Comunque sia, non più Dico, di Fabrizia
Bagozzi pubblicato su Europa, il 19/07/12, http://www.radicali.it/
Dopo il pasticcio dell’assemblea
nazionale, Bersani prova a chiudere l’incidente alla festa dell’Unità di
Caracalla: «Abbiamo deciso che il Pd propone le unioni gay secondo le
esperienze di tanti paesi europei come per esempio la Germania. Una novità che
ci fa dimenticare le incertezze». Specifica così ciò che nella relazione
introduttiva aveva definito «presidio giuridico» e così dicendo sottolinea che
ritiene superata la formula dei Dico.
E lo lascia intendere anche una
delle due “autrici” dei medesimi (l’altra era Barbara Pollastrini) Rosy Bindi,
presidente del comitato diritti e del Pd, finita nel cuor della tempesta per la
gestione dell’assemblea (che peraltro rivendica): «Se nel paese e fra le forze
politiche – dice a Il Fatto Quotidiano –, comprese quelle che si mobilitarono
per il Family day è ormai matura la convinzione che si debbano regolare anche
le unioni civili, il merito, per quanto piccolo, va anche ai Dico che hanno
rotto un tabù». Tenute fuori le linee per così dire “massimaliste” (il
matrimonio gay da un lato, il semplice codice civile dall’altro), entra dunque
nel lessico il termine unioni civili, che non era presente nel documento del
comitato diritti, a dispetto del riferimento alla sentenza del 2010 con cui la
Consulta parla del diritto delle coppie omosessuali di vivere liberamente una
vita di coppia. Ma fra sconsolati e arrabbiati dell’una e dell’altra parte, in
casa Pd c’è ancora maretta. E alla fine sarà la direzione il luogo deputato a
indicare con precisione il modello e la proposta che i dem faranno propri.
Certo è che la prudente formula
dei Dico non ha precedenti nella legislazione dei paesi europei che hanno
scelto di darsi una disciplina. E del resto, varati dal governo dell’Unione con
titanica fatica proprio nel tentativo di mediare fra laici e cattolici, i Dico
sono dopo poco finiti su un binario morto e non hanno mai visto la luce. Per
quanto, per dire, fossero così cauti da esplicitare che la dichiarazione di
convivenza dovesse essere individuale e non congiunta, svicolando sul concetto
di coppia (si parlava infatti di conviventi uniti da reciproci vincoli
affettivi).
In materia di unioni omosessuali,
i grandi paesi europei si muovono infatti su tre modelli: 1) il matrimonio
(Belgio, Paesi Bassi, Spagna, Svizzera. Hollande ha appena annunciato che ci
arriverà presto) che equipara e consente in genere anche alla coppia gay, e non
unicamente al singolo, l’adozione (non nei Paesi Bassi, per esempio); 2. le
unioni civili sulla falsariga dei Pacs francesi – riferiti anche alle coppie
eterosessuali –, contratti che permettono di lasciare eredità al partner, di
subentrargli nell’affitto dell’abitazione e di ottenere la pensione di
reversibilità. I medici possono interpellare uno dei partner in caso di
malattia dell’altro. Per sottoscrivere un Pacs i partner devono avere una vita
in comune e prestarsi reciprocamente sostegno materiale. L’adozione non è
garantita. 3) la partnership sul modello tedesco o inglese, evocata da Bersani.
Non c’è equiparazione al matrimonio, ma si applicano ai conviventi disposizioni
analoghe a quelle che il codice civile stabilisce per il matrimonio.
I conviventi devono dichiarare
reciprocamente, personalmente e in contemporanea di voler convivere tutta la
vita e possono scegliere un cognome comune. Sull’adozione, però, i due paesi
divergono: in Germania la coppia non può adottare, in Inghilterra invece è
possibile.
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