DIBATTITO/ Fanno più "danni" le banche o il pensiero debole?
- Pietro Barcellona - martedì 18 settembre 2012 - http://www.ilsussidiario.net/
Leggendo i giornali e seguendo
programmi di informazione politica sembra ormai pacifico che le prossime
elezioni saranno - non solo in Italia - all’insegna della scelta drammatica tra
difesa e rilancio dell’Europa o catastrofe nazional-populista. La proposta
diffusa di un Monti bis è infatti, come Scalfari ha precisato, legata alla
continuità della linea del governo Monti in tema di politica di bilancio e di
lotta al debito pubblico.
Dico subito che ho aderito al
movimento federalista europeo di Altiero Spinelli perché sono convinto che
anche oggi solo un orizzonte europeo può dare ancora un senso al ruolo
dell’Occidente nel sistema globale. Resto tuttavia assai perplesso dalle
modalità e dai contenuti con cui si sta sviluppando la discussione sull’Europa
nel nostro Paese e negli altri stati europei. Ho sempre fisso il ricordo al
drammatico libro di Maria Zambrano quando molti decenni fa, poco dopo la
seconda guerra mondiale, prefigurava una lenta agonia dell’Europa qualora si fosse
arrestato tutto alla sfera economica e al mercato.
Perché un giovane italiano o
spagnolo o tedesco dovrebbe oggi sentirsi motivato a lottare per l’unità
dell’Europa se poi essa si presenta nella vita di tutti i giorni come andamento
delle borse, sali e scendi dello spread, diffidenze dei governi e sostanziale
immobilismo sui problemi più drammatici dell’occupazione e della tutela dei più
deboli? È paradossale, ma oggi si difende un’Europa rappresentata da
istituzioni neppure democratiche senza fare alcun vero appello alle profonde
ragioni spirituali e culturali che possono spingere ciascuno di noi a sentirsi
europeo pur senza contraddire la propria identità nazionale. Quella che si
presenta agli occhi di tutti è un’Europa frigida, fatta solo di commissioni e
di banche centrali senza alcuna cultura che animi davvero uno spirito europeo,
capace di ridare identità ideale anche a chi oggi è costretto a fare
l’esperienza della povertà e dei sacrifici.
Come tutti i giovani europei dopo
la guerra, ho viaggiato in lungo e in largo e ricordo bene il clima di
affettuoso cameratismo che si respirava negli alberghi della gioventù.
Specialmente per chi seguiva la traiettoria dei paesi nordici - come capitava
spesso in quel periodo - era davvero un momento di grande educazione spirituale
incontrare lungo le rive del Reno giovani provenienti da tutte le parti
d’Europa che cercavano di ragionare insieme sulle tragedie della guerra ancora
recente e sulle tracce mostruose che i bombardamenti avevano lasciato sulle
grandi città tedesche. Ricordo tuttora la visita di una Colonia ancora
semidistrutta e del bellissimo duomo svuotato e come, di fronte a quelle
macerie, i giovani di tutta Europa provavano a creare un linguaggio comune di
pace e collaborazione.
Tra gli anni 60 e 70 i viaggi non
erano organizzati dalle scuole e dalle università: i ragazzi viaggiavano
autorganizzandosi con appuntamenti simbolici nei luoghi più significativi della
scuola europea. I tentativi di comunicare si risolvevano spesso nel canto di
canzoni popolari comuni a tutte le tradizioni. Persino Lili Marleen era
diventata quasi una sigla degli incontri che spontaneamente avvenivano nei
saloni degli alberghi della gioventù. Può sembrare paradossale ma dopo la
guerra mondiale l’Europa come realtà spirituale e come incontro di culture e
popoli diversi era una realtà pratica che dava vita ad un’enorme circolazione
di gioventù con una grandissima voglia di incontrare e capire le ragioni degli
altri.
Oggi non ho la stessa sensazione
che i giovani italiani o spagnoli si sentano europei come negli anni 70,
sebbene i loro spostamenti siano facilitati dai programmi universitari e dallo
scambio fra le famiglie. I giovani che oggi vanno a Londra sono motivati
essenzialmente dalla necessità di apprendere la lingua dominante e
dall’acquisire un qualche titolo di studio che possa arricchire le loro
competenze tecniche nella prospettiva di ritrovare un lavoro più qualificato in
Italia. Al contrario, la vita giovanile dei movimenti dei partiti di massa, sia
pure spesso motivati da un internazionalismo ideologico, favorivano un tempo
grandi raduni di giovani pieni di speranze nel futuro che consideravano le
frontiere doganali il residuato di una vecchia cultura autarchica. Certo, io
ricordo il raduno dei giovani comunisti e l’entusiasmo che contagiava tutti nel
cantare gli inni della rivoluzione, ma questi raduni giovanili erano comuni a
tutte le diverse appartenenze politiche e religiose e davano la misura di una
integrazione spirituale di cui oggi non ci sono più tracce.
Oggi la maggioranza dei popoli
europei è afflitta da depressione e diffidenza verso ogni straniero e soltanto
la ricchezza diventa il parametro del riconoscimento sociale di chiunque si
trovi a circolare per l’Europa. Gli alberghi di lusso sono quasi tutti asetticamente
americani; gli incontri hanno caratteri formali e accademici; nessun partito
europeo e neppure i sindacati sono riusciti ad europeizzarsi. In passato c’è
stato solo un momento − quando si è discusso della cosiddetta costituzione
europea − in cui è stato posto al centro il problema delle radici culturali
comuni, e ricordo bene che allora il riferimento alle radici cristiane fu
rifiutato dai rappresentanti dei vari Paesi poiché ritenuto una contraddizione
insostenibile per un’Europa che si voleva laica e illuminista. Da quel momento
in poi non si è fatto alcun tentativo di costruire le condizioni comuni per una
vera cultura europea che non fosse fondata soltanto sulle convenienze
economiche.
L’Europa si è rattrappita, come
ha scritto Massimo Franco sul Corriere della Sera, e non si riesce persino più
a rintracciare una politica della sicurezza militare comune a tutti gli stati
dell’Unione. Il Mediterraneo è scomparso dall’orizzonte politico e il rapporto
fra l’Europa e la cosiddetta primavera araba è solo la prova di un persistere
di egoismi nazionali e di pretese di dominio economico. La vicenda libica è
stata il teatro di una ignobile competizione fra i diversi Stati europei che
aspiravano al controllo del petrolio libico. Agli occhi della maggior parte
degli europei l’Europa della troika e della commissione, nonostante gli sforzi
di Mario Draghi, appare come un’istituzione lontana e priva di legittimazione
che in virtù di poteri non dichiarati pubblicamente decide sulla vita degli
Stati costretti a chiedere aiuto per non fallire.
Nei luoghi di studio e nelle
università si è perso completamente il contatto profondo con le diverse
componenti della cultura europea. La Francia di cui si parla nei nostri
convegni e nei nostri incontri culturali è quella di Marc Augé, per citare solo
un nome, in cui si descrive la decomposizione di ogni luogo sacro. La Germania
è quella di Sloterdijk che rappresenta con le sfere di cristallo la complessità
del mondo. Quel che viene dalle altre aree dell’Europa è, nella migliore delle
ipotesi, la sociologia di Bauman o di Zizek. Nessuno dei festival culturali e
filosofici, proposti in Italia o in Europa, affronta in modo compatto e
approfondito uno dei filoni della cultura europea: il grande pensiero laico
sviluppatosi in Francia lungo la storia di questi secoli; lo spirito religioso
e anche il doloroso disincanto della tradizione tedesca; il coraggio della
resistenza e della difesa dei propri caratteri popolari da parte dei cosiddetti
Paesi dell’est.
Senza le radici cristiane, senza
l’illuminismo francese, senza la grande cultura tedesca e senza la musica che è
stata prodotta meravigliosamente dagli uomini più inquieti del centro Europa
non c’è alcuna ragione per sentirsi europei. Reichlin e Scalfari sbagliano
cercando di fondare la necessità dell’Europa sulla indubbia razionalità
dell’integrazione economica, perché non colgono la necessità non soltanto della
componente politica, ma dello spirito europeo come riscoperta di una comune
tradizione che ci ha reso e ci rende diversi dal resto dell’occidente.
L’Europa si costruisce più negli
agriturismi dove gli stranieri si incontrano con il nostro stile di vita e
riescono a capirne i mostruosi difetti ma anche gli innumerevoli pregi; si
costruisce sempre più nello scambio degli studenti fra università europee senza
ostacoli burocratici e restrizioni incomprensibili. Frequentare per un anno una
scuola non italiana è un piccolo mattone della costruzione europea. Se vogliamo
mettere realmente l’Europa al centro del dibattito elettorale non dobbiamo
soltanto limitarci a discutere delle restrizioni economiche, imposte a chiunque
chieda l’aiuto europeo, ma dobbiamo creare le condizioni perché si formino
aggregazioni politiche davvero europee; sindacati che superino la ristrettezza
dei confini aziendali e sviluppino una politica comune del lavoro e
dell’occupazione; rapporti interculturali e interreligiosi che rimettano al
centro dell’esperienza comune anche la dimensione del sacro e del trascendente.
La laicità deve consistere essenzialmente nell’apertura e nell’assenza di
pregiudizi verso chi è portatore di altre esperienze e non già nell’imposizione
tecnologica di un sapere asettico, privo di alcuno sfondo umano come orizzonte
condiviso.
In tutte le epoche storiche in
cui l’Europa, nonostante le guerre civili e le lacerazioni fra gli Stati, ha
rappresentato un punto di riferimento per l’intero occidente, lo spirito
europeo si è incarnato in grandi movimenti culturali come il Rinascimento
italiano, l’Illuminismo francese e il romanticismo tedesco. L’Europa è stata la
patria della storia e della memoria del pianeta e solo questa storia, per certi
aspetti terribile, di guerre civili e di violenze inaudite ha realizzato alla
fine il più originale meticciato del pianeta dove diverse tradizioni e diverse
storie hanno creato un’esperienza di apertura e di accoglienza che nessun’altra
civiltà ha conosciuto. La straordinaria capacità di integrare la singolarità di
ogni vicenda e l’universalità della prospettiva umanistica è il cuore della
tradizione europea che può motivare un nuovo slancio vitale verso il futuro.
Chi si candida a governare dopo
Monti, se vuole tematizzare la centralità dell’Europa, deve riuscire a proporre
nuove istituzioni per creare una vera comunicazione tra popoli diversi e una
comune cultura della reciprocità e del riconoscimento. Un grande istituto di
storia europea, un grande progetto per gli studenti, nuove sedi per il
confronto politico fra le forze che lavorano nella prospettiva di un futuro
diverso dall’attuale miseria economicistica che la Zambrano aveva così
profeticamente previsto.
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