«Meglio l’adozione: preserva la paternità» DI EMANUELA VINAI, Avvenire
15 luglio 2012
La
diffusione della fecondazione artificiale è il risultato di un mutamento
sociologico e antropologico da analizzare, anche per quanto riguarda un aspetto
poco considerato: i cosiddetti "costi umani" connessi alla provetta.
Lo spiega Mariolina Ceriotti Migliarese, neuropsichiatra infantile e
psicoterapeuta.
Cosa ci dicono questi 5 milioni di bambini
nati da fecondazione artificiale?
Anzitutto partiamo dalla premessa che ognuno
dei 5 milioni di bambini è un fatto a sé, ogni storia è diversa e ci racconta
un dolore diverso. L’aumentata età della donna incide sulla maternità,
rimandare la ricerca di un figlio per cause socio economiche, poi porta la donna
a fare i conti con un corpo che non la aspetta. Non si parla però solo di un
fatto medico, che coinvolge la tecnica: quali sono le dinamiche che si vengono
a creare nella coppia che si sottopone alla Pma? Tutte le forme di procreazione
medicalmente assistita in qualche modo modificano il modo in cui il corpo e la
corporeità entrano nella nascita di un figlio. Si apre a uno stravolgimento che
passa dal linguaggio e di cui oggi noi ancora non cogliamo la portata. L’essere
umano non esiste al di fuori del significato che dà alle cose e poiché il
significato è espresso dalle parole che si scelgono per descriverlo, nella Pma
c’è un cambiamento di paradigma che si esprime nel mutamento della
terminologia: da generazione si passa a riproduzione. La riproduzione
ri-produce qualcosa di simile a me, non ha dentro l’intero ma un corpo
parziale: il seme, l’ovulo.
Quali sono le possibili derive
della maternità a ogni costo?
Non sento mai parlare di
paternità a ogni costo, forse sarebbe il momento di chiedersi perché. La madre
ha un rapporto corporeo per nove mesi con il figlio e questo non cambia anche
ricorrendo alla Pma, anzi lo amplifica. Per il padre è tutto diverso: il suo
modo di essere padre passa anche con l’atto di fecondazione, alla possibilità
di generare la vita attraverso il congiungersi con la donna. Ma se scompare il
tema dell’apertura al generare, alla possibilità della vita, perché viene
sostituita da un atto finalizzato, meccanico e specifico, cosa resta? Nelle
varie modalità di fecondazione eterologa questo raggiunge la sua forma più
estrema: si riproduce una vita umana indipendentemente dalla relazionalità. E
non sappiamo cosa questo comporterà nel tempo.
Ci sono delle conseguenze sulla relazionalità
all’interno della famiglia?
Di fatto si assiste a una marginalizzazione
affettiva dei padri a fronte di un coinvolgimento totale ed esclusivo della
madre che non avviene, per esempio, nell’adozione, perché nessuno dei due
genitori è implicato in maniera disequilibrata: il bambino è consapevolmente
altro dalla coppia in cui viene accolto. Sorge qui invece la difficoltà delle
madri a creare un corretto legame con questi figli così fortemente desiderati,
spesso unici, in cui il rischio di soffocamento relazionale è molto alto. Chi
dovrebbe fungere da "distanziatore" tra il figlio e la madre,
infatti, è proprio il padre. Ma se il padre si percepisce come figura marginale,
come può inserirsi nella relazione?.
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