Unioni civili. Perché diciamo no - 21 settembre 2012 - http://www.avvenire.it
Per «iscriversi» (ma qualcuno già
dice «sposarsi») basta presentarsi all’anagrafe centrale di via Larga, pagare
15 euro e 14 centesimi, più altri 14 per il bollo, e ritirare l’attestato dalle
mani di un funzionario dell’ufficio. Pochi minuti e si è marito e moglie. Anzi
no, perché il "registro delle unioni civili" che il Comune di Milano
si è appena inventato (bypassando la legge nazionale) è ideato proprio –
parlando di coppie eterosessuali – per chi si potrebbe sposare ma non vuole.
Insomma, per chi in nome di una libertà assoluta rifiuta il matrimonio (anche
solo civile), che avrebbe il torto di regolarizzare il rapporto, ma cui va
stretta anche la convivenza, che non dà alcun riconoscimento pubblico. Per chi,
in definitiva, non accetta le responsabilità e i doveri di un vero matrimonio
(civile o religioso che sia), ma ne esige tutti i diritti, nei confronti del
partner, dei figli e dell’intera società. Diverso il caso delle coppie gay, che
non sono spinte dalle stesse motivazioni ma che cercano con tale attestato di
chiamare «matrimonio» la loro unione e «famiglia» la loro convivenza. E se
l’amore finisce? Niente paura: basta che gli interessati inviino una richiesta
di cancellazione dal registro via fax, email o raccomandata. E se a smettere di
amare è uno solo, il Comune sarà così gentile da inviare all’altro la
comunicazione di richiesta di cancellazione. Una firma per iniziare, un clic
per finire. Tanta la confusione, gravi a livello sociale i rischi. Sempre più
necessario riflettere con attenzione e responsabilità. Come intende fare il
Consiglio permanente della Cei, a Roma dal 24 al 27 settembre, che analizzerà
la situazione in ordine ai registri comunali delle unioni di fatto e dei
biotestamenti.
I QUESITI
1) Come giudica la creazione del
registro delle unioni di fatto attivata dal Comune di Milano?
2) Quali rischi?
3) Che cosa pensa di un «diritto
al matrimonio» per le coppie gay?
4) Ha senso il registro per le
coppie eterosessuali, che già possono scegliere tra matrimonio civile e
convivenza?
IL SOCIOLOGO
«Giova aprire a relazioni deboli, che non danno tutele ad alcuno?»
Pietro Boffi, ricercatore del
Cisf (Centro internazionale Studi famiglia)
1. Ciò che accomuna la reazione
di tutti è che l’intera operazione di Milano non serve a nulla. Anche la prima
coppia che simbolicamente ha firmato l’attestato ha parlato di azione solo
simbolica. Ma su aspetti simbolici così rilevanti, che coinvolgono
l’antropologia e l’ontologia stessa dell’essere umano, non si entra a gamba
tesa e nel posto sbagliato: non in un consiglio comunale, ma nel dibattito
culturale e in Parlamento, l’unico che può legiferare. E poi non chiamiamole
famiglie di fatto, perché quelle c’erano già: ora avremo coppie sposate (in
comune o in chiesa), coppie di fatto (i conviventi) e coppie di registro,
quelle che vogliono guidare l’auto ma non prendere la patente!
2. In gioco c’è la definizione
stessa di famiglia, con quelle che ne conseguono: padre e madre, marito e
moglie, genitori e figli. Occorre interrogarsi se la definizione di famiglia
finora valida sia ormai vuota. Io sono convinto di no: maschio e femmina, un
padre e una madre, sono categorie che non si buttano in un attimo, non possiamo
ignorare l’intera psicologia dell’età evolutiva. Stiamo assistendo a una
disarticolazione delle categorie mentali dell’umano.
3. Quanto alle coppie gay, la
famiglia non è solo il luogo degli affetti, ma si regge su un patto che
garantisce davanti a tutta la società due cose: la stabilità e la procreazione.
Da sempre la procreazione è un fatto sociale, esce da un aspetto meramente
privato. Ecco perché il matrimonio è un istituto giuridico.
4. Almeno i gay pongono una
questione ontologica. Ma per le coppie eterosessuali il registro non ha alcun
senso. Occorre chiedersi quanto è utile a noi come società aprire a relazioni
deboli, prive di stabilità e di tutele che invece il matrimonio (civile o
religioso) garantisce. Perché promuovere un basso impegno e un basso profilo
che non giovano a nessuno? Cosa c’è di buono in una unione per cui «ciao, ti saluto»
prendo e vado? Chi non vuole legami, basta che usufruisca delle leggi di
diritto privato che già ci sono.
IL TEOLOGO
«È un’operazione senza futuro che offre soluzioni col fiato corto»
Giancarlo Grandis, docente di
Teologia morale alla Facoltà del Triveneto
1. Ritengo che l’iniziativa
attuata dal Comune di Milano sia equivoca. Infatti da una parte l’autorità,
quindi un ente che fa capo a questo Stato, va incontro a esperienze di fatto di
alcuni cittadini – e dicendo questo voglio quindi salvare la buona intenzione
–, ma dall’altra parte la strada imboccata è un vicolo chiuso, perché unioni
che apparentemente possono risolvere piccole questioni personali non attingono
ai valori della persona. Sono cioè soluzioni a fiato corto.
2. Queste sperimentazioni fanno
emergere la vera posta in gioco, che è una grave crisi aperta sul significato
della persona, una messa in discussione del paradigma antropologico che ha
resistito nella nostra cultura per millenni. In pratica si inserisce una
confusione sulla vera identità culturale umana. E sottolineo che non si tratta
di uno scontro tra una visione religiosa e una visione laica, ma riguarda
proprio la concezione dell’umano.
3. Una relazione matrimoniale è
testimoniata dall’unione eterosessuale, ovvero costituita da un uomo e da una
donna. Il fraintendimento che emerge alla base di un registro per le coppie
gay, e ancor più se si parla di "matrimonio" tra omosessuali e
addirittura della possibilità per loro di essere "famiglia" con tanto
di figli, non riguarda banalmente una condizione biologica, ma va ben oltre:
con il matrimonio ci si realizza nell’alterità vera, cioè nell’altro come
diverso da me.
4. Qualcuno sostiene la necessità
di un registro per le unioni di fatto come garanzia per le coppie che non
intendono vincolarsi tra loro con un matrimonio, ma che ne esigono gli stessi
diritti. La questione da porre alla base di questa discussione è: i diritti si
fondano sui desideri? Se la risposta è sì, tutto è diritto, anche in assenza di
qualsivoglia dovere. Se però i diritti sono legati alla reale e concreta natura
dell’uomo, le cose vanno in maniera molto diversa.
LA PSICOLOGA
«Un procedimento ideologico: non risponde alle reali esigenze»
Mariolina Ceriotti Migliarese,
neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta
1. La mia impressione è che si
tratti di un procedimento ideologico, per nulla basato su reali esigenze dei
cittadini. L’operazione del Comune di Milano rientra in un più ampio disegno di
delegittimazione della famiglia molto chiaro, in atto in modo sotterraneo,
ovvero togliendo valore a quello che c’è. Qual è il bisogno reale, qui? La
gente comune non lo capisce.
2. La battaglia in corso, molto
forte, è tra una cultura che vede il limite come un valore, e un’altra cultura
opposta, dove ogni limite viene eliminato. Ad esempio affermare che l’unione di
un uomo e una donna è uguale a quella tra persone dello stesso sesso significa
pensare che tra maschio e femmina non c’è differenza, cioè che ogni individuo è
totipotente e indifferenziato, che non ha limiti, perché ognuno è tutto. Non a
caso il terreno di questa battaglia è proprio il sesso, la differenza più
radicale nella persona, l’aspetto davvero fondante del limite: chi è maschio
non è anche femmina e viceversa. Pensiamoci bene: qualsiasi donna incinta
chiede subito se il figlio «è maschio o femmina», perché così ne conoscere
l’identità. È ora di tornare al buon senso e alle parole semplici.
3. In Francia presto le coppie
gay potranno anche adottare un figlio, ma ciò provocherà danni molto gravi a
questi minori. Potrà vivere quel bambino con due genitori maschi (o femmine)?
Dipende: se vogliamo crescerlo nell’onnipotenza sì, ma sappiamo che questo non
lo farà stare bene. Il fatto è che oggi si pensa che amare un figlio significhi
solo riversargli addosso dell’affettività, ma così non è.
4. A forza di desensibilizzare le
persone e di svuotare le parole del loro vero significato - famiglia,
matrimonio, diritti - si diluisce ogni confine. Quando si parla di matrimonio
le persone, a parte i credenti, spesso non sanno più bene di che cosa si stia
parlando, i contorni sono tutti diluiti. E questo destabilizza il vero
matrimonio.
LA GIURISTA
«L’adozione agli omosessuali? Una distorsione delle cose naturali»
Anna Danovi, presidente del
Centro per la Riforma del Diritto di famiglia
1. Non c’è dubbio che
l’iniziativa di delibera del Comune di Milano, e dei Comuni che hanno agito
precedentemente in modo analogo, rompe un protocollo finora vigente. Qui c’è
una delibera consiliare che dà un’impronta di validità e riporta un piano di
fatto su un piano di diritto. Ma da qui a riconoscerlo come un’apertura a
modifiche della normativa vigente siamo molto lontani: un conto è concedere a
una coppia non sposata riconoscimenti dal punto di vista anagrafico, e un conto
è pensare che questo sia una premessa sul piano del diritto.
2. Un’enorme problematica nasce
dal conflitto tra la nostra legge nazionale e le norme internazionali, vista la
piega che sta prendendo la Francia o che altri Paesi hanno preso da tempo.
Penso al caso della coppia gay italiana sposata in Olanda, il cui documento qui
in Italia non è stato validato. Quanto al rischio che anche in Italia le coppie
gay arrivino a poter adottare, non lo ritengo probabile: sarebbe una
distorsione delle cose naturali. Certo, però, alla lunga è possibile: su temi
tanto sensibili la società non si sofferma a riflettere abbastanza.
3. Oggi in Italia il matrimonio
non può che essere l’impegno assunto da un uomo e una donna davanti a Dio o
allo Stato civile. Però lo stato di fatto sta anticipando il diritto ovunque in
Europa, e l’Italia è un Paese che quasi da solo protegge ancora la sua anima
iniziale, fa da baluardo alle tradizioni e a un’etica anche laica (il valore
del matrimonio civile). Mentre però l’Italia tiene la sua posizione, un Comune
dice «io comincio a mettere il mio timbro sul cambiamento e do anche ai gay gli
stessi diritti delle coppie sposate», e lo scollamento è rischioso.
4. Due persone eterosessuali che
convivono hanno già tutti i riconoscimenti: i loro figli godono degli stessi
diritti degli altri, se uno dei due muore l’altro ha diritto al trasferimento
del contratto d’affitto, eccetera. Direi che solo per gli omosessuali c’è un
salto effettivo.
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