BIOETICA - Provetta, il Far West è ormai globale, Assuntina Morresi, Avvenire,
14 luglio 2012
Cinque milioni i bambini nati
dalla fecondazione in vitro, da Louise Brown (25 luglio 1978) a oggi, in tutto
il mondo, secondo le stime presentate al recente congresso dell’Eshre, la
European Society of Human Reproduction and Embriology, a Istanbul. Un successo,
secondo gli operatori del settore, che dimostra come le tecniche di
procreazione assistita siano diventate oramai «una parte essenziale delle
terapie cliniche normalizzate e standardizzate per il trattamento delle coppie
infertili».
Ma considerare la fecondazione in
vitro alla stregua di terapie mediche per l’infertilità, sia pure di
avanguardia, è fuorviante. Il concepimento di esseri umani in laboratorio è la
più gravosa e inquietante rivoluzione antropologica della storia dell’umanità,
le cui conseguenze non riescono ancora a essere percepite in tutta la loro
enormità, anche perché, paradossalmente, le informazioni sono scarse e
frammentate.
Vediamo i numeri: i cinque
milioni di nati da concepimento in provetta sono "stimati", perché
anche nei Paesi (pochi) dove queste tecniche sono monitorate strettamente
mediante registri istituzionali - come in Italia - non esiste un’anagrafe
ufficiale di queste persone. E se comunque è possibile un’indicazione
attendibile sul numero dei bambini concepiti in vitro - con approssimazioni
dell’ordine di grandezza di qualche centinaio di migliaia, sul totale dei
trent’anni -, non esistono stime ufficiali del numero degli embrioni
complessivi creati nei laboratori negli stessi anni, e tantomeno di quelli
scartati o in attesa di impianto nei congelatori in tutto il mondo (in costante
crescita, purtroppo anche in Italia, come ha appena rivelato la nuova relazione
del Ministero della Salute al Parlamento).
Di solito nelle pubblicazioni
scientifiche troviamo dati sul numero delle donne coinvolte, dei cicli di
trattamenti, degli embrioni trasferiti in utero e dei nati, differenziati per
tecniche. Gli embrioni formati - e quelli scartati, e quelli congelati - in
genere non sono considerati parametri significativi: sarebbe sufficiente anche
solo questo fatto a chiarire quanto poco contano gli embrioni umani nell’enorme
mercato della procreazione assistita.
Potrebbe sembrare un paradosso:
chi cerca di far nascere bambini, in teoria, dovrebbe considerare ogni singolo
embrione umano almeno un bene prezioso. Ma se gli embrioni possono essere
formati in laboratorio, manipolati, congelati, scongelati, messi a disposizione
per la ricerca (cioè vivisezionati), alla fin fine non sono altro che materiale
biologico, pur importante, ma solo necessario per arrivare al "prodotto
finale", cioè il "bimbo in braccio". E diventa inutile persino
contarli per sapere quanti se ne buttano via.
Per avere un’idea dei rapporti
numerici e degli ordini di grandezza fra embrioni creati, scartati, congelati,
trasferiti in utero e bambini nati, possiamo prendere in considerazione i dati
inglesi relativi a due anni, il 2005 e il 2006. Con buona approssimazione,
possiamo dire che per ogni 100 embrioni formati, se ne sono scartati 52 (cioè
più della metà non sono stati giudicati adatti al trasferimento in utero),
congelati 24, trasferiti in utero i restanti, per un totale di sei (dicasi sei)
bambini nati. Se si considerano poi anche gli embrioni scongelati dopo essere
stati conservati nei freezer in trattamenti precedenti (anche per anni) ai sei
bambini nati se ne dovrebbero aggiungere altri due o tre.
Si tratta di una stima
approssimativa fatta su una situazione specifica, ma sicuramente, vista in
quest’ottica, la fecondazione in vitro si trasforma da successo strepitoso in
percorso fallimentare, che ha sul groppone una quantità di perdite di vite
umane - perché l’embrione è una vita umana indipendentemente dai convincimenti
personali di ciascuno - pazzesca, finora dell’ordine di grandezza di svariate
decine di milioni. La proporzione in Italia è di un nato ogni 10 embrioni
prodotti. Sicuramente questo numero così basso di bambini rispetto agli
embrioni formati è anche la conseguenza di una generale bassa fertilità umana
naturale, e certamente anche nella procreazione naturale esiste un’elevata
perdita di embrioni.
Ma nella fecondazione naturale si
tratta di perdite inevitabili e indipendenti dalla nostra volontà, mentre in
questo caso sono gli operatori a "scartare" gli embrioni, e poi anche
a manipolarli, a congelarli e scongelarli, insomma, a trattarli come materiale
da bancone di laboratorio. E non è una differenza da poco.
Il pendìo scivoloso della
trasformazione degli embrioni umani in mero biomateriale non conosce fine.
Sempre all’ultimo congresso Eshre alcuni esperti hanno suggerito, dati alla
mano, che probabilmente è meglio congelare tutti gli embrioni formati prima di
trasferirli, in attesa che nelle donne svaniscano gli effetti delle terapie
subìte durante i cicli di trattamento per la provetta e gli ormoni tornino a
livelli normali. Le "pratiche migliori", infatti, sempre secondo gli
esperti, si avrebbero con madri surrogate o con l’eterologa, quando cioè le
gravidanze sono portate avanti da donne che non sono state sottoposte a stimolazione
ovarica. Tutti nel freezer, insomma, congela e scongela come neanche i
bastoncini di pesce: sembra essere questa la nuova strategia della provetta.
E ancora, sempre dallo stesso
congresso, un altro suggerimento: le donne potrebbero rimanere fertili per
tutta la vita se solo congelassero parti delle proprie ovaie, da giovani, per
ritrapiantarle più tardi, all’occorrenza. Ne è convinto il dottor Silber, dal
Missouri, che propone in buona sostanza di congelare la menopausa e di liberare
le donne dall’orologio biologico, dando loro la possibilità di non
compromettere la propria carriera o comunque di aspettare il tempo, la
situazione economica o il partner "giusti", senza l’ansia dell’età
che, inesorabile, a un certo punto impedisce di avere figli. Una tecnica, quella
del trapianto di parti delle proprie ovaie congelate anche decine di anni
prima, ideata per pazienti oncologiche che in questo modo, in decine di casi,
hanno mostrato di poter concepire naturalmente dopo cicli di chemioterapie.
Da un simile traguardo - ottimo
nel caso di patologie, che tra l’altro evita il ricorso alla fecondazione in
vitro -, si passa velocemente a quello
che potremmo chiamare della "procreazione per sempre". Non a caso, il
quotidiano inglese Telegraph ha accompagnato la notizia dall’Eshre presentando
le sette madri con fecondazione in vitro più anziane del mondo: come se
partorire a 70 anni - è accaduto a due di loro - fosse il sogno di tutte le
donne del pianeta. Solo due esempi, che però rendono bene l’idea: non stiamo
parlando appena di tecniche mediche, ma del mondo che stiamo costruendo, degli
obiettivi che ci poniamo, e delle priorità che non sono mai solo personali, ma
anche sociali, culturali, valoriali.
Siamo proprio sicuri di
percorrere la strada giusta?
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