La scatola nera dei ricordi che archivia i nostri sguardi - I super
occhiali di Google scattano foto ogni dieci secondi, Mauro Covacich, 27 luglio
2012, http://www.corriere.it/
Il cofondatore di Google, Sergey
Brin, ha annunciato che Google Glass, gli occhiali computerizzati i cui
prototipi sono inforcati attualmente solo da duemila cavie umane felici, hanno
in dotazione anche una microcamera settata in modalità autoscatto. In altre
parole, questa diavoleria da Superpippo, oltre a far girare tutto il sistema
informativo integrato di un qualsiasi palmare, fotografa automaticamente, con
un intervallo di dieci secondi, ciò che viene «intenzionato » dallo sguardo (e
quindi dalla coscienza) di chi la usa.
Il soggetto— in arte lo
sviluppatore — cammina, twitta, risponde alle mail, consulta Wikipedia, compra
il biglietto del treno, partecipa a una riunione su Skype, e intanto guarda il
mondo. E guardando lo fotografa. La documentazione iconografica della sua
giornata diventa sua personale scatola nera e, al tempo stesso, involontaria
indagine di mercato. Ad esempio: il modo in cui dà un’occhiata ai manifesti
degli hamburger scontati in vetrina sarà un’informazione utile per il fast food
e contribuirà a modificare la composizione dei nuovi menu.Non è difficile
prevedere la diffusione massiccia di questo aggeggio nel futuro più prossimo.
C’era la realtà virtuale, la
realtà esplosa, quella immersa, quella diffusa, la surrealtà e l’irrealtà.
C’era anche la realtà fabbricata ad arte per diventare spettacolo televisivo.
Ma per quella inventata dai mefistofelici ingegneri di Google bisogna ancora
trovare un nome. Sarà una realtà personale, ma non se ne andrà con noi. Sarà
intima ma pubblica, mentale ma per nulla evanescente. Sarà un vero e proprio
documento che conserverà il pezzetto di mondo sensibile e tangibile su cui si
sarà posato il nostro sguardo. Questo piccolo dispositivo moltiplicherà la
triangolazione dentro-fuori-dentro in un gioco di specchi in cui sarà sempre
più difficile capire se è nato prima l’uovo o la gallina, il reale o colui che
ne ha esperienza (vedi il recente dibattito filosofico sul new realism animato
da Maurizio Ferraris). Quella che prima era la realtà soggettiva, ovvero la
conoscenza acquisita da me che passeggio per il mall del centro commerciale e
trattengo immagini—una conoscenza interiore, fino a oggi impossibile da
oggettivare e condividere — diventerà un archivio oggettivabile su uno schermo.
Tutti potranno vedere il mio
«atto mentale» di percepire quella vetrina di McDonald o, dieci secondi dopo,
quella giovane mamma con la carrozzina. Disporrò, tutti noi disporremo, di una
scatola nera su cui saranno registrate le «occhiate» della giornata per data e
ora. Non solo potrò ripescarle in oggettiva — il che probabilmente farà
diminuire le mie capacità evocative nonché l’effetto spesso suggestivo che un
ripescaggio in soggettiva comporta — ma le mie «occhiate» diventeranno tesoro
comune, alimenteranno sempre nuove ricerche di mercato, riveleranno i miei
gusti, contribuiranno a sconvolgere con un semplice battito di palpebre (come
la farfalla eccetera) l’universo commerciale, ovvero tutta la filiera che va
dal sondaggista, all’ufficio marketing, alla progettazione, all’operaio in
linea, giù giù fino all’agente di vendita.
I neuroscienziati (Edelman) e i
filosofi della mente (Searle) ci insegnano che quando pensiamo a un caro amico
e richiamiamo alla memoria il suo volto, le nostre facoltà intellettive
ricompongono all’istante le mappe neurali in grado di farcelo vedere e
riconoscere, ma non c’è un angolo del nostro cervello dove il suo ritratto sia
conservato. La sua immagine non esiste, non permane dentro di noi, ma si ricrea
ogni volta che la coscienza intende accenderla. Ora che avremo una scatola nera
per i nostri ricordi, e basterà fare doppio clic su qualsiasi traccia visiva
archiviata, cosa accadrà? I curiosi vedranno le nostre esperienze visive
esattamente come le abbiamo viste e vissute noi? La fotocamera di Google
incaricata a trasmettere la mia «occhiata » all’azienda produttrice di
accessori per la prima infanzia, è sicura di aver capito cosa stavo guardando
mentre vedevo la carrozzina?
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