Italiani si nasce, cittadini si diventa di Tommaso Scandroglio, 25-11-2011,
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“Mi auguro che in Parlamento si
possa affrontare anche la questione della cittadinanza ai bambini nati in
Italia da immigrati stranieri. Negarla è un’autentica follia, un’assurdità. I
bambini hanno questa aspirazione”. Queste le parole del presidente Giorgio
Napolitano pronunciate un paio di giorni fa in occasione dell’incontro al
Quirinale con la Federazione delle Chiese evangeliche. Il Capo dello Stato in
buona sostanza suggerisce di assegnare la cittadinanza italiana ai figli di
stranieri al momento della nascita su suolo italiano. E’ una proposta da
condividere?
La questione è complessa e non di
immediata soluzione. Cerchiamo di dipanare l’intricata matassa tentando di fare
una sintesi di ciò che dice il nostro ordinamento giuridico a riguardo (per
forza di cose dovremo tralasciare alcuni casi marginali) e accennando alla
disciplina legislativa vigente in altre nazioni.
In via preliminare dobbiamo
ricordare che nella maggioranza dei paesi europei in tema di cittadinanza si
adottano un mix di due criteri: lo jus sanguinis e lo jus soli. Il primo fa
acquisire la medesima cittadinanza dei genitori. Il secondo criterio assegna la
stessa cittadinanza del luogo di nascita. A seconda delle nazioni si propende
più per un criterio piuttosto che per l’altro.
In Italia la materia è regolata
dalla legge n. 91 del 1992. Analizziamo per sommi capi il suo contenuto. Il
figlio di genitori italiani diventa anch’egli italiano. Ciò accade anche nel
caso il minore fosse adottato ed anche nel caso in cui l’adottato fosse un
bambino straniero.
Il cittadino straniero può
acquisire la cittadinanza italiana? Sì in questi casi e secondo queste
condizioni. Se uno straniero sposa un cittadino italiano acquisisce la
cittadinanza italiana dopo che ha risieduto legalmente in Italia per due anni
(non valgono al fine del computo eventuali e precedenti anni di convivenza). Se
hanno già un figlio, è sufficiente un solo anno.
Oppure si può ottenere la
cittadinanza italiana se si risiede legalmente in Italia da dieci anni (quattro
se si proviene da uno Stato europeo). Infine il figlio di straniero, nato sul
suolo italiano, può diventare cittadino italiano se entro il 19° anno di età ne
fa richiesta e se fino ai 18 anni è stato legalmente residente in Italia senza
interruzioni significative.
Quest’ultimo caso interessa da
vicino ciò che ha detto Napolitano. Il Presidente della Repubblica desidera
modificare questa parte della legge (art. 4, comma 2) e far ottenere la
cittadinanza ai figli di stranieri appena questi nascono in territorio italiano
e non più al raggiungimento della maggiore età e con il requisito aggiuntivo
della residenza continuata. In sintesi vorrebbe sostituire il criterio dello
jus sanguinis con quello dello jus soli.
Tentiamo di comprendere la ratio
delle disposizioni della legge 91/92 al fine di valutare la validità o meno
della proposta di Napolitano. Per farlo dobbiamo prima capire cosa s’intenda
per “cittadinanza”, termine a dir il vero assai ambiguo. Vi sono vari
significati di “cittadinanza”. C’è un’accezione giuridica che rimanda ad un
insieme di diritti e doveri esclusivi del cittadino che invece gli stranieri
non hanno (es. il diritto al voto). Ovviamente tutti, cittadini dello Stato e
non, possono esigere da questo la tutela dei diritti fondamentali. Dal punto di
vista sociologico invece il cittadino è colui il quale è legato da
significative relazioni con gli altri cittadini e con i propri governanti.
Sotto la prospettiva culturale invece la cittadinanza è espressione di un’adesione
ad un patrimonio di valori, tradizioni, etc. appartenenti ad una nazione. Nella
nostra tradizione occidentale non c’è posto invece per considerare cittadino
chi semplicemente è nato in un certo luogo.
Se proviamo a mettere ordine
nelle definizioni appena accennate vediamo che dal punto di vista logico
particolare rilievo acquisisce il significato culturale di cittadinanza, da cui
deriveranno poi gli altri due significati (a questo proposito si veda cosa dice
Aristotele nella Politica). Chi – al di là della propria etnia – si riconosce in un certo paradigma valoriale
del paese dove si trova a vivere poi parallelamente non potrà che sentirsi
legato sia ad altre persone che sposano medesime visioni culturali (ecco il
significato di “Fratelli d’Italia”) sia ai governanti che sono i primi custodi
di questo deposito di tradizioni, costumi e modelli di vita.
L’adesione partecipata alla
cultura di un paese e quindi l’instaurarsi di significative relazioni
interpersonali diventano allora requisito per vedersi riconosciuti alcuni
privilegi, alcuni diritti particolari e relativi doveri. Dunque
l’identificazione culturale genera l’integrazione sociale e questi due fattori,
che potremmo chiamare “il sentirsi popolo”, permettono l’accesso ad uno
speciale status giuridico. Fu uno sbandamento giuridico di matrice giacobina
che invece iniziò ad instillare nei governanti l’idea egualitaria che anche lo
straniero potesse pretendere questi privilegi
perché uomo al pari degli altri.
Quanto appena esposto è fatto
proprio dalla Chiesa. Nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa al n.
386 possiamo leggere: “Ciò che caratterizza in primo luogo un popolo è la
condivisione di vita e valori, che è fonte di comunione a livello spirituale e
morale”. Quindi l’elemento di coesione culturale e relazionale genera un popolo
e questo viene definito politicamente come Nazione: “A ogni popolo corrisponde
in generale una Nazione” (387).
Questa visione non è solo sposata
dalla Chiesa ma è anche alla base delle scelte normative del nostro ordinamento
in questa materia. Ciò che è importante per il nostro legislatore al fine di
assegnare lo status di cittadino italiano ad uno straniero è provare che questi
aderisce sinceramente a quel pacchetto di valori e tradizione che sono il DNA
del popolo italiano. Ecco perché si richiede, nei casi prima citati, che lo
straniero abbia vissuto in Italia per un certo lasso di tempo. La residenza per
più anni dovrebbe provare che lo straniero si è italianizzato. Certo, è solo
una presunzione giuridica, dato che lo straniero nonostante gli anni vissuti
qui potrebbe anche odiare i nostri costumi e valori. Ma è meglio che niente.
Dunque è da rigettare l’ipotesi
proposta da Napolitano che vede il figlio di stranieri acquisire la
cittadinanza al momento della nascita, perché esclude quel periodo temporale di
prova necessario per verificare una sincera affezione dello straniero alla
nazione Italia. Giusto invece attendere la maggiore età per verificare se
questi si senta davvero e consapevolmente italiano oppure no.
L’obiezione che si potrebbe fare
è la seguente: il neonato di genitori italiani diventa subito italiano, senza
che debba aspettare anni per aderire volontariamente alle nostre tradizioni. Si
risponde che se il principio di presunzione vale per gli stranieri, questo
stesso principio deve essere applicato anche ai figli di cittadini italiani. Ci
spieghiamo meglio. Il nostro Stato presuppone che il bambino che nasce in una
famiglia italiana per forze di cose crescerà imbevendosi di cultura italiana,
perché sin dai primi giorni respirerà costumi, modi di pensare, abitudini
proprie del Bel Paese, ed è quindi giusto assegnargli sin da subito la
cittadinanza italiana (l’alternativa folle che rimarrebbe sarebbe quella di
assegnargli lo status di apolide). Ed è per questo stesso motivo che al figlio
di stranieri il nostro ordinamento non concede subito la cittadinanza italiana,
perché questi crescerà in una famiglia che molto probabilmente gli trasmetterà
valori e concezioni di vita del paese di origine dei genitori. La ratio della concessione automatica della
cittadinanza per figli di genitori italiani e della non concessione automatica
della stessa ai figli di genitori stranieri è dunque la medesima.
Ma come si comportano negli altri
paesi? Forse che la via indicata dal
Capo dello Stato è stata già percorsa da altre nazioni? A parte gli USA e la
Francia pare proprio di no. Gli Stati Uniti hanno sempre applicato lo jus soli
(ti basta nascere in America per diventare americano), a motivo del fatto che
gli States storicamente sono la Nazione delle Nazioni, cioè un coacervo di
varie etnie e culture. Sin dalla loro genesi non c’è mai stata un'unica
identità nazionale di riferimento e dunque il criterio culturale non poteva
essere il collante determinante per sentirsi popolo. In genere infatti un paese
che subisce forti flussi immigratori, come gli USA, tende a privilegiare lo jus
soli allo jus sanguinis. La prova di ciò è il dibattito che sta avvenendo in
Italia: ben 28 sono le proposte di legge che, nella maggior parte dei casi e
con sfumature a volte anche molto diverse, intendono introdurre nel nostro
paese il modello dello jus soli.
In Danimarca, Grecia e Austria lo
straniero, un po’ come da noi, diventa cittadino dello Stato dopo aver vissuto
legalmente nei suoi confini per un tempo che va dai 9 ai 10 anni. In Francia,
analogamente a quanto avviene nei Paesi Bassi e nel Regno Unito, si viene
naturalizzati dopo soli cinque anni di residenza. In particolare per la Francia
vale il doppio jus soli: il bambino nato sul suolo francese da genitori
stranieri anch’essi nati sul suolo francese acquisisce immediatamente la
cittadinanza. Spostandoci in Germania la cittadinanza si ottiene dopo otto anni
di residenza, però occorre avere rendite economiche che permettano l’autosufficienza
e dar prova di conoscere la lingua e la Costituzione tedesca. Se vi sono tutti
questi requisiti, oppure se si ha in mano anche solo un permesso di soggiorno
permanente, i figli che nasceranno saranno automaticamente cittadini tedeschi.
Oppure si può lucrare la cittadinanza sposando un cittadino tedesco e
risiedendo per almeno due anni in Germania.
In Irlanda, Belgio, Portogallo e
Spagna la residenza deve essere stata protratta dai 7 ai 10 anni, ma le norme
sono più soft in materia di nascita sul suolo nazionale. Ad esempio in Irlanda
il figlio di stranieri viene naturalizzato se uno dei due genitori ha un
permesso di soggiorno permanente oppure è residente da almeno tre anni prima
della nascita del figlio. In Spagna il figlio di stranieri ottiene la cittadinanza
se il piccolo risiede nei confini per un solo anno. In Portogallo occorre
invece che i genitori siano residenti da almeno dieci anni o se proveniente da
un paese di lingua portoghese. In Belgio si ottiene la cittadinanza
automaticamente allo scoccare del 18° anni di età, o al 12° se i genitori sono
residenti almeno da dieci. Insomma in nessuno di questi stati vale il criterio
del solo jus soli proposto da Napolitano.
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