La questione omosessuale - Matrimonio & sofismi di Francesco
D’Agostino, 17 luglio 2012, http://www.avvenire.it
Si è riacceso il dibattito sui
matrimoni gay. E ritorna a diffondersi un curioso sofisma, che bisogna tornare
a smascherare una volta per tutte. Lo ripropongo nella formulazione (per altro
molto efficace) datagli da Adriano Sofri (su Repubblica del 16 luglio). «Io
sono personalmente contrario al matrimonio gay» può significare, per Sofri, due
cose diverse, una ragionevole e quindi accettabile, l’altra irragionevole e
quindi inaccettabile.
È accettabile che questa frase
significhi: «Io non intendo sposare una persona del mio sesso». La frase
diverrebbe invece irragionevole se la si intende in questo modo: «Sono
personalmente contrario a che lo facciano altri miei simili».
Dov’è il sofisma? Nel dare per
scontato (mentre non lo è affatto) che la questione del matrimonio omosessuale
si debba ridurre a un’opzione di tipo «personale», legittima quando coinvolge
un soggetto e le sue personalissime scelte, ma illegittima quando verrebbe a
coinvolgere altri soggetti. È un sofisma analogo a quello che usano gli
abortisti: «Le donne che non vogliono abortire non lo facciano, ma non possono
impedire alle altre donne l’aborto volontario». Affermazione ragionevole, se
l’aborto fosse riducibile a una scelta privata e personalissima. L’aborto però
è irriducibile a una scelta privata, perché mette in gioco non solo gli
interessi di una madre, ma anche e soprattutto la vita di una terza persona, il
figlio.
Analogamente, la legalizzazione
del matrimonio gay non si riduce alla tutela di un «privato» interesse di
coppia, per la sola ragione che il matrimonio ha una valenza pubblica e mette
in gioco interessi sociali di carattere generale.
Per mostrare quanto fragile sia
il sofisma, riproduciamolo in forme leggermente variate, ma non arbitrarie: «Io
non intendo vivere da poligamo, ma non posso impedire a chi lo voglia di
sperimentare la poligamia – purché ovviamente le donne siano maggiorenni e
consenzienti». Dubito che questo ragionamento possa essere ritenuto sensato.
Una questione simile si pose,
anni fa, in occasione dei dibattiti sulla legalizzazione del divorzio. Alcuni
fecero la proposta di attivare due diversi regimi coniugali, l’uno
divorziabile, l’altro no. Il paradigma proposto era analogo a quello ipotizzato
da Sofri per il matrimonio omosessuale: «Io intende scegliere un regime
coniugale divorziabile, ma non posso impedire a una coppia –consapevole e
consenziente – di optare per un matrimonio indissolubile».
La proposta, peraltro
interessante, naufragò: il matrimonio è uno e uno soltanto, si disse e poiché
ha un valore pubblico, non possiamo regolamentarlo se non in modo unitario. Ed
è vero: il matrimonio è uno e uno soltanto e in tutte le culture e in tutti i
tempi è stato pensato e legalizzato come eterosessuale.
Ma i tempi mutano, si dice, e
perfino il presidente degli Stati Uniti d’America. Barack Obama, è favorevole
al matrimonio gay! È vero; ma è ancor più vero che tutti gli argomenti portati
a favore del matrimonio gay (in sintesi: la tutela dei diritti delle coppie
omosessuali) sono fragilissimi, per due ragioni. La prima è che la tutela
giuridica del matrimonio ha la sua unica ragion d’essere nella sua
"naturale" funzione generativa, preclusa, sempre per ragioni
"naturali", alle coppie gay.
La seconda è che comunque,
precludendo ai gay il matrimonio, non togliamo loro assolutamente nulla, perché
non esiste un «diritto dei conviventi» che non possa essere efficacemente
tutelato – su un piano socio-patrimoniale – a prescindere dal riconoscimento
del vincolo coniugale (e questa è stata, in buona sostanza, l’opinione della
Corte Costituzionale, che curiosamente in questo dibattito non viene mai
ricordata). È su questi punti e non su vaghi appelli a non restare indietro sul
piano della «storia» che vorremmo che si impostasse una discussione seria, e
non ideologica.
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