ORA DI RELIGIONE/ Da Profumo una proposta "nichilista" che fa
male a tutti - martedì 25 settembre 2012 - http://www.ilsussidiario.net
ORA DI RELIGIONE - “Credo che
l’insegnamento della religione nelle scuole così come è concepito oggi non
abbia più molto senso. Nelle nostre classi il numero degli studenti stranieri
e, spesso, non di religione cattolica tocca il trenta per cento”. Così il
ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo che, con questa proposta, ha
manifestato la necessità di adeguare i programmi scolastici ad una scuola
sempre più multiculturale. “Sarebbe meglio adattare l’ora di religione - ha
precisato ancora Profumo - trasformandola in un corso di storia delle religioni
o di etica”. Dalla Santa Sede sino ai cattolici di entrambi gli schieramenti si
è levato un coro compatto di di protesta. Sul tema IlSussidiario.net ha
raccolto l’opinione del filosofo Costantino Esposito.
Professore, il ministro Profumo
afferma che l’insegnamento della religione va ripensato “perché la scuola è
ormai multietnica”. Come valuta questa affermazione?
Il ministro Profumo dà come
l’impressione di non sapere esattamente di cosa stia parlando citando, fra
l’altro, cifre non corrette: la percentuale degli alunni stranieri nelle scuole
italiane non è del 30% ma è ben inferiore, ed è circa il 10%. Fra l’altro,
Profumo non considera un dettato di legge normato dal Concordato, quindi, un
vero e proprio accordo istituzionale. Tuttavia, attraverso questo suo
intervento un po’ approssimativo, ci permette di chiederci quale sia la vera
emergenza, il problema di fondo nella scuola multietnica. E a me pare che tale
problema, molto più che l’individuazione di strategie pedagogiche o
istituzionali per integrare chi proviene da altre culture sia quello di non
sapere più noi qual è la nostra identità culturale e storica. Non sappiamo più
a chi e a cosa apparteniamo, anzi sembra che bisogna liberarsi da questa domanda
per poter essere “aperti”. Questo è il punto: come facciamo ad aprirci agli
altri se non ci “siamo” noi?
È attraverso il cambiamento
dell’ora di religione che noi possiamo ritrovare questa identità?
Un dato di fatto è chiaro: per
noi Italiani, l’appartenenza culturale e religiosa non è più un dato scontato.
Ha perso la sua evidenza e il suo fascino, e resta magari solo come
l’ispirazione di un dovere morale, il progetto di un’etica sociale ridotta alle
regole della correttezza pubblica e ai princìpi di comportamento di un uomo
che, di fatto, non c’è. Ed è per questo che la posta in gioco, all’interno
della scuola multietnica, non è innanzitutto l’armonizzazione delle diverse
culture (che semmai è una conseguenza), ma la riscoperta della nostra identità,
non solo in senso culturale-religioso, ma più radicalmente in senso
“personale”. L’identità o si gioca nella “domanda” su chi siamo e cosa vogliamo
davvero dalla vita, oggi, oppure resta un residuo reazionario del passato. E
difatti per molti ragazzi non si tratta neanche di una riscoperta, ma della
prima occasione per porsi certe domande sul senso delle cose e di sé. Da questo
punto di vista, l’ora di religione è uno strumento molto interessante: non
tanto come difesa dell’Italia cattolica o come conservazione di una “bene
culturale” della tradizione, ma come un’occasione per tutti, anche per chi non
è cristiano, per mettere in questione sé stessi.
Qual è secondo lei il significato
dell’ora di religione oggi?
Grazie ad essa si riaprono tre
partite fondamentali tipiche del cristianesimo, e direi particolarmente del
cattolicesimo: primo, esso è una religione della ragione e del logos, non della
cieca obbedienza ad un destino impersonale o dell’emozione di un sentimento
puramente interiore. Secondo, è l’esperienza in cui viene esaltata l’idea della
coscienza individuale e, quindi, della libertà e della dignità dell’uomo come
“persona”. Terzo, nel cristianesimo è possibile esercitare quella critica
all’idolatria, che mette in questione tutte le ideologie totalizzanti e il loro
progetto riduttivo (e spesso distruttivo) della vita degli uomini. E aggiungere
un quarto punto: nell’esperienza cristiana, che in questo è la grande erede
dell’ebraismo, è nata la concezione della “storia” come l’avventura degli
uomini che di epoca in epoca sono stati portati avanti dal riconoscere e dal
perseguire un significato, un “senso”. Solo grazie a questo significato ideale
il tempo può diventare lo spazio della costruttività personale e della
possibile condivisione dei bisogni nella società. L’alternativa è ritornare al
cieco fato pre-cristiano (o post-cristiano) in cui l’unico “senso”, l’unica
“direzione” della vita degli uomini è quella della morte, e in vita quello
della continua lotta per la sopravvivenza, come tra i lupi. Per tutti questi
punti, ritengo che valga la pena dedicare un’ora all’insegnamento della
religione cattolica.
Come valuta, invece, l’idea
espressa da Profumo che un programma scolastico “si debba adeguare” ai tempi?
Penso che oggi, “adeguarsi ai
tempi” significhi comprendere i veri motivi per cui siamo al mondo, cercando di
capire e prima ancora di conoscere la nostra storia e la nostra tradizione,
ormai oggetti ignoti, come degli “Ufo”. Solo dopo aver davvero compreso questo,
e solo grazie a questo sarà possibile aprirsi veramente e accogliere
effettivamente gli altri. Non per dovere sociale ma per un bisogno. “Noi”
abbiamo bisogno di “loro”, per essere noi stessi. L’incomprensione di sé o il
rifiuto della propria storia porta ad un assoluto relativismo antropologico-religioso
che produrrebbe un’ideologia nichilista, dove non c’è un senso condivisibile
per cui vale la pena vivere e stare insieme: così, accontentandosi di un
corretto e generico “diamo spazio a tutti” si ammetterebbe in fondo
l’insensatezza di ognuno. Uno dei punti più interessanti del cristianesimo è
quello di spingere tutti a chiedersi le ragioni ultime della propria
esperienza. Questo spiega il motivo per cui le scuole cattoliche, in tutto il
mondo, sono tra le più ambìte e frequentate: perché offrono un’educazione e
un’esperienza religiosa e storica che portano alla razionalità e alla coscienza
individuale e alla critica.
Profumo afferma ancora: “sarebbe
meglio adattare l’ora di religione trasformandola in un corso di storia delle
religioni o di etica”. Può spiegare i presupposti impliciti in questa
affermazione?
Questa affermazione mi ricorda
l’intervista rilasciata dal ministro all’educazione francese Francois Fillon al
quotidiano Le Journal du Dimanche in cui si diceva che occorre istituzionalizzare
in tutte le scuole d’Oltralpe un’ora di morale laica, in cui inculcare nei
giovani allievi i principi dell’uguaglianza e della libertà. Dal mio punto di
vista, si tratta di concetti un po’ astratti e vetero-illuministi, ripresi da
Rousseau, il quale sosteneva che è lo Stato a dover determinare la morale e
finanche la “natura” dei propri cittadini. Non credo che tutto ciò sia una
risposta reale al bisogno delle nuove generazioni italiane e straniere. Ciò di
cui abbiamo veramente bisogno non sono principi universali, ma di porre in atto
un’esperienza in cui ciascuno, cattolico, indù o musulmano, possa riconoscere
aspettative, esigenze e domande ultime sulla realtà che realmente accomunano
tutti gli uomini. Insomma, un “universale concreto”, guadagnato nell’esperienza
storica di ciascuno. La grandezza della religione cristiana sta nella sfida che
Cristo pone a tutti quando domanda: Ma tu, che cosa cerchi? Che cosa ami? Per
cosa spenderesti la vita? L’ora di religione non è affatto un problema di proselitismo
(sarebbe avvilente per il cristianesimo stesso!), ma la possibilità di
riflettere su una domanda che, ormai, non pone più nessuno a nessuno.
Il ministro, da diversi mesi,
batte il tasto della modernizzazione della scuola e della docenza a suon di
nuove tecnologie, tablet e pc. Quali considerazioni le suggerisce questo fatto?
Tutti questi strumenti sono
fantastici perché permettono l’attivazione di nuovi progetti di apprendimento.
La scuola, però, non deve solo insegnare ad usare il tablet per accedere al
mondo ma deve far emergere un soggetto che sappia usarlo in modo cosciente. La
capacità critica dello studente è la vera modernità, non lo strumento che usa.
E se la nostra “consistenza” critica ha come prototipo questa competenza, beh,
allora è una consistenza a scadenza breve, che tra un anno sarà già superata da
un altro “modello”. Quello che decide il mercato.
(Federica Ghizzardi)
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