Gemelli perché sembrano uguali ma sono diversi - I monozigoti hanno lo stesso
Dna. Ma i geni si esprimono in modo differente a seconda degli stimoli che
ricevono dall’ambiente. Ora una scienza, l’epigenetica, studia questa
interazione. E ci aiuterà anche a battere il cancro di ALEX SARAGOSA, 27 luglio
2012, http://www.repubblica.it
Ladan e Laleh erano due sorelle
iraniane. Una amava gli animali, l’altra i videogame. Laleh era introversa,
Ladan espansiva. Una appassionata di diritto, l’altra di scrittura. Nulla di
strano, se non fosse che Ladan e Laleh erano due gemelle siamesi, congiunte
alla testa per 29 anni, ma così diverse e decise a diventare individui autonomi
da affrontare un rischiosissimo intervento di separazione, che, purtroppo, le
ha uccise entrambe nel 2003. «Sono casi come questi che mi hanno fatto
riflettere » dice Tim Spector, genetista inglese e uno dei massimi esperti
mondiali di gemelli. «Ladan e Laleh erano cloni, con lo stesso Dna in tutte le
cellule del loro corpo. Hanno vissuto obbligatoriamente insieme, condividendo
le stesse malattie, eventi della vita, scuole, amicizie. Eppure erano diverse.
Qualcosa nella costruzione della nostra individualità va evidentemente al di là
sia del genoma che dell’ambiente, visti separatamente». Il riconoscimento
dell’esistenza di questo «terzo fattore», che fa da ponte tra gli altri due, si
sta rivelando importante quanto l’aver decifrato la struttura del Dna umano.
«Quando nel 2000 fu annunziato il sequenziamento del genoma umano» spiega
Maurizio D’Esposito, ricercatore dell’Istituto di genetica e biofisica del Cnr
di Napoli, «pensavamo di avere le chiavi per spiegare quasi tutto di noi, dalle
malattie alla personalità. In realtà avevamo solo aperto un primo, piccolo
spiraglio». In questi anni, infatti, si è scoperto che ben pochi tratti fisici
o patologie derivano da varianti di singoli geni, la quasi totalità è invece
collegata all’attività di molti geni combinata con i fattori ambientali. A
spiegare come l’espressione dei singoli geni venga modulata dalla relazione con
l’ambiente e con gli altri geni è la cosiddetta epigenetica. «Sappiamo da molti
decenni che esiste un meccanismo che attiva o disattiva gruppi di geni in ogni
cellula» continua D’Esposito «altrimenti non si spiegherebbe perché, pur avendo
lo stesso Dna, una cellula del fegato funzioni in modo così diverso da una del
cervello o delle ossa. Ma ciò che stiamo scoprendo in questi anni è che questi
meccanismi intervengono continuamente durante la vita, in risposta a fattori
esterni, sia fisici – come il cibo, l’attività fisica, gli inquinanti – che
psicologici – come lo stress e i traumi – cambiando non solo il nostro
metabolismo, ma anche la nostra personalità. Fra gli organi più sensibili a
questi cambiamenti epigenetici c’è infatti proprio il cervello». Nel libro
Identically different (Wedenfeld & Nicolson, pp. 352, sterline 25), Spector
riassume quello che l’epigenetica ha scoperto finora, grazie anche allo studio
dei gemelli. Che, se monozigoti, ai nostri occhi appaiono assolutamente
identici perché i tratti fisici come l’altezza, la conformazione ossea e il
tipo di pelle sono quelli più legati all’espressione di base dei geni. «Noi,
come altri gruppi nel mondo » dice Spector, «studiamo salute, fisiologia e
psicologia dei gemelli identici, che hanno lo stesso Dna, comparando i
risultati con quelli ottenuti con gemelli non identici, che hanno in comune la
metà del Dna. Sia i gemelli identici che i diversi, condividono età e ambiente
di vita: misurando quindi le differenze fra i due membri delle singole coppie –
si tratti di malattie contratte o di tratti di personalità sviluppati – si può
cercare di risalire a quanto ogni caratteristica dipenda dai geni ereditati».
Con questo metodo i genetisti hanno assegnato una percentuale di ereditarietà
ad alcune caratteristiche: il peso alla nascita è ereditario al 60 per cento,
il QI al 70, l’ottimismo al 40 per cento nelle donne (ma solo al 10 per cento
negli uomini). «Ma la cosa più interessante» continua Spector «è che ci siamo
accorti che anche fra gemelli identici, disfunzioni, suscettibilità a malattie
e personalità, divergono sempre di più con il passare del tempo, come se lo
stesso genoma fosse stato modificato in maniera diversa dagli stimoli
ambientali». A fare da tramite fra un ambiente sempre variabile e il quasi
immutabile Dna sono appunto i meccanismi epigenetici. «Il più comune dei quali»
spiega Esposito «è la metilazione, ossia l’addizione al gene bersaglio, tramite
speciali enzimi, di una molecola chiamata metile, che ne blocca il
funzionamento. Il meccanismo è reversibile, ma l’alterazione a volte dura tutta
la vita, e può addirittura essere trasmessa da una generazione all’altra.
L’epigenetica, quindi, può essere vista come una sorta di meccanismo evolutivo
parallelo, che consente un rapido adattamento del singolo, e della sua prole,
all’ambiente, senza attendere la lenta mutazione e selezione naturale del Dna».
A far teorizzare quest’ultima, straordinaria caratteristica dell’epigenetica, è
stato uno studio sulle donne olandesi incinte durante la carestia del 1944. I
loro figli, nati sottopeso, oggi soffrono più della media di diabete e obesità,
e hanno generato a loro volta neonati sottopeso. È come se il corpo materno
avesse preparato il feto alla situazione di carestia, modificando il
funzionamento di alcuni suoi geni per aumentare l’accumulo di grassi e
zuccheri, e sopravvivere alla fame. Se però il figlio cresce poi in un ambiente
ricco di cibo, il vantaggio epigenetico diventa svantaggio, aumentando il
rischio di obesità e diabete. Si stanno ora scoprendo altri effetti
dell’ambiente sulle caratteristiche genetiche: nei ratti allevati da madri poco
affettuose risulta bloccato epigeneticamente il gene per il recettore
glucocortisoide, il che provoca un accumulo di cortisolo, l’ormone dello
stress, nel cervello, portando ad ansia e iper reattività. Uno studio compiuto negli
Usa su 720 coppie di gemelli e fratelli, seguiti dall’infanzia all’adolescenza,
ha rilevato una correlazione fra freddezza delle madri nella prima infanzia e
comportamenti antisociali nei teenager. Ciò può poi portare a essere genitori
poco attenti, che produrranno figli iper reattivi e così via. Ma la catena può
essere spezzata da un ambiente di vita favorevole. «Individuare le alterazioni
epigenetiche dei geni legati allo stress» dice Spector «potrebbe in futuro
consentirci di individuare in tempo i giovani a rischio e prepararli ad
affrontare i problemi». In effetti lo studio dell’«epigenoma» offre notevoli
opportunità mediche. «La Cina sta investendo miliardi» dice D’Esposito «e anche
l’Italia partecipa a un grande progetto internazionale. Studiamo malattie rare,
causate da errori nella metilazione dei geni, per capirne i meccanismi di base,
in parte oscuri. Quando li avremo compresi, potremo analizzare gli schemi di
metilazione per diagnosticare malattie e realizzare farmaci per curarle ». A
cominciare dagli stessi tumori, che sono anche malattie epigenetiche. L’esame
del Dna di cellule tumorali mostra infatti la mancanza di blocco da metilazione
in geni che promuovono la crescita, mentre, al contrario, quelli che dovrebbero
limitarla sono bloccati dai gruppi metile. La metilazione e demetilazione dei
geni aiuta anche i tumori a evolvere per resistere ai farmaci. Ma questo può
anche essere un loro punto debole: un farmaco che elimina la metilazione è già
in uso per alcune leucemie, e altri trenta sono in sperimentazione. «Quel
farmaco, però, colpisce alla cieca tutte le cellule» conclude D’Esposito
«provocando effetti collaterali. La vera rivoluzione arriverà, credo tra dieci
anni, quando saremo in grado di bloccare o favorire per via epigenetica l’espressione
di ogni singolo gene, imitando quanto il nostro organismo fa già ogni giorno».
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