PERCHÈ NON SIAMO IL NOSTRO CERVELLO (IV) di Alberto Carrara, venerdì 3
agosto 2012, http://acarrara.blogspot.it
Oggi, dopo aver esposto il primo
capitolo, vi espongo la sintesi del secondo capitolo del libro di Alva Nöe
Perchè non siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza
(Raffaello Cortina, Milano 2010) [1] intitolato: VITA COSCIENTE.
La tematica della vita cosciente,
o più in generale, della COSCIENZA, risulta essere al centro degli argomenti
“caldi” della NEUROETICA.
Il problema centrale della
coscienza è quello relativo alle “menti altre”, detto anche problema della
mente altrui:
· possiamo conoscere le menti degli
altri?
· come decidiamo che chi ci sta accanto
abbia realmente una coscienza?
· anche altre specie viventi possiedono
la coscienza? [2]
· chi, o che cosa, è cosciente?
· Come lo decidiamo?
· Dove troviamo in natura la coscienza?
[3]
Per studiare la mente, e quindi
la coscienza, abbiamo bisogno di un “atteggiamento più coinvolto” rispetto
all’asettico scientismo tipico del distaccato meccanicismo dominante. Una
prospettiva biologica permette di evitare tanto questo scoglio, quanto quello
di una mera intimità personale [4].
Attualmente non abbiamo alcuna
comprensione circa la connessione tra attività neurale ed esperienza soggettiva
[5], inoltre, «nessuna persona sana può prendere sul serio l’idea secondo la
quale la nostra conoscenza delle altre menti sarebbe meramente ipotetica» [6].
Interessante risulta il passaggio
di pagina 36 quando l’autore, riconoscendo che in casi drammatici, quali gli
stati vegetativi (VS) e le sindromi a chiavistello (locked-in syndroms), si
possa arrivare a dubitare dell’esistenza di una mente in questi soggetti, «il
punto è che dubitare dell’esistenza di una mente in un’altra persona non
significa aver perduto l’evidenza posseduta in precedenza che assicurava da un
punto di vista teorico, distaccato, che l’altra persona avesse una mente»[7].
La tesi di questo capitolo può
essere così riassunta dallo stesso autore: «la questione se una persona sia di
fatto cosciente o meno è sempre una questione morale, prima ancora che una
questione riguardante la nostra giustificazione a credere... Anche solo il
sollevare la questione se una persona sia o no in possesso di una mente
significa porre in questione la relazione con quella persona» [8].
L’autore esplicita e sviluppa la
tesi nel seguente modo affermando che «il problema della coscienza non è altro che
il problema della vita» [9], nel senso che: per fare biologia abbiamo bisogno
di sviluppare un atteggiamento non meccanicistico nei riguardi dell’organismo
considerato nel suo essere immerso nel proprio ambiente, così gli organismi
avranno una mentalità (almeno) primitiva. Quello che la biologia indaga è
l’organismo vivente e là dove riconosciamo vita, abbiamo tutto ciò che ci
occorre per la presenza di una mente.
«Una volta riconosciuto che
l’organismo è unità, e non processo, si è nella condizione di riconoscere anche
la sua primitiva natura di agente, il suo essereportatore di interessi, bisogni
e punti di vista» [10] (mindfulness).
«Non si dovrebbe pensare alla
coscienza come a qualcosa che accade dentro di noi. La mente del batterio non
coincide con il modo in cui esso è attivamente organizzato. Riguarda piuttosto
il modo in cui esso attivamente si pone in relazione e si integra con il suo
ambiente....la mente del batterio, in quanto tale, consiste nella sua forma di
impegno rispetto all’ambiente e di integrazione con esso. La sua mente è la sua
vita» [11].
C’è un interessantissimo
passaggio nel quale l’autore afferma: «Esistono correlati interni della
coscienza. Solo le creature dotate del giusto tipo di cervello possono avere
determinati tipi di esperienza, e agli eventi nella coscienza corrispondono
senza dubbio eventi di tipo neurale. Esistono però anche correlati esterni
della coscienza» [12].
Concludendo questo secondo
capitolo dedicato alla tematica della VITA COSCIENTE, si afferma che «la vita è
il limite inferiore della coscienza... La questione della coscienza si presenta
per gli esseri viventi, e si presenta per loro in quanto esibiscono una sia pur
primitiva forma di agentività.... Il legame tra vita e coscienza è decisivo.
Ciò che rende difficile comprendere se una persona che si trova in uno stato
vegetativo permanente abbia esperienze è il fatto che la sua vita è stat
totalmente distrutta; per un verso, è la sua stessa vita a essere messa in
discussione» [13].
Su quest’ultima affermazione,
bisognerebbe aprire tutta la contemporanea critica e rivisitazione scientifica
e medica sul termine “permanente” riferito ai casi di stato vegetativo;
infatti, è oltremodo scorretta, dal punto di vista scientifico, tale
attribuzione in quanto non si ha modo di sapere con certezza scientifica la
permanenza della persona umana in tale stato, inoltre, tutti i lavori di Cruse
et al. pubblicati sul New England Juornal of Medicine NEJM (2011 e 2012)
riconoscono l’estema difficoltà diagnostica degli stati vegetativi (VS) e un
altissimo tasso d’errore (rispetto ai cosiddetti stati di minima coscienza,
MCS), attorno al 42%.
Il capitolo termina anticipando
lo sviluppo seguente: «nel prossimo capitolo rivolgerò la mia attenzione al
cervello, con l’obiettivo di comprenderne il ruolo nella spiegazione della
coscienza animale. Mostrerò che la prospettiva che ho sviluppato in queste
pagine offre uno scenario nuovo a partire dal quale spiegare e comprendere la
coscienza» [14].
[1] Cf. Alva Nöe, Perchè non
siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza, Cortina, Milano
2010.
[2] Ibid., 27.
[3] Ibid., 28.
[4] Ibid., 28.
[5] Ibid., 29.
[6] Ibid., 34.
[7] Ibid., 36.
[8] Ibid., 37.
[9] Ibid., 41.
[10] Ibid., 44.
[11] Ibid., 44.
[12] Ibid., 44.
[13] Ibid., 48.
[14] Ibid., 49.
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