EUROPA - PROVETTA & NAZISMO - L’eugenetica di Hitler torna nel
vecchio continente a suon di sentenze e di leggi inique. La Grande Chambre
intima all’Italia di eliminare i divieto di diagnosi pre impianto nella
fecondazione in vitro. I frutti amari di due leggi ingiuste: la 194/78 e la 40/2004.
- di Mario Palmaro
Vietare la diagnosi genetica
preimpianto nella fecondazione artificiale è contrario all’articolo 8 della
Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Lo ha stabilito la Grande Chambre,
la Corte Europea dei diritti dell’uomo, rispondendo al ricorso presentato da
una coppia di italiani. La sentenza dice anche che la legge 40 sui figli in
provetta è incoerente con la legge 194 sull’aborto, poiché quest’ultima da 34
anni permette l’aborto eugenetico. Il ragionamento della corte è: se si possono eliminare dei nascituri perché
“imperfetti” con l’aborto, non si vede per quale ragione impedire eliminare
degli embrioni difettosi in provetta prima di impiantarli nel corpo di una
donna.
Fin qui il succo della sentenza,
che ha fatto molto discutere in Italia.
La natura ideologica della
sentenza e le sue pecche tecnico giuridiche
Va subito detto che la decisione
della Grande Chambre è il prodotto di una ben precisa visione ideologica e
politica: i giudici della Corte sono abortisti e favorevoli all’eugenetica
predicata nell’Inghilterra di fine ‘800, praticata dai Paesi scandinavi negli
anni ’30, ed elogiata ed emulata da Adolf Hitler e dal Nazismo nel ‘900.
Partendo da questa visione, essi usano in modo politico una sentenza, per
smantellare quei (piccoli) ostacoli che la legge 40 oppone alla selezione
eugenetica degli embrioni umani. Si deve aggiungere – come ha osservato il
magistrato di Cassazione Giacomo Rocchi - che la Corte sorvola completamente
sul fatto che i ricorrenti italiani non avevano promosso alcuna causa in
Italia, mentre il ricorso alla Grande Chambre è permesso solo dopo aver
esperito ogni grado di giudizio nel proprio Paese. Lo scopo di questa
iniziativa è quindi politico-giuridico: ottenere una decisione della Corte
Europea che costringa i giudici italiani e la Corte costituzionale a permettere
la diagnosi genetica reimpianto. Pratica barbara che comporta il sezionamento
dell'embrione, ancora formato da un piccolo numero di cellule, e nel
prelevamento di una o due cellule: l'esito dell'analisi genetica sulle cellule
prelevate è, di solito, di carattere probabilistico e non dà certezze; inoltre
spesso gli embrioni – sani o malati che siano – muoiono per il solo fatto di
essere stati sottoposti al prelievo. Va aggiunto che la coppia di ricorrenti è
fertile, e quindi in base alla legge italiana non ha alcun diritto di accedere
alla provetta, né tanto meno di pretendere la diagnosi preimpianto. Insomma:
sul piano tecnico giuridico la sentenza della Corte Europea fa acqua da tutte
le parti.
Le “verità” contenute nella
sentenza
Detto tutto il male possibile su
questa sentenza, dobbiamo però ammettere che essa contiene alcune verità.
La prima e più importante è che i
giudici europei hanno ragione da vendere quando ci rinfacciano di avere nel
nostro ordinamento una legge – la 194 del 1978 – che è eugenetica. Quella legge
stabilisce che una madre può decidere in modo insindacabile la soppressione di
suo figlio se questi è handicappato o portatore di una malattia. La legge 194
ricorre all’escamotage giuridico di far transitare tale decisione per la via
tortuosa del pericolo per la salute psicofisica della madre; ma ciò nulla
toglie alla natura eugenetica di tale aborto, che infatti produce l’uccisione
di un numero incalcolabile di nascituri disabili.
Seconda verità: entrando dentro
questa logica perversa, i giudici fanno un’affermazione difficilmente
contestabile. E cioè: poiché voi italiani avete stabilito che un feto
handicappato si può uccidere a norma di legge e a spese dello stato, perché con
la legge 40/2004 volete impedire la diagnosi pre impianto, che permetterebbe di
non impiantare (eliminandoli prima) degli embrioni portatori di handicap o di
varie patologie? Solo arrampicandosi sui vetri si può trovare un’obiezione
logica a questa domanda. La verità è che la legge 40 tenta con alcuni articoli
ad hoc di introdurre delle garanzie per l’embrione, ma che questo tentativo
offre il fianco ad attacchi e censure di ogni genere.
Terza osservazione: è un fatto –
e molti cattolici lo ignorano – che la legge 40 contenga nei suoi articoli un
esplicito rinvio alla legge 194: all’articolo 14 si scrive che “è vietata la
crioconservazione e la soppressione di embrioni, fermo restando quanto previsto
dalla legge 22 maggio 1978, n. 194.” E il 4° comma del medesimo articolo recita
che “ai fini della presente legge sulla procreazione medicalmente assistita è
vietata la riduzione embrionaria di gravidanze plurime, salvo nei casi previsti
dalla legge 22 maggio 1978, n. 194”. Questo significa due cose: la prima, che
la legge 40 si auto-subordina alla legge 194, e in caso di conflitto, si
proclama soccombente rispetto alla legge sull’aborto, che evidentemente non
vuole contestare né contrastare. Secondo: che per quanto riguarda la
crioconservazione, la soppressione di embrioni e l’aborto selettivo (definito
riduzione embrionaria) la legge 194 prevale sulla legge 40.
Queste verità devono essere
dichiarate e non nascoste, per evitare che anche fra i cattolici prevalga una
visione angelica ed edulcorata della legge 40, che è – come appena dimostrato –
una nipotina della legge italiana sull’aborto.
Fecondazione artificiale ed
eugenetica: un matrimonio indissolubile
Questo clima intra-cattolico di
apologetica della legge 40 impedisce di vedere un fatto fondamentale, che dà
ragione alla Grande Chambre: e cioè la natura intrinsecamente eugenetica di
ogni fecondazione artificiale. Con essa l’uomo non è generato da un atto intimo
degli sposi, diventa un prodotto, diventa una cosa, e come tale è privo di
valore in sé. Dunque diventa misurabile, manipolabile, congelabile, uccidibile.
Del resto, chi confeziona e vende un prodotto, ha il dovere di consegnarlo al
cliente integro e senza difetti. La legge 40 rappresenta uno sforzo
“volontaristico” di separare la pratica della Fivet in forma omologa da questa
cosificazione dell’uomo-embrione. Ma è destinata a fallire, perché il cerchio
non può diventare quadrato, e le gambe dei cani non si possono rendere diritte.
C’è un legno storto intrinseco alla Fivet, e nessuna legge umana può
raddrizzarlo. Da otto anni nel mondo cattolico – salvo lodevoli e maltrattate
eccezioni - si fanno barricate per difendere la legge 40, dimenticandosi di
gridare dai tetti il male contenuto in ogni fecondazione artificiale. Un grave
vulnus al dovere di insegnare, sempre, la verità. Nel frattempo, i famosi
“paletti” della legge 40 vengono colpiti e affondati uno a uno. Senza
dimenticare che, anche con i paletti, ogni anno si provoca la morte di 9
embrioni su 10 per avere un bambino in braccio.
I commenti in Italia
Questo clima trova conferma nei
commenti seguiti alla sentenza della Grande Chambre: da un lato, la prevedibile
euforia degli ambienti abortisti;
dall’altro, l’imbarazzo del mondo pro-life prevalente, che pare ossessionato
dalla difesa della legge 40 più che dal dovere di contrastare senza se e senza
ma ogni fecondazione artificiale e ogni aborto volontario. Ma c’è di più: da
qualche anno in Italia si è attenuata, o addirittura si è estinta, la denuncia
della legge 194 come legge gravemente iniqua; se è smesso di dichiarare che la
si vuole abolire; si è cominciato ma dire che in fondo la scelta è della donna,
e che al massimo si potrebbe dichiarare illecito l’aborto, ma depenalizzandolo.
Chi rimane sulle barricate contro la legge sull’aborto è emarginato come
pericoloso integralista all’interno dello stesso mondo pro-life. Del resto, la
Marcia per la Vita svoltasi a Roma nel maggio di quest’anno è il sintomo
clamoroso di questo malessere diffuso. Ora, la sentenza della Corte Europea
smaschera questa fase di grave tepidezza della cultura pro-life italiana. In
verità, su una cosa la Grande Chambre sbaglia: la legge 40 e la legge 194 non
sono affatto incoerenti, ma perfettamente consequenziali: tanto la fivet quanto
l’aborto riducono il concepito a un oggetto che si può distruggere a
piacimento, e nessuna “regolamentazione” può impedire questo esito intrinseco.
Che possiamo fare?
Il Governo Monti pare
intenzionato a impugnare la sentenza della Grande Chambre, e questa è certo una
buona risposta politica. Ma a ciascuno di noi, al mondo cattolico, ai suoi
pastori, e alle associazioni pro-life, è richiesto molto di più. Occorre
abbandonare il linguaggio flautato e politicamente corretto con il quale si
difendono le leggi ingiuste in nome del male minore. E bisogna tornare ad
eleggere come propria bandiera e stile le parole pronunciate da Benedetto XVI a
Castel Gandolfo il 29 agosto di quest’anno; “Cari fratelli e sorelle, celebrare
il martirio di san Giovanni Battista ricorda anche a noi, cristiani di questo
nostro tempo, che non si può scendere a compromessi con l’amore a Cristo, alla
sua Parola, alla Verità. La Verità è Verità, non ci sono compromessi. La vita
cristiana esige, per così dire, il «martirio» della fedeltà quotidiana al
Vangelo, il coraggio cioè di lasciare che Cristo cresca in noi e sia Cristo ad
orientare il nostro pensiero e le nostre azioni”.
© il Timone, n. 116,
settembre-ottobre 2012
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