NO ALL'ABORTO - Parto anonimo, una scelta per la vita di Graziella
Melina, 17 luglio 2012, http://www.avvenire.it
Da una parte la gioia di aver
messo al mondo un bimbo. Dall’altra il dramma di doverlo lasciare nelle mani di
chi potrà prendersene cura. Non sono affatto semplici le storie delle donne che
scelgono di portare avanti la gravidanza, nonostante tutto. Come ha fatto la
mamma di Mario, il piccolino lasciato pochi giorni fa nella culla della vita
della clinica Mangiagalli di Milano, nella speranza che sia accudito e amato da
qualcun altro.
E come fanno centinaia di mamme
che a far nascere il proprio bimbo non vogliono per nulla rinunciare: la
Società italiana di neonatologia (Sin) ha stimato che sono circa 400 i bimbi
non riconosciuti dalle mamme biologiche ogni anno.
In Italia infatti è possibile
“lasciare” i propri figli negli ospedali subito dopo la nascita, mantenendo
l’anonimato. La legge lo consente. Ma purtroppo non tutti lo sanno. In realtà,
non esiste un registro nazionale dei parti anonimi. I dati disponibili sono
purtroppo parcellizzati, e riferiti a specifiche realtà locali. C’è sicuramente
«un problema di disinformazione – specifica il presidente della Sin, Paolo
Giliberti – fermo restando che la politica sociale dovrebbe consentire alle
madri di sostenere il proprio figlio. L’infanzia in Italia è la grande
sgradita. Non interessa».
Ma soprattutto, o meglio prima di
tutto, c’è un problema culturale: di fronte alle difficoltà delle donne, ormai
si dà per scontato che esista soltanto la via dell’aborto. In questo modo,
sottolinea Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita italiano «il figlio
viene cancellato mentalmente. Prima ancora che fisicamente. Viene dimenticato,
ogni ricordo è censurato». Tanto è vero che molte mamme che scelgono
l’interruzione volontaria della gravidanza neanche considerano l’idea di far
nascere il bimbo per poi farlo adottare. Quando invece «una mamma che affida il
figlio ad altre mani – ricorda Casini – non cessa di essere mamma».
D’altro canto, la possibilità di
far adottare il proprio bimbo spesso non viene neanche prospettata. Secondo uno
studio del consorzio Preferire la vita, in collaborazione con la Fondazione
Università Iulm e pubblicato ad agosto dell’anno scorso, «l’unica forma di
comunicazione ricordata dalle mamme sono gli opuscoli informativi su
allattamento e corsi preparto trovati al consultorio». Niente che riguardi la
possibilità di un parto anonimo. Nessuna informazione spesso neanche da parte
degli operatori sociali, che preferiscono non “intromettersi” nelle scelte
delle donne.
Eppure «se le mamme sanno che c’è
un’alternativa all’aborto – assicura Giuseppe Noia, responsabile del Centro di
diagnosi e terapia fetale del Policlinico Gemelli –, il figlio preferiscono
farlo nascere», seppure rinuncino a crescerlo. «Omologare le persone che
scelgono l’anonimato è sbagliato – prosegue Noia –. L’atto in sé colpisce
situazioni di fragilità forte, persone depresse, oggetto di violenza», ma pur
nella diversità di storie e convinzioni, tutte riconoscono però «il bene
prezioso della vita».
E non è una questione di fede.
Spesso infatti si tratta di donne straniere, non cattoliche. Costrette magari
dalla stessa famiglia di origine o da situazioni economiche difficili a non
tenere il proprio bimbo. «Una madre che si è rivolta a me ha avuto l’onestà di
dire che non poteva farcela – racconta Maria Teresa Ceni, presidente del Centro
di aiuto alla vita di Abbiategrasso e Magenta (Milano) –. Siamo di fronte ad
una situazione molto dolorosa per la mamma.
Che però ha dato al figlio il
dono della vita». «Accogliere il bambino non è un valore cattolico – rimarca
poi Antonella Diegoli, presidente di Federvita dell’Emilia Romagna –, ma una
sensibilità che hanno tutte le donne». Che però andrebbero sostenute di fronte
a una maternità che non sanno come portare avanti. E che in molti casi, alla
fine, decidono di accogliere.
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