LA TUTELA DELLA VITA - «Obiezione diritto inviolabile», 31 luglio 2012,
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La sfida posta dalle nuove
frontiere della scienza e della biomedicina allo Stato costituzionale e
pluralista è raccolto da un documento del Comitato nazionale per la bioetica
sull’obiezione di coscienza diffuso ieri. Il documento, come è stato già precisato
dal vicepresidente del Cnb Lorenzo D’Avack, «è stato esaminato da un punto di
vista generale» senza limitarsi a campi in cui sono già in vigore leggi, come
quelle sull’aborto o sulla procreazione medicalmente assistita. Il testo è
stato approvato praticamente all’unanimità, con un solo voto contrario, quello
di Carlo Flamigni, che però si è astenuto sulle conclusioni.
«Si tratta di evitare – afferma
tra l’altro il documento redatto da un gruppo di lavoro coordinato da Andrea
Nicolussi, ordinario di Diritto civile all’Università Cattolica – di imporre
obblighi contrari alla coscienza strumentalizzando chi esercita una
professione». Nelle conclusioni si afferma che l’obiezione di coscienza in
bioetica «è costituzionalmente fondata, con riferimento ai diritti inviolabili
dell’uomo». Nel sottolineare che essa «va esercitata in modo sostenibile», si
ribadisce che è «un diritto della persona e un’istituzione democratica
necessaria a tenere vivo il senso della problematicità riguardo ai limiti della
tutela dei diritti inviolabili». Il parere evidenzia peraltro che quando si
riferisce a un’attività professionale, essa «concorre a impedire una
definizione autoritaria» data per legge delle «finalità proprie» di quella
attività. «La tutela dell’obiezione per la sua stessa sostenibilità
nell’ordinamento giuridico – si aggiunge – non deve limitare né rendere più
gravoso l’esercizio dei diritti riconosciuti per legge né indebolire i vincoli
di solidarietà derivanti dalla comune appartenenza sociale».
Il Cnb raccomanda che la legge
preveda «misure adeguate a garantire l’erogazione dei servizi, eventualmente
individuando un responsabile degli stessi». L’esercizio di questo diritto
fondamentale deve essere disciplinato in modo tale «da non discriminare né gli
obiettori né i non obiettori e quindi non far gravare sugli uni o sugli altri,
in via esclusiva, servizi particolarmente gravosi o poco gratificanti». Allo
scopo si chiede «la predisposizione di un’organizzazione delle mansioni e del
reclutamento», che «può prevedere forme di mobilità del personale e di
reclutamento differenziato, in modo da equilibrare sulla base dei dati
disponibili il numero degli obiettori e dei non obiettori». Si indica anche la
strada anche di controlli «a posteriori» per accertare che l’obiettore non
svolga attività incompatibili con la sua scelta dichiarata. Sono da evitare
però processi alle intenzioni a priori che mortificano la sua libertà. Il
parere insomma evidenzia in ogni modo l’«esigenza di rispetto dei principi di
legalità e di certezza del diritto», e dei diritti spettanti ai cittadini.
Nella parte riservata all’analisi morale si chiarisce che l’obiezione non si
basa su una mera opinione soggettiva, ma su di un valore «rincoscibile e
comunicabile».
Da un punto di vista giuridico
essa viene distinta nettamente da qualsiasi forma di "sabotaggio" di
leggi in vigore, ma anche dalla disobbedienza civile e dalla resistenza al
potere. Su un piano più generale si osserva che che tale istituto segna «una
profonda revisione» della cultura giuridica avvenuta dopo Auschwitz. Nel caso
della difesa della vita o della salute il valore richiamato dal medico
obiettore rappresenta in effetti una diversa interpretazione del valore
protetto dalla Costituzione rispetto a quanto avviene nella legge approvata a
maggioranza. La legittimità della obiezione testimonia quindi che il diritto
costituzionale più aggiornato «accetta uno spazio critico nei confronti delle
decisioni della maggioranza», proprio perché i principi richiamati sono
presenti nella stessa Carta fondamentale dello Stato. L’obiezione di coscienza
assume, inoltre, un peculiare rilievo «quando è invocata da un soggetto
nell’esercizio di un’attività professionale», come risulta dai codici
deontologici. In quello dei medici si afferma che l’esercizio della professione
è fondato «sulla libertà e sull’indipendenza», «diritto inalienabile del
medico», che qualora gli «vengano richieste prestazioni che contrastino con la
sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria
opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato
nocumento per la salute della persona
assistita».
Principi richiamati nel
giuramento professionale. Il parere esamina anche il fenomeno del continuo
spostamento dei terreni di applicazione dell’etica, osservando che l’agire del
medico regredisce dal trattamento chirurgico alla prescrizione del farmaco, o
nel caso del farmacista alla somministrazione di esso. Questione che non
riguarda solo i farmaci abortivi, tema già trattato dal Cnb, ma anche quelli
letali illeciti in Italia, ma ammessi in altri Paesi. La complessità della
questione secondo il Comitato suggerisce l’intervento degli ordini
professionali per definire coloro che sono legittimati a esercitare
l’obiezione. Ma considerando anche i casi in cui tale diritto non è
riconosciuto, il parere osserva che «finché l’ordinamento ha la forza di
ammettere l’obiezione mantiene un certo equilibrio; quando invece non è
riconosciuta o gli obiettori vengono discriminati la legalità si riveste
nuovamente del carattere autoritario», come Creonte nell’Antigone di Sofocle.
Pier Luigi Fornari
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