Esiste davvero il “cervello gay”? - Fattori biologici e cerebrali
nell’omosessualità. - di Alberto Carrara, biotecnologo e neuroeticista, 26
luglio, 2012, http://www.uccronline.it/
La giornalista Ann Landers, anni
fa, lo assicurava e milioni di persone ci hanno creduto e continuano ad aver
fede nelle certezza che: “si nasce gay”[1]. Ci chiediamo allora: vi sono dati
empirici che la scienza possa fornire per dimostrare in modo apodittico tale
affermazione? In sintesi: omosessuale si nasce o si diventa?
Questo studio riassuntivo vuole
confrontare nel modo più obiettivo possibile i dati che la neuroscienza e la
genetica forniscono sul questa tematica. Mi concentrerò prevalentemente sulla
prima parte dell’ultima domanda: “omosessuale si nasce?”. Prima di trattare
l’enigma se l’omosessualità sia una condizione determinata da fattori
biologici, cioè, se sia una situazione compatibile con ciò che si suol
denominare “normale” all’interno della stessa natura umana, bisogna premettere
alcune distinzioni e chiarimenti utili.
Bisogna precisare che: una cosa è
“sentire” una tendenza, altra cosa è “acconsentire” e assecondare tale tendenza
mediante atti umani deliberati. Tutti gli studi scientifici condotti in materia
di omosessualità per provare se tale condizione fosse determinata da fattori
biologici e neurologici, hanno coinvolto persone che si definiscono “gay”, cioè
individui che oltre a percepire una tendenza sessuale verso persone dello stesso
sesso biologico, praticano atti omossessuali. In questo studio verrà presa in
considerazione la tesi secondo la quale l’omosessualità praticata risulterebbe
qualcosa di “normale e naturale” dato che corrisponderebbe a specifici fattori
genetici e a particolari conformazioni della struttura del sistema nervoso, in
particolare, del cervello. I dati empirici che verranno presentati, serviranno
per verificare la veridicità di questo nuovo ambito del determinismo
neuroscientifico che comprende la sfera dell’orientamento della sessualità
umana.
“Il sistema nervoso, quale centro
d’integrazione della vita istintiva, come pure del mondo emotivo ed affettivo,
ha molto a che vedere con la sessualità e considerando il fatto che il
comportamento sessuale dell’uomo e della donna sono distinti, bisogna supporre
a priori che i centri nervosi sessuali presentano differenze in entrambi i
sessi”, in questo modo formulava il problema un esperto[2]. Nel 1978 quattro
scienziati del Dipartimento di Anatomia dell’Istituto di Ricerca sul Cervello
dell’Università della California (USA), pubblicarono un articolo sulla
prestigiosa rivista Brain Research nel quale veniva descritta una chiara
diversità morfologica tra i due sessi, maschile e femminile, a livello
cerebrale[3]. Questo fu uno dei primi lavori che volevano dimostrare
scientificamente il dimorfismo sessuale localizzandolo a livello dei centri
nervosi. I ricercatori affermarono di aver evidenziato il fatto che uno dei
nuclei ipotalamici anteriori presentava, nel ratto, un volume maggiore nei
maschi, rispetto alle femmine.
Simon LeVay, neuroscienziato del
Salk Institute for Biological di San Diego (uno degli attivisti gay più famosi
della California), pensò subito che questo dimorfismo sessuale potesse darsi
anche nella specie umana e, nello specifico, nei maschi eterosessuali ed
omosessuali. Così, nel 1991 pubblicò sulla prestigiosa rivista scientifica
Science uno studio in cui si provava effettivamente che anche negli esseri
umani, negli uomini, si manifestava lo stesso dimorfismo sessuale dimostrato
nei ratti in modo tale che il nucleo 3 dell’ipotalamo anteriore aveva un’area
quasi doppia nei maschi, rispetto alle femmine[4]. Nello stesso studio LeVay
ricercò le dimensioni di questo nucleo in un gruppo di 27 gay deceduti a causa
dell’AIDS. La sua conclusione fu che in questi soggetti l’area risultava essere
minore (in volume) rispetto agli eterosessuali e appariva, sempre secondo
LeVay, simile alle dimensioni dello stesso nucleo ipotalamico delle donne.
LeVay affermò quanto segue: “questi risultati indicano che il nucleo ricercato
presenta un dimorfismo in relazione all’orientamento sessuale, almeno negli
uomini e suggerisce che l’orientamento sessuale abbia un sostrato biologico”.
Dal semplice suggerimento si
passò presto a dichiarare il fatto: “l’omosessualità ha una base biologica”!
Questi risultati vennero lanciati e propagandati dai gay e dalla stampa senza
alcuna distinzione e con titoli clamorosi come il seguente: “LeVay e il suo
gruppo hanno dimostrato la base neurologica della gaycità”. Queste
interpretazioni, decisamente di parte e non prive di pregiudizi, dei risultati
e la scarsa significatività statistica dei valori riportati dallo stesso LeVay,
furono sufficienti per stimolare parte della comunità scientifica che rispose
con una serie di articoli critici[5]. Effettivamente numerosi neuroscienziati
non si spiegavano come LeVay, noto e rispettato ricercatore, avesse potuto
pubblicare un lavoro del genere con una base scientifica così patentemente
insufficiente per sostenere le conclusioni addotte. Il numero di casi studiati
da LeVay, considerando la dispersione dei valori statistici ottenuti, era
insufficiente a concludere qualsiasi cosa. In realtà, il nucleo ipotalamico in
questione presentava in alcuni soggetti gay un’area simile in volume a quella
di soggetti eterosessuali e, al contrario, in certi eterosessuali il volume
dello stesso nucleo risultava poco più grande di quello delle donne. Si
potrebbe anche ribattere che, mentre LeVay misurava le dimensioni del nucleo
come elemento disciminativo, in realtà sarebbe stato meglio, cioè sarebbe
risultato più specifico considerare il numero di neuroni o la cariometria.
Swaab e Hofman affermarono in
modo chiaro e lampante che le osservazioni di LeVay non erano state ancora
confermate, né risultava chiara il loro ruolo funzionale[6]. Così LeVay si vide
obbligato a spiegare alla comunità scientifica che ciò che pubblicò
corrispondeva solamente ad una piccola parte, ad uno studio iniziale che
sarebbe proseguito nel tempo. Beh, sono trascorsi più di 10 anni da questa
affermazione e la comunità scientifica sta ancora aspettando con ansia lo
studio completo. Dopo due anni dall’intento fallito del dottor LeVay, che
voleva dimostrare la base neurologica della “gaycità”, un altro dottore, Dean
Hamer rese noto al pubblico i risultati della sua ricerca sul presunto gene
responsabile dell’orientamento sessuale gay. Questi risultati furono ovviamente
ripresi da LeVay che nel 1993 pubblicò un libro dal titolo emblemetico: “Il
cervello sessuale”[7].
Dean H. Hamer, genetista
dell’Isistuto Nazionele del Cancro negli Stati Uniti e, tra l’altro noto gay,
affermò di aver trovato finalmente un gene localizzato sul cromosoma X, che
avrebbe potuto essere il responsabile dell’omosossualità. Prima di pubblicare
questo suo lavoro, Hamer iniziò a indagare il possibile carattere ereditario di
questo orientamento sessuale. Studiando un’ampia popolazione, osservò che nelle
famiglie in cui si avevano più di un figlio omosessuali, un numero
significativo di zii della linea materna avevano anch’essi più di un figlio
omosessuale. Ciò non avveniva con la stessa frequanza nella linea paterna.
Questo fece pensare a Hamer che doveva esserci un gene localizzato sul
cromosoma X che poteva essere “imputato” della tendenza omosessuale. Prendendo
le mosse da questa ipotesi di lavoro, lo scienziato americano ricercò sul
cromosoma X un gene o marcatore che presentasse qualche variante significativa
correlata all’eterosessualità. Questa variante esiste, secondo Hamer, e si trova
(in 33 casi su 40, dei soggetti reclutati da Hamer) nel marcatore denominato
q28 che Hamer “ribattezzò” gene Xq28 affermando: “abbiamo dimostrato che una
forma di omosessualità nei maschi si trasmette in modo preferenziale per via
materna ed è legata geneticamente alla regione q28 del cromosoma X”[8].
Nel 1995 il gruppo di ricerca di
Hamer pubblicò un nuovo studio similare sulla prestigiosa rivista Nature
Genetics[9]. Per l’ennesima volta la stampa divulgò la notizia “scoop” come
avvenne in precedenza con le ricerche infondate di LeVay. Nonostante ciò,
all’interno della comunità scientifica, questi risultati non furono recepiti
con lo stesso entusiasmo delle comunità ed associazioni gay, anzi, un clima di
scetticismo pervase sumerosi studiosi e scienziati seri. In effetti, diversi
scienziati, tra i quali spiccano George Rice, Carol Anderson e George Ebers
della Western University (Ontario, Canada) e Neil Risch dell’Università di
Stanford, cercarono di replicare lo studio di Hamer, cosa ovvia e abbastanza
scontata per gli scienziati che ci seguono (la scienza positiva funziona così
da secoli). I loro risultati vennero pubblicati 6 anni più tardi rispetto al
lavoro di Hamer, sulla rivista Science, la stessa in cui, precedentemente Hamer
aveva esposto le sue considerazioni scientifiche circa l’orientamento sessuale.
La ricerca di questo gruppo di scienziati incluse un numero maggiore di coppie
di fratelli omosessuali rispetto al campione considerato da Hamer (52 coppie,
contro le 40 di Hamer). Le conclusioni però furono opposte: i risultati
ottenuti non permettevano di concludere, dal punto di vista della
significatività statistica, che tra gay si desse l’alterazione allelica
indicata da Hamer. Questi autori concludevano il loro studio con queste parole:
“questi risultati non supportano l’esistenza di un gene localizzato sul
cromosoma X responsabile dell’omosessualità”[10]. Lo stesso Hamer dovette
perciò smorzare le sue conclusioni iniziali.
Nello stesso anno in cui comparve
il primo lavoro di Hamer sull’argomento (1993), William Byne e Bruce Parsons
della Columbia University pubblicarono uno studio critico dei risultati dello
stesso Hamer. Per Byne e Parsons, la ricerca e le conclusioni del lavoro di
Hamer suscitavano numerosi sospetti, specialmente di manipolazione. Questi due
scienziati affermarono che “oggigiorno non ci sono evidenze scientifiche che
supportino una teoria biologica dell’omosessualità”[11].
Tale tendenza di alcune correnti
gay di ricercare in modo sfrenato una giustificazione scientifica, sia
biologica, come neurologica, dell’orientamento sessuale e dell’omosessualità, è
stata messa in discussione e criticata dagli stessi omosessuali. Edward Stein,
infatti, manifestó pubblicamente la sua sfiducia nei confronti di una ricerca
smaniosa della base biológica dell’omosessualità che, dopo tutto, conduceva
molti ricercatori gay a forzare le interpretazioni dei risultati ottenuti dalle
loro ricerche[12]. Le ricerche di LeVay e di Hamer sono certamente tra le più
famose e citate. Ci sono però altri filoni che considerano: il diametro della
commissura anteriore del cervello, le impronte dattilari, la lunghezza
dell’indice della mano e la sequenza di nascita. Tutte queste ricerche hanno in
comune il fatto che considerano caratteristiche biologiche che insorgono prima
della nascita, cioè che si vanno determinando durante lo sviluppo embrionale.
Ciò dovrebbe portare alla dimostrazione, come sostengono ancora alcuni
scienziati, che l’orientamento sessuale (omosessualità inclusa) venga
determinato prima della nascita. Insomma, che sia un dato di natura: si
nascerebbe con una certo e determinato orientamento sessuale. Questi studi,
pubblicati su riviste scientifiche prestigiose, costituiscono un’ulteriore
prova in favore del grande interesse, da parte di numerosi omosessuali, nel
dimostrare che tale orientamento sessuale sia un qualcosa di biologico e
congenito, in modo tale che qualsiasi tipologia di “discriminazione” risulti
vessatoria e “omofoba”.
Recentemente sulla rivista
Neuroscientist la scienziata cinese Ai-Min Bao e il ricercatore landese Dick F.
Swaab hanno pubblicato un articolo nel quale si afferma un determinismo
stretto, genetico, nei confronti dello sviluppo dell’orientamento sessuale
umano. Tali scienziati affermano che “allo stato attuale, non vi sono prove che
l’ambiente sociale post-natale abbia un effetto cruciale sull’identità di
genere o nell’orientamento sessuale”[13]. Tali affermazioni, capovolgendo
completamente la logica della scienza empirica, dimostrano l’incongrunza di
pensiero che si nasconde dietro un’ideologica che viene spacciata per scienza
seria. Questi ricercatori sembra che si siano dimenticati completamente, per
un’amnesia, che le evidenze attuali seguono una tendenza opposta alla loro
visione: sempre più i biologi molecolari stanno prendendo coscienza del fatto
che i geni (meglio bisogna dire, le varianti alleliche dei geni) cooperano
strettamente con l’ambiente circostante. L’importanza dei fattori cosiddetti
epigenetici risulta cruciale e permette all’essere umano di “sfuggire” allo
stretto determinismo biologico e neuroscientifico.
Al concludere questo studio
sintetico di analisi eravamo partiti dal voler dimostrare la domanda:
“omosessuali si nasce?”. Bisogna perciò affermare che oggigiorno non possediamo
alcuna prova neuroscientifica, né genetica, che possa sostenere in modo
credibile e scientifico la pretesa che l’omosessualità sia uno stato naturale
dell’essere umano, al contrario, come si è cercato di dimostrare in questo
breve contesto, esistono numerosi studi condotti sull’argomento
dell’orientamento sessuale umano e vi sono abbontanti evidenze empiriche che
negano l’esistenza di basi genetiche e neurologiche causali responsabili della
cosiddetta “gaycità”. Non esiste neppure, il celebre “cervello gay” postulato
da LeVay. Tutto ciò non esclude affatto che possano esserci fattori biologici,
genetici e neurologici che possano fungere da cofattori che, insieme a molti
altri di diverso genere, possano contribuire, anche in maniera sensibile, allo
sviluppo di un certo orientamento sessuale. Ciò che sembra abbastanza chiaro è
che, nel contesto dell’omosessualità, non ci troviamo davanti ad un
determinismo neuroscientifico, piuttosto si dovrebbe parlare di condizionamento
psicologico e, molto probabilmente, sociologico.
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Note
[1]. Cf. J. Reisman, Kinsey and the homosexual
revolution, «Journal of Human Sexuality» 21, 1996, pp. 24-31.
[2]. L. M. Gonzalo Sanz, Entre
libertad y determinismo. Genes, cerebro y ambiente en la conducta humana,
Ediciones Cristiandad, Madrid 2007, p. 96.
[3]. R. A. Gorski, J. H. Gordon, J. E. Shryne,
A. M. Southam, Evidence for a morphological sex difference within the medial
preoptic area of the rat brain, «Brain Research» 148, 1978, pp. 333-346.
[4]. S. LeVay, A difference in hypothalamic
structure between heterosexsual and homosexual men, «Science» 253, 1991, pp.
1034-1037.
[5]. D. F. Swaab, M. A. Hofman, Sexual
differentiation of the human hypothalamus in relation to gender and sexual
orientation, «Trends Neuroscience» 18, 1995, pp. 264-270.
[6]. Ibid.
[7]. S. LeVay, The sexual Brain, MIT Press,
Cambridge, Massachusetts 1993.
[8]. D. H. Hamer, et al., A linkage between DNA
markers on the X chromosome and male sexual orientation, «Science» 261, 1993,
pp. 321-327.
[9]. S. Hu, A. M. Pattatucci, C. Patterson, L.
Li, D.W. Fulker, S. S. Cherny, L. Kruglyak, D. H. Hamer, Linkage between sexual
orientation and chromosome Xq28 in males but not in females, «Nature Genetics»
11,1995, pp. 248-256.
[10]. G. Rice, et al., Male Homosexuality: Absence
of Linkage to Microsatellite Markers at Xq28, «Science» 23, 1999, pp. 665-667.
[11]. W. Byne, B. Parsons, Human sexual
orientation, «Arch Gen Psychiatry» 50, 1993, pp. 228-239.
[12]. L. M. Gonzalo Sanz, Entre
libertad y determinismo…, p. 100.
[13]. A-M. Bao, D. F. Swaab, Sex Differences in
the Brain, Behavior, and Neuropsychiatric Disorders, «Neuroscientist» 16, 2010,
pp. 550-565.
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