Alla scoperta di Dio. Con Ruini come guida
E non un dio qualsiasi, ma quello di cui Gesù è il grande segno. Un libro per chi già crede, ma prima ancora per chi è perplesso, incerto, inquieto. Su un tema che è anche la maggiore priorità di questo pontificato -
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di Sandro Magister
ROMA, 13 settembre 2012 – Joseph Ratzinger aveva in animo da molti anni di scrivere un libro su Gesù. E ci è riuscito.
Per il cardinale Camillo Ruini è lo stesso. Da molto tempo aveva in cima ai suoi pensieri di scrivere un libro su Dio. E ora la sua "Intervista su Dio", edita da Mondadori, è da qualche giorno in tutte le librerie italiane.
L'intervista è la forma espositiva adottata, con le intelligenti e misurate domande di Andrea Galli. Ma l'esposizione non procede a balzi. Come nelle "summæ" medievali, anche qui ogni "quæstio" è passo di un cammino che disegna un tutto organico e profondamente unitario.
L'indice dei capitoli ne dà la scansione:
- La situazione della fede oggi
- La dimensione religiosa nella storia dell’umanità
- L’eclissi di Dio in occidente
- Quella su Dio è una domanda speciale
- Le molteplici strade dell’incontro con Dio
- Il percorso dell’essere
- Il percorso della conoscenza della natura
- Il percorso della libertà
- Per la ragione Dio è luce e oscurità
- Il Dio dell’Antico Testamento
- Gesù Cristo, il grande segno di Dio
- Il volto del Dio di Gesù Cristo
- Dio per noi
Già da questo indice si intuisce che il proposito del libro è di tracciare un itinerario verso Dio sulle ali della sola ragione, per persone che sono in cerca di lui o che vogliono verificare le ragioni della propria fede.
I tre "percorsi" dei capitoli centrali avvicinano a Dio a partire dallo stupore di fronte al nostro esistere, dalla nostra inesausta conoscenza della natura, dall'anelito di libertà presente in ogni uomo.
E anche negli ultimi quattro affascinanti capitoli, in cui la Bibbia e i Vangeli sono largamente presenti e in cui domina la figura di Gesù, gli argomenti restano quelli di ragione. Ma una ragione aperta alla possibilità che Dio si riveli agli uomini. E quindi capace di riconoscere quel grande segno di Dio piantato nella storia che è Gesù Cristo.
Da qui si vede come i due libri capitali di Benedetto XVI e del cardinale Ruini, l'uno su Gesù e l'altro su Dio, l'uno in un orizzonte di fede, l'altro in un orizzonte di ragione, siano due momenti di una stessa avventura.
È l'avventura che papa Ratzinger ha definito "la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del successore di Pietro in questo tempo": quella di "condurre gli uomini verso Dio". E "non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai, a quel Dio il cui volto riconosciamo nell'amore spinto sino alla fine, in Gesù crocifisso e risorto".
Questo scrisse Benedetto XVI nell'impressionante lettera autografa da lui indirizzata a tutti i vescovi del mondo il 10 marzo del 2009.
E pochi giorni prima, il 1 marzo di quell'anno, pur ignaro di quella lettera, il cardinale Ruini aveva indicato la "maggiore priorità" di questo pontificato proprio in Dio, quel Dio nel quale la fede tende oggi a deperire e spegnersi.
Come presidente del comitato per il progetto culturale della conferenza episcopale italiana, Ruini ha dato vita a due grandi convegni internazionali. Il primo, nel dicembre del 2009, su "Dio oggi". Il secondo, nel febbraio del 2012, su "Gesù nostro contemporaneo".
"Con lui o senza di lui cambia tutto", era il sottotitolo del convegno su Dio.
Dalla lettura di questo libro di Ruini si capisce il perché. Che Dio esista non lo si ricava da una dimostrazione geometrica. Ma gli argomenti di ragione che avvicinano a lui bastano a far intuire che la sua esistenza resta "l'ipotesi migliore", per dirla ancora con Ratzinger.
Nel vicino "anno della fede", i libri su Dio e su Gesù scritti da Ruini e da Benedetto XVI saranno due letture essenziali.
Del libro del papa è in arrivo il terzo e ultimo tomo, quello sui Vangeli dell'infanzia.
Del libro del cardinale, ecco qui di seguito alcune pagine d'assaggio.
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DA "INTERVISTA SU DIO"
di Camillo Ruini
PER CHI È SCRITTO QUESTO LIBRO (pp. 276-277)
Questo libro è stato certamente utile a me stesso: mi ha obbligato a compiere una riflessione complessiva sul mio rapporto con Dio, sulla solidità di questo rapporto e sui motivi oggettivi che lo sorreggono, oltre che sul suo valore per me. Scriverlo mi è costato fatica, ma lo considero un regalo che il Signore mi ha fatto.
La mia speranza è che il libro possa essere utile a molti: ho cercato quindi di fare una proposta che fosse, per quanto possibile, al tempo stesso semplice e seria.
In concreto, il libro è scritto per aiutare chi crede ad avere una consapevolezza più esplicita delle ragioni della propria fede, e a fare così unità nella propria coscienza di credente non del passato ma del nostro tempo.
È scritto inoltre per chi vorrebbe credere, ma è incerto o perplesso, e spero possa trovare in queste pagine un aiuto a liberarsi dalle difficoltà che lo bloccano e a rafforzarsi invece nelle motivazioni per credere.
Non mi illudo che un libro di questo genere possa far cambiare la scelta di chi ha deciso di non credere, o comunque preferisce non pronunciarsi riguardo a Dio: se però esso potrà contribuire a qualche risultato simile ne sarò felice e grato a Dio.
Il libro, dunque, è rivolto a tutti, anche se i problemi affrontati spesso non sono semplici.
Può, inoltre, essere di sostegno per sacerdoti, catechisti e chiunque desideri testimoniare la propria fede in maniera esplicita. Gli studenti di teologia, e anche di filosofia, possono trovare qui un aiuto a fare sintesi sulla questione di Dio.
Scrivendo ho avuto particolarmente presenti le tante persone che hanno oggi una cultura scientifica: spero di avere offerto loro un sia pur minimo aggancio per superare la distanza che spesso sembra separare le questioni scientifiche dalla do- manda su Dio.
Questo libro, infine, non è a livello di potersi proporre agli studiosi di teologia e di filosofia. Non mi sottraggo però al loro giudizio: chiedo soltanto di tener presente che ho evitato tanti argomenti, i quali – pur avendo indubbia rilevanza – non mi sono sembrati indispensabili per presentare, in maniera intellettualmente onesta, Dio a tutti.
LE MOLTE VIE CHE CONDUCONO A LUI (pp. 11-12)
Vorrei subito mettere in chiaro una cosa: non penso affatto che si arrivi a Dio, o meglio, che Dio arrivi a noi, entri nella nostra vita, soltanto, e nemmeno prevalentemente, per via intellettuale.
Le strade che conducono a Dio, e anzitutto quelle per le quali Dio viene in cerca di noi, sono davvero infinite, come ci ricorda un detto popolare. Ogni esperienza, incontro, circostanza, può aprire a Dio: anche, e a volte principalmente, quelle esperienze negative, di dolore e difficoltà, che sembrerebbero invece doverci allontanare da lui.
In particolare Dio si incontra nella preghiera che certo, almeno in qualche misura, già presuppone la fede, ma è anche un atto di umiltà e di fiducia che apre la porta a Dio.
Allo stesso modo, quando facciamo del bene agli altri apriamo una porta a Dio.
Dedicare la nostra intelligenza alla ricerca di Dio, come cerchiamo di fare in questo libro, non è dunque l’unico modo per trovarlo, e nemmeno il più importante.
È però un aspetto da cui non si può prescindere, se non vogliamo creare una frattura in noi stessi, per la quale con il desiderio del cuore possiamo essere credenti, ma l’intelligenza non sa il perché, o addirittura è convinta che di Dio non si possa sapere nulla, e forse non ci sia.
IL DOVERE DI DIFENDERE LE RAGIONI DELLA FEDE (pp. 10-11)
Riconosco i miei limiti: è vero che sono nato, teologicamente, anzitutto come apologeta, ossia come un difensore della fede. Questo, del resto, era il tipo di formazione che dava la Pontificia Università Gregoriana negli anni in cui l’ho frequentata. e questa era anche l’esperienza ecclesiale dei miei anni giovanili.
Condivido alcune decisive critiche all’apologetica neoscolastica: un’insistenza sulla polemica, molto più grande della capacità di cogliere gli aspetti positivi del nuovo che viene avanti, e un certo razionalismo che restringe gli orizzonti e conduce in un vicolo cieco la stessa difesa delle ragioni della fede.
Ma vorrei anche ricordare che, dopo i Padri apostolici, la più antica generazione di Padri della Chiesa è denominata Padri apologeti.
Oggi, con buoni motivi, si preferisce parlare, piuttosto che di apologetica, di teologia fondamentale. Alla polemica è subentrato, tra i teologi, un atteggiamento anzitutto dialogico e si cerca di non ricadere nei limiti del razionalismo. Man mano però che, dopo il Concilio, il dialogo tra credenti e non credenti prendeva forma concreta, si è dovuto constatare che nessun metodo o approccio può eliminare la differenza tra fede e non fede: quei credenti che portano alle ultime conseguenze una simile illusione finiscono, quasi senza rendersene conto, per allontanarsi essi stessi dalla fede.
Benedetto XVI ha dedicato a questo problema una pagina particolarmente profonda del suo primo discorso alla curia romana per gli auguri natalizi, il 22 dicembre 2005.
Non si tratta dunque di tentare di eliminare la differenza tra fede e non fede, ma di viverla nella libertà e nel rispetto reciproco.
E tanto i credenti quanto i non credenti hanno il dovere, prima ancora che il diritto, di dare le ragioni delle proprie posizioni: al di là dei nomi adoperati, questo è un compito sostanziale e permanente dell’apologeta.
TRA RAGIONE E FEDE C'È CONTINUITÀ, MA ANCHE ROTTURA (pp. 256-257)
La parola "scommettere", pur risalendo a un grande pensatore cristiano come Blaise Pascal, non mi convince del tutto perché sembra sottintendere una separazione tra la ragione e la volontà, dove quest’ultima dovrebbe rimediare all’insufficienza della prima.
Un limite analogo si riscontra nell’altra alternativa, di un dono ricevuto indipendentemente dalla ricerca razionale: questo può certamente accadere, ma è piuttosto l’eccezione, non la dinamica normale del nostro cammino verso Dio.
Nell’unità della persona, infatti, ragione, volontà e grazia, e anche sensibilità, affetti e circostanze di vita, lavorano per così dire insieme per aprirci a Dio, oppure i fattori umani si oppongono alla grazia per allontanarci da lui.
In concreto la scelta di credere in Dio è razionalmente motivata, assai meglio della scelta opposta, e le due vie della ragione e della fede sono complementari: la prima apre l’accesso a Dio a tutti, non solo ai credenti in Gesù Cristo, la seconda ci illumina sull’atteggiamento di Dio verso di noi, che per la sola ragione rimane una domanda a cui è difficile rispondere.
Insieme alla sinergia e alla complementarietà esiste però, ed è molto profonda, anzi sconvolgente, la dimensione della rottura: ce ne parla san Paolo quando contrappone alla sapienza del mondo quella potenza e sapienza di Dio che si rivela nella croce di Cristo.
Il farsi uomo del Figlio di Dio, la sua morte e risurrezione ci fanno cioè conoscere il vero volto di Dio in un modo per noi totalmente imprevedibile, che supera ogni logica umana e proprio così è il contrassegno del Dio vero, e non immaginato o costruito da noi.
Nel nostro cammino verso Dio, che è anzitutto il cammino di Dio verso di noi, la continuità e la rottura stanno dunque insieme, perché in quanto esseri intelligenti e liberi siamo aperti a entrare in rapporto con Dio e però Dio rimane sempre infinitamente al di là della misura in cui possiamo accoglierlo.
IL BELLO DELLA PREGHIERA (pp. 265-266)
Il rapporto con Dio è fondamentale per ciascuno di noi e la sua forma più diretta è la preghiera.
Anche se soltanto nel chiaroscuro della fede, la preghiera ci introduce in una certa esperienza di Dio che in qualche modo si autoconferma, perché pregando cresce il desiderio di pregare e la fede si rafforza e diventa gioia. Proprio per questo è difficile comunicare qualcosa della preghiera a chi non l’abbia mai praticata.
Quando poi la preghiera raggiunge il livello della contemplazione mistica, l’esperienza di Dio diventa ben più forte e piena, come ci attestano i grandi mistici che accompagnano la storia del cristianesimo. Nella loro testimonianza l’unione mistica con Dio mantiene un chiaro carattere personale, configurandosi come rapporto con il Padre e con il Figlio Gesù Cristo nella luce dello Spirito Santo. Non si distacca mai, inoltre, dall’esigenza dell’amore concreto del prossimo, in sintonia con la parola della prima lettera di Giovanni: "Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede".
In concreto, la preghiera ha un ruolo centrale nella vita dei credenti: rende liberi e capaci di accogliere ogni realtà con sguardo purificato, per affrontarla non in chiave egoistica ma alla luce dell’amore misericordioso di Dio.
Anche la preghiera pertanto, a somiglianza del martirio, è una confutazione vissuta dell’autosufficienza nostra e del mondo, come pure dell’idolatria dell’azione e dei suoi risultati: apre infatti lo spazio per l’esperienza della gratuità e del lato più bello della vita.
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