La strage di Denver: l'abisso e noi - Quando il Male viene a farci
visita, Marina Corradi, 21 luglio 2012, http://www.avvenire.it/
Avevano fatto la coda per ore per
la prima notturna di The Dark Knight Rises, gli spettatori di Denver, Colorado.
C’erano padri cresciuti con i
fumetti di Batman, e figli venuti su con i videogiochi dell’uomo pipistrello,
il miliardario che si trasforma in giustiziere mascherato per combattere i
cattivi. Ci si può immaginare l’attesa dei ragazzini davanti al cinema, a
mezzanotte, eccitati. Forse quel biglietto da cento dollari era un premio?
«Papà, per la promozione voglio vedere il nuovo film di Batman». E poi la Coca
e il pop corn, e la colonna sonora forte, assordante, da epopea, da ultima
battaglia. Qualcuno per qualche istante ha creduto a una trovata pubblicitaria,
e che l’uomo entrato in sala vestito come Bane, il supercattivo, il grande
nemico di Batman, facesse parte dello show. Maschera antigas e giubbotto
antiproiettile, lanciava fumogeni. Forse sul viso di qualche ragazzino per un
attimo si è acceso un sorriso emozionato? Poi, lo sconosciuto ha sparato.
Guardando le facce, mirando a uno
e a quello accanto no, come obbedendo a una sua folle imperscrutabile logica.
Solo dopo lunghi sbigottiti secondi la gente ha capito che non era un gioco, e
ha cominciato a fuggire.
Dietro alla maschera, hanno
trovato un ragazzo di 24 anni, incensurato. Quale delirio è silenziosamente
maturato in un ventenne all’apparenza come tanti? A 30 chilometri da Denver, a
Columbine, 13 anni fa due studenti uccisero 13 compagni di scuola e si
spararono. Pare una follia che cova sotterranea come un sisma, e torna, e uccide,
nella medesima terra. Ma questa volta l’impressione è forse ancora più
profonda, perché è come se la finzione, come se la maschera di una saga dark
fosse uscita dallo schermo; improvvisamente reale, e feroce, davvero; e
assassina, davvero. Sembra un incubo la notte di Denver, di quelli da cui ci si
risveglia di soprassalto, e occorre qualche istante per prendere le distanze
dai propri fantasmi interiori. Lo choc di Denver è nella metamorfosi: di colpo
il sogno, il virtuale si è fatto reale.
E fa pensare, il fatto che
l’epopea di Batman cominci, nell’immaginazione dei suoi creatori, da un
ragazzino che assiste all’omicidio dei genitori all’uscita di un cinema dove ha
visto un film di Zorro (anch’egli un giustiziere, buono, e però pure lui
mascherato). Quel dramma porta il personaggio Bruce Wayne a farsi segretamente
Batman, l’eroe in lotta perenne contro i cattivi. Batman dunque è la storia di
un ragazzo ferito dal male che per tutta la vita, incatenato a un ricordo,
combatte il male con la sua forza: e coltiva strenuamente il vigore fisico, per
sconfiggere il nemico. Un superuomo dai buoni intenti, ma in realtà così
impotente; giacché è coscienza non solo cristiana, ma semplicemente realista,
la consapevolezza che gli uomini non riescono, con le loro sole forze, a
liberarsi dal male.
Nella notte di Denver c’è così
l’eco di una atroce beffa: il male da maschera virtuale si fa carne e ossa di
un uomo, e spara – davvero; e uccide – davvero. Restano a terra anche dei
ragazzini, nell’urlo straziato delle madri. Com’è stato possibile? Batman è un
soltanto un fumetto. Favola sottilmente ambigua però, che vellica, nell’America
del libero porto d’armi, fantasie di onnipotenza, di una giustizia da semidei
che si impone con la forza; gioco al buio, incrocio di fantasmi che in una
mente malata l’altra notte hanno preteso e imposto di farsi realtà. E lo
sappiamo che anche noi, in tanti almeno, siamo affascinati da storie oscure,
doppi volti, misteri, tanto che collettivamente, quasi con spensierata
innocenza li frequentiamo sullo schermo. È un gioco, diciamo. Gioco però che
trova risonanza in qualcosa, dentro di noi, di profondo.
Nietzsche, il filosofo del
superomismo, scrisse: quando guardi l’abisso, l’abisso ti guarda. Forse è ciò
che è accaduto a un ragazzo troppo solo, troppo silenzioso alla periferia di
Denver, Colorado.
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