I veri dati sull'evoluzione delle «cure» in Olanda - Così si seda
l’informazione (e l’eutanasia non fa più paura) di Gian Luigi Gigli, 18 luglio
2012, http://www.avvenire.it
La prestigiosa rivista Lancet,
con un lancio d’agenzia, ha annunciato uno studio sull’evoluzione delle 'cure'
di fine vita in Olanda, mirante a monitorare le modalità di applicazione della
legge che nel 2002 ha legalizzato l’eutanasia e il suicidio assistito. Le
precedenti rilevazioni avevano riguardato i dati del 2001 (ante legem) e del
2005.
Secondo lo studio, le morti per
sospensione dei sostegni vitali sono rimaste stabili nel tempo (18,2 % nel
2010), mentre i casi di eutanasia e suicidio assistito sono passati dal 2,8% di
tutte le morti nel 2001 al 3% del 2010. I casi di eutanasia involontaria (senza
il consenso del paziente) sono scesi dallo 0,7 allo 0,2%. Il messaggio è
tranquillizzante: la legge olandese non avrebbe promosso il diffondersi della
mentalità e delle pratiche eutanasiche. La legge avrebbe solo fotografato
l’esistente, senza far avanzare la classe medica e la società olandese lungo il
pendio scivoloso della banalizzazione della vita umana. Corollario non
dichiarato esplicitamente dalla rivista britannica: la legalizzazione
dell’eutanasia (in discussione in Gran Bretagna) non fa correre rischi alla
società britannica (e a quelle di altri Paesi).
Davvero è così? Leggendo
l’articolo, la realtà appare molto diversa. Peccato però che tali letture siano
riservate agli addetti ai lavori e che sulla grande stampa e nell’opinione
pubblica passi solo il messaggio 'sedativo' delle agenzie. Vale dunque la pena
fare un poco di controinformazione, esaminando proprio i dati riguardanti la
cosiddetta "sedazione profonda continua".
Questa non è esattamente un
intervento palliativo. Mira, infatti, non a controllare il dolore, ma a far
entrare il paziente in un tunnel senza via d’uscita, al termine del quale vi è
inevitabilmente la morte. I farmaci sono, infatti, somministrati a dosi tali da
abolire la coscienza, mentre vengono abitualmente sospese le altre terapie e
sono arrestate l’idratazione e la nutrizione.
Leggendo il testo integrale del
report, si apprende che la sedazione profonda continua è passata nello stesso
periodo dal 5.6 % del 2001, al 7.1 % del 2005, alll’11% del 2010. Otto anni
dopo l’entrata in vigore della legge del 2002, il numero di casi di sedazione
terminale è dunque raddoppiato, interessando nel 2010 ben 16.700 cittadini
olandesi.
Anche il numero di quelle che
vengono definite "morti dopo alleviamento intensificato dei sintomi"
risulta aumentato, passando dal 20.1 al 36.4% delle morti totali. È
significativo che in oltre la metà dei casi di "morte dopo alleviamento
intensificato dei sintomi", la decisione sia stata presa senza consultare
né il paziente né i suoi familiari. La morte in questi casi è preceduta da
somministrazione di oppiacei e psicofarmaci, invece che da miorilassanti e
barbiturici, come avviene per l’eutanasia riconosciuta e per il suicidio
assistito.
Benché non possa essere data per
scontata un’intenzionalità eutanasica nella scelta della sedazione profonda
continua e ancor meno nella scelta di intensificare farmacologicamente il
controllo dei sintomi, lo stesso editoriale di commento che accompagna
l’articolo di Lancet prospetta la possibilità di confusione nella pratica
clinica tra l’eutanasia e la meno controversa sedazione profonda continua: «I
medici che affermano di praticare la sedazione palliativa attraversano talora
la linea di confine con l’eutanasia». È certo tuttavia che il forte aumento dei
pazienti "morti dopo alleviamento intensificato dei sintomi" e,
soprattutto, il raddoppio di quelli morti durante sedazione continua profonda
appaiono molto sospetti e non giustificati da reali modificazioni della scena
clinica. In altri termini, vi è il sospetto che la percentuale dei casi di
eutanasia resti bassa solo perché i medici non chiamano eutanasia la morte
affrettata con gli oppiacei e gli psicofarmaci, nella metà dei casi senza
neanche discuterne con il paziente e i familiari.
In realtà la sedazione continua
profonda, per l’impossibilità (intenzionale) di tornare indietro e per i suoi
effetti (acceleratori della morte) sui centri encefalici che regolano le
funzioni vitali, resta difficilmente distinguibile dall’eutanasia e ha poco a
che fare con le vere cure palliative.
Attenzione dunque alle false
rassicurazioni delle riviste internazionali sulla cosiddetta 'buona morte'
all’olandese.
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