lunedì 16 luglio 2012


«Meglio l’adozione: preserva la paternità» DI EMANUELA VINAI, Avvenire 15 luglio 2012

 La diffusione della fecondazione artificiale è il risultato di un mutamento sociologico e antropologico da analizzare, anche per quanto riguarda un aspetto poco considerato: i cosiddetti "costi umani" connessi alla provetta. Lo spiega Mariolina Ceriotti Migliarese, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta.
 Cosa ci dicono questi 5 milioni di bambini nati da fecondazione artificiale?
 Anzitutto partiamo dalla premessa che ognuno dei 5 milioni di bambini è un fatto a sé, ogni storia è diversa e ci racconta un dolore diverso. L’aumentata età della donna incide sulla maternità, rimandare la ricerca di un figlio per cause socio economiche, poi porta la donna a fare i conti con un corpo che non la aspetta. Non si parla però solo di un fatto medico, che coinvolge la tecnica: quali sono le dinamiche che si vengono a creare nella coppia che si sottopone alla Pma? Tutte le forme di procreazione medicalmente assistita in qualche modo modificano il modo in cui il corpo e la corporeità entrano nella nascita di un figlio. Si apre a uno stravolgimento che passa dal linguaggio e di cui oggi noi ancora non cogliamo la portata. L’essere umano non esiste al di fuori del significato che dà alle cose e poiché il significato è espresso dalle parole che si scelgono per descriverlo, nella Pma c’è un cambiamento di paradigma che si esprime nel mutamento della terminologia: da generazione si passa a riproduzione. La riproduzione ri-produce qualcosa di simile a me, non ha dentro l’intero ma un corpo parziale: il seme, l’ovulo.
Quali sono le possibili derive della maternità a ogni costo?
Non sento mai parlare di paternità a ogni costo, forse sarebbe il momento di chiedersi perché. La madre ha un rapporto corporeo per nove mesi con il figlio e questo non cambia anche ricorrendo alla Pma, anzi lo amplifica. Per il padre è tutto diverso: il suo modo di essere padre passa anche con l’atto di fecondazione, alla possibilità di generare la vita attraverso il congiungersi con la donna. Ma se scompare il tema dell’apertura al generare, alla possibilità della vita, perché viene sostituita da un atto finalizzato, meccanico e specifico, cosa resta? Nelle varie modalità di fecondazione eterologa questo raggiunge la sua forma più estrema: si riproduce una vita umana indipendentemente dalla relazionalità. E non sappiamo cosa questo comporterà nel tempo.
 Ci sono delle conseguenze sulla relazionalità all’interno della famiglia?
 Di fatto si assiste a una marginalizzazione affettiva dei padri a fronte di un coinvolgimento totale ed esclusivo della madre che non avviene, per esempio, nell’adozione, perché nessuno dei due genitori è implicato in maniera disequilibrata: il bambino è consapevolmente altro dalla coppia in cui viene accolto. Sorge qui invece la difficoltà delle madri a creare un corretto legame con questi figli così fortemente desiderati, spesso unici, in cui il rischio di soffocamento relazionale è molto alto. Chi dovrebbe fungere da "distanziatore" tra il figlio e la madre, infatti, è proprio il padre. Ma se il padre si percepisce come figura marginale, come può inserirsi nella relazione?.
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