PAPA A MILANO/ Scaraffia: solo la famiglia può salvarci dalla
rivoluzione fallita - INT. Lucetta Scaraffia, venerdì 1 giugno 2012, http://www.ilsussidiario.net
Oggi Benedetto XVI arriverà a
Milano per il VII incontro mondiale delle famiglie. Il cardinale Scola ha
esortato a «riproporre la bellezza, la bontà e la verità della famiglia fondata
sul matrimonio tra uomo e donna», facendo tuttavia presente che se «una nuova
fase comincia dal porsi del soggetto», «è inevitabile che in una società
plurale come la nostra, questo porsi debba passare dall’opporsi». Come dire: se
nella pretesa di autonomia dell’individuo che ha segnato gli ultimi
cinquant’anni qualcosa non ha funzionato, allora bisogna dirlo.
«Il mito dell’autorealizzazione
egoistica e della libertà sessuale ha ingannato tanti uomini e tante donne»,
dice a Ilsussidiario.net Lucetta Scaraffia.
La famiglia è in crisi?
Penso che la famiglia si sia
disgregata non tanto a motivo di sollecitazioni contrarie, che pure non sono
mancate, quanto piuttosto per un cambiamento culturale, profondo e di lunga
durata, che ha esaltato l’individuo e la sua realizzazione intesa come
soddisfazione di tutti i suoi desideri individuali. La famiglia, all’opposto, è
una comunità di persone che scelgono di mortificare alcuni desideri individuali
per far vivere la famiglia come tale, stimando che la soddisfazione che essa
può dare è più grande.
Secondo lei il progetto di una
felicità individuale da ricercare al di fuori di una relazione stabile, può
dirsi culturalmente riuscito?
No, al contrario. Tanti giovani,
che hanno visto nella felicità individuale un fine da realizzare attraverso la
libertà sessuale, sono rimasti delusi. Si sono accorti che la strada non è
quella, al tempo stesso nessuno sta facendo loro capire i motivi di quel
fallimento. La Chiesa, che continua a proporre la famiglia come vocazione
autenticamente umana, fa oggi l’unica vera opera di educazione.
Torniamo alla deriva culturale
che ha denunciato. Chi in famiglia ne accusa di più le conseguenze: il padre,
la madre, i figli?
Quando una cultura è malata,
colpisce tutti in modo diverso. Se proprio vogliamo dire chi in questo momento
sta soffrendo di più, direi che sono le giovani donne. Vivono in un clima in
cui hanno tutta la libertà sessuale possibile, spingono per affermarsi nel
lavoro, ma non hanno la possibilità di fare una famiglia e avere dei figli.
Vedono gli anni passare e sanno che il loro tempo sta scadendo.
Non si può certo dire che il
mondo del lavoro oggi favorisca l’aspirazione delle donne a trovare stabilità.
È vero, ma la prima ragione di
disagio non è economica, per esempio i costi degli asili nido o la precarietà
lavorativa, come spesso si dice in modo in parte fondato; è più profonda, e sta
nel fatto che gli uomini della loro età non hanno alcuna intenzione di fare
famiglia. Non intendono assumersi una responsabilità così pesante e intendono
anch’essi approfittare di tutta la libertà sessuale di cui dispongono.
Il cardinale Scola ha scritto che
nella famiglia «il bambino, chiamato per nome, impara a dire “io”». Ma l’io è
proprio uno dei tratti salienti della modernità culturale. La famiglia
tradizionale che la Chiesa difende educa ad un «io» alternativo?
La famiglia ci insegna chi siamo
nei rapporti d’amore primari. Impariamo chi siamo guardando negli occhi delle
persone che ci vedono e che vivono con noi. È all’interno di tali rapporti che
avviene la costruzione e la formazione della nostra personalità. Il problema è
come viene vissuto questo io: se in relazione rispettosa, generosa e amorosa
verso di sé e verso gli altri, o se invece come onnipotente e solo desiderante.
C’è differenza tra la battaglia
culturale contro la famiglia tipica degli anni settanta in Italia, e quella
degli anni successivi?
La differenza c’è ed è molto
forte, anche se non bisogna generalizzare: pensiamo, per esempio,
all’importante riforma del diritto di famiglia del 1975. In ogni caso, il vero
fattore rivoluzionario di quegli anni può essere riassunto nel loro simbolo,
che fu la pillola e il mito, ad essa legato, del controllo delle nascite. Non
innanzitutto, si badi, come momento di egoistica conservazione della propria
autonomia, ma come possibilità di procreare figli migliori. Più «voluti», e
quindi più amati. Gli anni successivi hanno smentito questo miraggio
ideologico, perché hanno dimostrato che spesso il figlio desiderato ha più
problemi proprio per essere stato voluto a tutti costi.
E dopo cos’è accaduto?
Nel periodo che va dagli anni 90
fino ai giorni nostri l’attacco alla famiglia è venuto dalla moltiplicazione
dei diritti, da cui la richiesta di diritti, appunto, per le «nuove» famiglie.
Ma la famiglia è una, le altre sono unioni di tipo diverso che possono essere
rispettate ma che famiglia non sono.
Anche la famiglia è al centro del
fenomeno che Jacques Ellul ha chiamato «slittamento morale»?
Sì. In questi anni lo slittamento
morale − il fatto che nuove realtà vengono man mano accettate per il solo fatto
di esistere, dalle separazioni ai divorzi fino alle coppie omosessuali −,
avviene su tutti i piani, senza eccezione. Questo fenomeno modifica il senso
comune e apre nuove possibilità: negli anni 70 i divorzisti dicevano che con la
nuova legge i divorzi sarebbero diminuiti, invece si è verificato l’esatto
opposto. È solo uno dei molti esempi che si possono fare.
Negli anni 70 non c’era la
possibilità di modificare come oggi il dato di natura, pensiamo alle
biotecnologie.
C’era la pillola, il primo vero
intervento che ha modificato l’ordine naturale della procreazione. Se non ci
fosse stata la pillola, non ci sarebbe stata poi la legalizzazione dell’aborto.
E ciò che si può fare con la
tecnica è destinato a cambiare anche l’attuale senso comune?
Lo sta già cambiando e di molto.
Si sta diffondendo un’eugenetica che non viene chiamata per nome ma che di
fatto lo è, trovando espressione, per esempio, nella possibilità di sapere
prima se un figlio sarà handicappato o no e, nel caso, di eliminarlo. Come se
fosse meglio per lui non vivere.
La politica ha qualche responsabilità
nella trasformazione della famiglia che si è avuta in Italia nell’ultimo mezzo
secolo?
Le leggi del divorzio e
dell’aborto hanno cambiato completamente il modo di vivere la famiglia. Quelle
leggi sono arrivate prima o poi in quasi tutti i Paesi europei. Da storica
posso dire che era quasi impossibile che in Italia non si facessero; non si può
negare poi che nel nostro Paese lo Stato non ha mai fatto una politica di vero
appoggio della famiglia. Da noi è la famiglia che appoggia lo Stato, non viceversa.
Secondo lei un credente dovrebbe
ipotizzare di poter tornare indietro, abrogando quelle leggi?
Il punto è un altro. Penso che il
primo compito sia quello di riflettere sulla fine del mito
dell’autorealizzazione individuale, cogliendo la vera portata di questa crisi,
per prepararne, innanzitutto sul piano culturale, il superamento. Prima della
rivoluzione sessuale la famiglia era una realtà «normale», connaturata al
sentire comune e come tale non discussa. Tornare alla famiglia dopo la crisi e
con una coscienza nuova del valore, sarebbe qualcosa di grandemente positivo.
Cosa si attende da questo VII
incontro mondiale delle famiglie?
La famiglia in questi anni è
stata trattata come un moribondo, mentre il futuro sembrava stare nelle unioni
omosessuali. Mi auguro che questo incontro, cadendo in un periodo di crisi che
non è solo economica ma coinvolge tutta la cultura e la società, segni un
cambiamento di rotta.
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