo contemporaneo manifesta
una implicita inquietudine rispetto al nuovo potere dell’uomo. Come leggere,
infatti, lo sforzo di rassicurare l’uomo nella sua impresa autoreferenziale di
costruzione di nuove possibilità di manipolazione della vita (e non soltanto
della salute) dell’uomo se non nei termini di un’avvertita consapevolezza della
posta in gioco, cioè del significato ultimo dell’esistenza e del senso stesso
dell’intera realtà?
Mai come oggi il potere dell’uomo
su di sé e sul reale è in grado di farci percepire l’esigenza di trovare
criteri etici che non siano puramente arbitrari e soggettivi: e l’ateismo
militante vorrebbe porsi proprio come questo orizzonte ultimo di senso, in
grado di giustificare il discorso etico su una vera e propria metafisica
dell’immanenza e perciò della negazione di Dio (con la maiuscola, perché è fin
troppo facile liberarsi di un “dio” scritto con la minuscola).
In questo senso, l’ateismo
costituisce una potente sollecitazione al credente, affinché ritorni a dire le
ragioni di un credere che è capace di ridare di nuovo forma a un sapere
sull’esistenza di Dio in grado di plasmare il senso dell’ethos umano, per
troppo tempo coltivato dentro un’autonomia incapace di cogliere la portata
epocale della sfida pratica e teorica che l’uomo stesso ha plasmato con le sue
mani. Rispetto al tentativo, per certi versi classico, di rassicurazione del
rapporto positivo che può intercorrere tra scienza e fede, operato dal versante
apologetico del credere, l’apologia dell’ateismo richiede un più essenziale
radicamento nella questione delle verità ultime perché pone in luce come il
luogo originario del dibattito sia oltre le scienze stesse, il loro operare e
interpretare il mondo: esso si colloca, originariamente, dentro la domanda che
raccorda il senso della storia e il fondamento ultimo della realtà e perciò
della vita.
Agli argomenti della nuova
apologetica dell’ateismo, che di fatto è tutt’altro che post-metafisica, si può
e si deve rispondere, confidando nelle grandi risorse di cui proprio la ragione
umana, salvata dall’evento dell’Incarnazione, dispone. Dopo il periodo del
pensiero debole, delle identità fluide, si ripropone, nello spazio pubblico
della cultura, la questione della serietà dell’esistenza nel suo necessario
radicarsi con o contro Dio.
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