IL CASO/ Aldo Trento: ho visto brillare l'eterno in un bimbo deforme - INT.
Aldo Trento, mercoledì 18 luglio 2012, http://www.ilsussidiario.net
Pakistan: un padre, dopo aver
cercato di avvelenarla, ha sepolto viva la propria figlia di soli due giorni.
Il motivo? Aveva alcune deformazioni sul
viso: non mi piaceva la faccia che aveva, avrebbe dichiarato. La piccola,
secondo quanto hanno confermato i medici che l'hanno fatta nascere, "aveva
una testa piuttosto grande e lineamenti fuori del normale". La gente mi
avrebbe chiesto perché la bimba aveva una faccia tanto brutta, ha detto ancora
l'uomo. IlSussidiario.net ha chiesto a Padre Aldo, che da anni raccoglie nella
sua clinica casi di bambini abbandonati per le loro deformazioni, un commento
su questo terribile episodio: "Non si tratta di un problema religioso o
non religioso" ha detto "ma è molto di più. Si tratta di capire che
anche quelle vite considerate indegne di essere vissute sono relazione con
l'infinito".
Padre Aldo, di fronte a questo
episodio, che cosa muove l'uomo alla compassione e alla accoglienza di fronte a
qualunque condizione di vita?
Nell'esperienza che faccio da
otto anni mi sono trovato a convivere con tutte le situazioni che, secondo il
mondo e secondo una certa cultura, sono situazioni indegne della vita umana.
Quando si pensa così è perché si parte dal presupposto che l'uomo non è
relazione con l'infinito ma pura massa di carne e sangue. Guardando questi
bambini nelle loro deformazioni ho capito che non si tratta di un problema
religioso o non religioso, ma è molto di più.
Ci dica.
Credo che solamente dove
l'esperienza di Cristo arriva e accade è possibile una commozione fino al punto
di dare la vita per un altro. Penso al bimbo che ho adottato dandogli il mio
nome e cognome, un bambino che per le condizioni in cui è sarebbe un classico
caso di eutanasia, una vita senza senso. Per alcuni tenerlo in vita è quasi una
violenza verso il bambino. Ma per me è la ragione stessa per cui Cristo si è
fatto carne.
Come è possibile dire questo?
Quando mi avvicino a quel bambino
con quella testa che sarà quattro volte la mia, ancor di più di quello che
potrebbe apparire guardandolo così deformato, io vedo in lui vibrare l'essere.
L'essere in quanto tale, un fatto
concreto che si impone, che esiste a prescindere da noi e dai nostri progetti.
Questo bambino c'è, esiste e il
fatto che c'è vale più di tutto il mondo messo assieme. Io credo che anche chi
non crede può commuoversi oppure scandalizzarsi, e viceversa. Quando qualcuno
viene qui alla nostra clinica si domanda perché questi bambini vengano tenuti
in vita in quelle condizioni, deformati peggio di Ermanno lo storpio. Si
chiedono perché li teniamo in vita. Io invece stando davanti a questi bimbi
percepisco con chiarezza che quel bambino è più di ciò che è la sua condizione
fisica: quel bambino è relazione con l'infinito.
Cosa intende con relazione con l'infinito?
Questa relazione esiste non
perché uno ne ha coscienza chiara, esiste a prescindere che tu te ne accorga o
meno. Per alcuni chi non ha coscienza di sé è una merce da tirare e gettare
via. Per me invece è la grazia più grande pensare che più di mille persone fra
bambini e giovani possano essere state accompagnate a morire in questa nostra
clinica. Quello che mi ha mosso è la coscienza chiara che l'uomo, ancor prima
di incontrare Cristo o che qualcuno si occupi di lui perché in lui ha visto
Cristo, è riflesso dell'eterno, è un mistero.
Mistero è una parola che la
nostra società tende a escludere, mistero è ammettere che la vita non si
possiede. Spesso infatti noi vorremmo eliminare tutto ciò che ci infastidisce.
E' così?
Certo. E' meraviglioso pensare
che abbiamo seppellito un bambino senza cranio e abbiamo avuto il permesso di
seppellirlo nel nostro giardino dove c'è la clinica nuova. Quel bambino che ha
vissuto per anni in stato vegetale e che ha commosso tutti qua dentro, dal
personale medico ai visitatori, adesso è fondamento stesso della clinica. La
commozione e il pianto erano presenti in tutti quando lo abbiamo seppellito.
Guardando questo cadaverino che è stato il verbo dell'anima, io ho sentito
realmente la presenza dell'essere.
E' questo che permette di
accogliere anche la vita di quella bimba pachistana che invece il padre non
riusciva ad accettare?
E' il fatto che una vita esiste e
se esiste vuol dire che il mistero la sta facendo. Se parliamo in termini di
risultati la conversione di molti di noi e non solo di noi è passata mediante
la contemplazione di quel corpicino che quando era vivo aveva gli occhi che
erano esplosi, respirava e basta ed è stato con noi per anni con la chiarezza
che era presenza del mistero. Questo vale per il credente o meno. Quel bambino
vuol dire che qualcuno che non sono io lo sta facendo. Fino al punto in cui il
massimo giornalista di questo Paese, che è un ebreo non credente, dopo che ha
visto queste cose filmandole per un servizio televisivo in diretta, ha detto:
se quello che ho visto è Dio anche io ci posso credere.
Riconoscere che la vita è
mistero, che è più grande e non definibile da noi: se uno è onesto, questo
fatto cambia la sua vita.
E' proprio questa la cosa bella
che dice anche il titolo del Meeting di quest'anno. L'uomo, non importa che tipo
di uomo, è comunque rapporto con l'infinito. Nella mia esperienza questo mi da
allegria e certezza perché ho la consapevolezza che questi esseri vivono solo
perché Dio ha un disegno su di loro.
E questo disegno qual è?
Che io mi converta, che noi corpo
mistico di Cristo prendiamo coscienza di quello che siamo, cosa che altrimenti
dimentichiamo. Quando è morto quel bimbo si è realizzato in pienezza quello che
sempre abbiamo visto. Questo vale anche per le ragazzine madri di 11 anni che
in questi mesi hanno partorito qui da noi. E' una battaglia contro la cultura
di oggi, ma il fatto che queste bambine abbiano avuto la grazia di intendere
che portano nel loro corpo una presenza misteriosa che è quel bambino nato da
loro, vuol dire usare la ragione. La ragione si domanda chi è che ha fatto
questa persona. Questa domanda vale anche per i travestiti malati di aids che
abbiamo qui. La prima cosa che dicono dopo un po' che stanno qui è: ringrazio
la malattia perché mi ha permesso di reincontrare la ragione della vita che
avevo perso.
(Paolo Vites)
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