martedì 22 novembre 2011


L'ideologia verde eticamente corretta di Fabio Spina, 22-11-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

Sulla base del principio “chi inquina paga” il sostentamento dell’energie rinnovabili è “caricato” sulla bolletta dell’energia che paghiamo, la logica è semplice: se usi la corrente inquini e quindi devi pagare. Su questo tipi di principi ecologici l’Europa “non negozia”, non importa se produci e crei benessere per l’intera società, non importa che uso fai dell’energia, non importa se tale aumento dei costi rende inevitabile la delocalizzazione. Per questo sulla bolletta potete leggere la componente A3 destinata ad incentivare “fonti rinnovabili ed assimilate”.

Quest’anno il 49% dei costi saranno destinati al fotovoltaico, mentre il 37% serviranno a coprire il riacquisto dei certificati verdi invenduti. Ogni certificato verde corrisponde a una quantità di emissioni di CO2 risparmiate con la produzione di energia da fonti rinnovabili e funzionano un po' come una compravendita di titoli. In questo periodo il prezzo delle quote di emissione è in forte flessione quindi ci sono acquisizioni per non far scendere troppo i prezzi (vedi “A.A.A. offresi quote emissione. Sconto 70% a causa previsione errata”). Nel 2011, secondo l’Autorità dell’Energia, industriali e privati dovrebbero versare 4,8 miliardi di euro per promuovere le energie rinnovabili, per arrivare nel solo 2020 ad una forchetta tra 10 e 12 miliardi di euro.
L’ideologia verde europea sta colpendo duramente le nostre imprese, loro debbono pagare di più proprio perché producono emettendo, sono loro che, oltre a pagare le già alte imposte e tasse, debbono finanziare anche la “green economy” seguendo un’illusione che ha già guidato la Grecia fino a poco tempo fa (vedi “Grecia: un esempio di decrescita infelice, energie rinnovabili e biodiversità” ). La mezzadria, patto in cui il mezzadro era obbligato a dare metà di quanto prodotto al proprietario del podere e degli attrezzi, è vietata per legge essendo ritenuta un residuo di sopraffazione medioevale. Invece pagare oltre il 50% di tasse ed imposte varie allo Stato è ritenuto normale tanto che sotto altre forme, solo a chi già produce, gli si chiede di pagare per fornire un ulteriore cospicuo contributo alla “green economy” senza tener conto del reddito.

Il paradosso finale è che tali aziende non sono poi sentite come “aziende etiche” pur contribuendo al bene comune, ma nell’opinione comune sembrano esserlo solo quelle che seguono i dettami ad esempio del WWF. Fino a pochi anni fa non aveva senso definire un’impresa etica, senza dir nulla era sottointeso che il management aveva la responsabilità che corrispondeva a rispettare tutte le norme del diritto e morali. Finché un’impresa era gestita con questi criteri e non era dimostrato che danneggiava qualcuno, si sapeva che produceva anche un bene per la collettività tutta in quanto su questa si avevano ricadute come la creazione di posti di lavoro, benessere, versamento delle tasse, creazione di una cultura positiva, etc. Fra le aziende “in regola”, allora, non era possibile effettuare una graduatoria, dividerle tra buone o cattive, etiche e non, perché era sottointeso che erano tutte “etiche” e da sostenere.

Da un po’ di anni invece c’è un continuo nascere di fondi etici, finanza etica, banche etiche, etc., che si arrogano il diritto di giudicare i buoni ed i cattivi, le aziende da far finanziare preferibilmente perché “verdi” e quelle da “lasciar morire”. Si può così verificare che un’azienda di agricoltura biologica che produce incentivata ed a costi alti per l’elite in cerca di prodotti tipici sia “percepita” come “buona”, invece l’azienda di agricoltura tradizionale che offre cibo a basso costo alla collettività, offre lavoro, paga le tasse che servono per pagare gli incentivi all’agricoltura biologica, paga la componente A3 in bolletta, ricada tra le “aziende non etiche” con tutti i disagi che ne conseguono, pur rispettando tutte le norme.

Provocatoriamente possiamo provare ad “attualizzare”, rendendolo “politicamente corretto” ed europeo, uno dei brani più famosi della Bibbia in un’epoca in cui preoccupa più l’anidride carbonica che l’aborto e l’eutanasia: Mosè scende lentamente dal Monte Sinai, tavole in mano, ed annuncia al popolo riunito ad aspettarlo: “Ho una buona ed una cattiva notizia”. Quella buona è che sono riuscito a farlo scendere a dieci. Quella cattiva è che non ha sostituito il “non uccidere” con il ridurre l’emissioni di anidride carbonica”.

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