BENE COMUNE TRA PROFIT E NON PROFIT - Un saggio spiega la gratuità
nella gestione dimpresa di monsignor Giampaolo Crepaldi*
ZI11111712 - 17/11/2011
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ROMA, giovedì, 17 novembre 2011
(ZENIT.org) - Il libro di Giorgio Mion e Cristian Loza Adaui, Verso il
metaprofit. Gratuità e profitto nella gestione d’impresa (Cantagalli) si inoltra
in un terreno per molti versi nuovo, quello del “metaprofit”. Nuovo, a quanto
mi consta, anche nel nome. Per comprendere il significato di questa ricerca è
necessario ritornare ad un passo della Caritas in veritate di Benedetto XVI.
Come è noto, l’enciclica affronta numerose problematiche emergenti e, tra
queste, anche la progressiva erosione dei confini tra profit e non profit (o
not for profit come qualcuno preferisce dire) da parte di nuove realtà
economico-imprenditoriali.
Ecco il passo in questione: «Considerando
le tematiche relative al rapporto tra impresa ed etica, nonché l'evoluzione che
il sistema produttivo sta compiendo, sembra che la distinzione finora invalsa
tra imprese finalizzate al profitto (profit) e organizzazioni non finalizzate
al profitto (non profit) non sia più in grado di dar conto completo della
realtà, né di orientare efficacemente il futuro. In questi ultimi decenni è
andata emergendo un'ampia area intermedia tra le due tipologie di imprese. Essa
è costituita da imprese tradizionali, che però sottoscrivono dei patti di aiuto
ai Paesi arretrati; da fondazioni che sono espressione di singole imprese; da
gruppi di imprese aventi scopi di utilità sociale; dal variegato mondo dei
soggetti della cosiddetta economia civile e di comunione. Non si tratta solo di
un “terzo settore”, ma di una nuova ampia realtà composita, che coinvolge il
privato e il pubblico e che non esclude il profitto, ma lo considera strumento
per realizzare finalità umane e sociali.
Il fatto che queste imprese
distribuiscano o meno gli utili oppure che assumano l'una o l'altra delle
configurazioni previste dalle norme giuridiche diventa secondario rispetto alla
loro disponibilità a concepire il profitto come uno strumento per raggiungere
finalità di umanizzazione del mercato e della società. È auspicabile che queste
nuove forme di impresa trovino in tutti i Paesi anche adeguata configurazione
giuridica e fiscale. Esse, senza nulla togliere all'importanza e all'utilità
economica e sociale delle forme tradizionali di impresa, fanno evolvere il
sistema verso una più chiara e compiuta assunzione dei doveri da parte dei
soggetti
economici. Non solo. È la stessa
pluralità delle forme istituzionali di impresa a generare un mercato più civile
e al tempo stesso più competitivo» (n. 46).
Benedetto XVI nota nella realtà
economica l’emergere di molte situazioni imprenditoriali che debordano sia dal
profit che dal non profit. Non che si tratti di realtà economiche ed
imprenditoriali che si collocano in una zona di confine ove profit e non profit
si sovrappongano tra loro mescolandosi,
si tratta piuttosto di realtà nuove, non configurabili nelle due
precedenti categorie e nemmeno in mix di varie gradazioni. Dopo aver constatato la nascita di questo
nuovo mondo economico ed avere
fatto anche delle esemplificazioni, il Papa chiede agli studiosi di
approfondire il fenomeno per fornire alla politica e ai legislatori gli
strumenti per disciplinarlo dal punto di vista giuridico e fiscale.
Si noti che Benedetto XVI afferma
espressamente che non si tratta di “Terzo settore”, volendo così superare
definitivamente la concezione “residuale” del non profit e forse anche
l’articolazione triangolare di sinergia tra mercato, società civile e Stato
prospettata da Giovanni Paolo II nella Centesimus annus. Quest’ultimo parlava
della «società del lavoro libero, dell’impresa e della partecipazione» che «non
si oppone al mercato, ma chiede che sia opportunamente controllato dalle forze
sociali e dallo Stato».
Il “metaprofit” non è quindi solo
il “Terzo settore” e la giustapposizione delle tre dimensioni non rende conto
della realtà. La proposta di Benedetto XVI si radica nell’impianto generale
della Caritas in veritate che, come ho cercato di mostrare in una Introduzione
alla stessa [1], consiste nella proposta della priorità del dono – il ricevere,
appunto – su quanto è prodotto da noi.
Il dono, per il Pontefice, appartiene per statuto all’attività economica
e non solo per concessione. Questo libro, opera di due giovani professori di
economia aziendale, si inoltra proprio nel terreno del “meta profit” indicato
da Benedetto XVI e assume l’invito del Papa ad approfondirne la conoscenza. La
parola “metaprofit”, nata nell’ambito dell’Osservatorio internazionale
“Cardinale Van Thuân” sulla Dottrina sociale della Chiesa, è adeguatamente
espressiva di questa nuova realtà e di questo nuovo impegno. Il prefisso
“meta”, infatti, significa sia “oltre” che “attraverso”. Indica che il profitto
deve tendere a qualcosa che sta
oltre se stesso verso cui ha una
funzione strumentale.
Si tratta di una nuova
applicazione della convinzione profonda della Dottrina sociale della Chiesa
secondo cui il perseguimento del trascendente permette anche di ottenere i
risultati immanenti. Quest’opera è espressione dell’attività di ricerca del
nostro Osservatorio, nella doppia fedeltà alla Dottrina sociale della Chiesa e
alla verità delle discipline in un’ottica di disciplinari età ordinata [2].
*Arcivescovo di Trieste e
Presidente dell’Osservatorio “Cardinale Van Thuân”
[1] G. Crepaldi, Introduzione a:
Benedetto XVI, Lettera enciclica Caritas in veritate”, Cantagalli, Siena 2009,
specialmente le pagine 19-24: “Il ricever precede il fare”.
[2] G. Crepaldi e S. Fontana, La
dimensione interdisciplinare della Dottrina sociale della Chiesa, Cantagalli,
Siena, 2006.
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Giorgio Mion e Cristian Loza Adaui, Verso il metaprofit. Gratuità e profitto
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