ISLAM/ Sbai: la storia di Shafilea, uccisa dal padre per un matrimonio
negato - Souad Sbai, martedì 24 luglio 2012, http://www.ilsussidiario.net/
La storia della povera Shafilea,
ragazza della seconda generazione immigrata in Inghilterra, massacrata dal
padre perché non voleva sposare il cugino conosciuto in Pakistan, è del tutto
emblematica. Non sconosciuta, per la verità, nel nostro Paese, che anzi di
vicende del genere ne ha vissute troppe finora e che non hanno insegnato nulla
a chi si riempie la bocca di argomentazioni multiculturali sull’integrazione e
sul rispetto di presunte “identità culturali”. Per il rispetto dell’identità
culturale di un individuo convinto di essere ancora in Pakistan, è morta anche
Shafilea, nella civilissima Inghilterra, laddove però, nel silenzio
dell’opinione pubblica internazionale, regnano sovrane le corti sharitiche,
capaci in alcune zone o in alcuni ambienti, di prendere il posto della tanto
rigida civil law britannica. E di creare danni immani, soprattutto per le donne
e per le seconde generazioni. Shafilea scompare misteriosamente dopo un litigio
con il padre, sempre relativo al rifiuto di sposare il cugino, e viene
ritrovata un anno dopo in avanzato stato di decomposizione vicino al fiume
Cumbrian. La madre, che inizialmente nega tutto, crolla in seguito e confessa
che la vicenda era ormai andata oltre le semplici liti e che lei non aveva
parlato finora perché il marito la massacrava ogni giorno da quando si erano
sposati. Poi le minacce di morte a lei e ai figli se avessero ancora chiesto
qualcosa e una sequela di menzogne, che dovrebbero mandare direttamente
all’ergastolo chi si è preso la libertà di far scomparire una ragazza pensando
che nessuno si sarebbe accorto della sua assenza. Frutto amaro della leggerezza
con cui, non solo in Italia, ma in tutta Europa, si tratta la vicenda
dell’integrazione e dell’accoglienza a tutti i costi. In cui si pensa,
erroneamente e in qualche caso anche volutamente, che ogni cultura debba essere
presa per com’è, in tutte le sue caratteristiche, senza scremare con dovizia
quali aspetti possono o non possono essere accolti in una società civile.
Voglio ricordare che Shafilea, prima di morire, aveva anche ingerito della
candeggina per uccidersi, perché non voleva in nessuna maniera assecondare
quella barbarie che è il matrimonio combinato con un parente. E anche qui la
cecità delle autorità, di chi l’ha soccorsa, che non si è per nulla premurato
di chiedere perché lo avesse fatto oppure di fermare quel padre che faceva del
terrorismo familiare una routine agghiacciante.
La responsabilità, mi duole
dirlo, non solo in Inghilterra ma dovunque ciò accada, è tutta e solamente in
capo a chi ha il dovere di reprimere questi fenomeni. A una certa politica in
primis, che ancora vagheggia di una società immaginaria in cui la libertà di
culto corrisponde al niqab, in cui la libertà di autodeterminarsi corrisponde
al matrimonio combinato, in cui gli usi e costumi corrispondono
all’infibulazione. Poi quella società civile sorda e buonista che si bea delle
chiacchiere da salotto radical chic, sulla necessità di espressione di ogni
afflato culturale, quand’anche questo metta in catene una donna o una giovane
che vuole essere parte integrante del Paese che l’ha accolta. O che
semplicemente voglia essere libera. Di Shafilea ce ne sono migliaia nascoste
nelle case in cui abitano, ormai prigioni a tutti gli effetti, incatenate da
padri e comunità talmente chiuse e infettate dall’estremismo culturale da non
riuscire più a vedere che davanti a sé c’è una figlia o una moglie. Una lama
pende sul collo di tutte queste povere ragazze, ormai imprigionate nel silenzio
e che sono destinate, un giorno o l’altro, a fare la conoscenza con la violenza
e con la morte. La società occidentale ha deciso, non comprendendo la
responsabilità storica che si sta assumendo, di lasciarle sole. Forse solo
quando l’estremismo omicida inizierà a colpire anche le figlie di chi oggi non
vuole vedere, la coscienza collettiva si risveglierà, sperando che non sia così
tardi da non poter più porre rimedio. Come è stato per Hina Saleem, per Rachida
Rida. Jamila che non poteva andare a scuola perché troppo bella o Nosheen,
ridotta in fin di vita perché rifiutava un matrimonio combinato. Ah, tanto per
rimanere in tema, dal 9 luglio è sparita a Monza una sedicenne pakistana,
Parveen Ayes, di cui non si hanno più tracce. Speriamo non abbia fatto la
stessa fine, perché i presupposti appaiono tragicamente simili.
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