venerdì 25 novembre 2011


L'OSSERVATORE ROMANO - Nel romanzo «L’envie» della parigina Sophie Fontanel - Così è fallita la rivoluzione sessuale di  Lucetta Scaraffia, 25 novembre 2011

Nei Paesi che sono stati nella seconda metà del Novecento il paradiso della libertà sessuale, Danimarca e Svezia, si sta tornando a considerare con occhio attento la soglia del senso del pudore: per effetto delle comunità immigrate, sono sempre di più le piscine che destinano giornate alle sole donne, e luoghi pubblici in cui è vietato mostrarsi con il seno scoperto, anche per allattare. Senza dubbio si tratta di segnali che fanno capire come la rivoluzione sessuale — affermatasi dagli anni Sessanta in occidente come l’utopia che doveva offrire felicità a tutti — sia ormai in crisi. Ma i segnali si stanno moltiplicando.
«Durante un lungo periodo, che in fondo non ho cuore di situare nel tempo né di stimare in numero di anni, ho vissuto in quella che si può considerare la peggiore insubordinazione della nostra epoca, cioè l’assenza di vita sessuale»: così comincia il romanzo della scrittrice francese Sophie Fontanel L’envie (Paris, Robert Laffont, 2011, pagine 160, euro 17). Non è un gran libro, e soprattutto, dato il disperato nichilismo da cui è pervaso, risulta inspiegabile e incomprensibile quello che vorrebbe essere il suo lieto fine, che coincide con la ripresa della vita sessuale della protagonista, senza apparentemente nulla di cambiato. Ma è un documento interessante perché fa comprendere il clima che si respira in questi anni di presa d’atto — almeno da parte delle donne — del fallimento della rivoluzione sessuale.
Si tratta di un romanzo autobiografico. La scrittrice, giovane e avvenente parigina abituata a vivere avventure sessuali con disinvoltura e superficialità, capisce che questa vita la disgusta. È una sorta di ribellione del corpo, di ripugnanza fisica, non morale.
Decide quindi di affrontare un periodo di castità, come il suo corpo le chiede ormai imperiosamente. Gli amici, le persone che a vario titolo la circondano — non compare nessun tipo di famiglia fra le sue abituali frequentazioni — accolgono con stupore e preoccupazione questa decisione. In un certo senso, perfino la temono, come se potesse esercitare un effetto di contagio sulle loro esistenze che si vogliono credere sessualmente appagate.
Senza sesso, la protagonista ha più tempo per occuparsi di arte e cultura, e soprattutto per coltivare i rapporti di amicizia. Scopre così di non essere poi tanto sola in questa scelta, e fa perfino qualche seguace, come una giovane e bella ragazza di diciannove anni, già stufa delle molteplici esperienze che ha vissuto.
Però questa crisi — in fondo una crisi è, nonostante il suo tentativo di minimizzare — viene vissuta con grande superficialità: lei stessa si domanda quando finirà la sua castità, nata dalla rivolta del suo corpo. Il libro si conclude infatti con una ripresa della vita sessuale dopo l’incontro con un uomo con cui non è nato un rapporto d’amore, e tutto fa pensare che mai nascerà. In qualche punto poi si allude alla religione, ma solo per prenderne vistosamente le distanze.
Il libro è però interessante perché racconta, con precisione chirurgica, la vita quotidiana in una grande capitale europea post-rivoluzione sessuale: il sesso sembra essere diventato, per tutti, l’unica e vera ossessione. Dentro e fuori il matrimonio.
Nei casi degli amici sposati della scrittrice, anche se ci sono figli, sembra che l’unica cosa che conti sia la vita sessuale. Senza sesso il rapporto non esiste più, non ha alcuna altra ragione di esistere. Tutti sono alla ricerca disperata di una razione di piacere, considerata condizione indispensabile per vivere.
Ma chi patisce di più questa situazione sono le donne, e di questo l’autrice è ben consapevole: le donne sono le più refrattarie ad adattarsi a questo modello di vita, anche se pensano che sia indispensabile per vivere una vita sociale normale.
La promessa di felicità per tutti, implicita nell’utopia che ha mosso la rivoluzione sessuale, non poteva trovare smentita più clamorosa. Il problema, però, è che in questo libro di denuncia manca totalmente la consapevolezza che esistono delle alternative al politically correct dei nostri tempi.

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