PERCHÈ NON SIAMO IL NOSTRO CERVELLO (V) di Alberto Carrara, lunedì 10
settembre 2012, http://acarrara.blogspot.it
Dopo aver presentato una breve
recensione, la Prefazione e la sintesi del primo capitolo del libro di Alva Nöe
Perchè non siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza
(Raffaello Cortina, Milano 2010) [1], oggi ne ri-espongo, per sommi capi, il
secondo capitolo (prima parte) intitolato: VITA COSCIENTE.
Un riassunto più breve l’ho già
fornito qualche mese fa. Ho deciso di riconsiderarlo per la centralità della
tematica e per poter presentare altre considerazioni utili in ambito
neuroetico.
Colpisce, almeno a me, come
l’autore ponga, all’inizio di questo capitolo, come fece nel primo, una frase
del grande filosofo Ludwig Wittgenstein.
Nel primo capitolo aveva esordito
per bocca di Wittgenstein in questo modo:
«Il corpo umano è la migliore
immagine dell’anima umana» [2].
Non c’è dubbio che anche la
seconda frase di Wittgenstein in calce al secondo capitolo:
«Il mio atteggiamento nei suoi
confronti è un atteggiamento nei confronti di un’anima. Io non sono
dell’opinione che egli abbia un’anima» [3]
continui il “filo rosso” anti-riduzionista
ed esternalista difeso da Alva Nöe a spada tratta lungo tutto il volume.
L’argomento centrale di questo capitolo è il “problema delle altre menti” che
può essere riassunto dalle seguenti domande:
· possiamo conoscere le menti degli altri?
· come decidiamo se le persone intorno a
noi sono coscienti?
· che dire riguardo alla possibilità che
anche esemplari di altre specie siano dotati di una coscienza? [4]
Il capitolo difende e propone una
prospettiva alternativa rispetto sia la distacco meccanicistico, sia alla mera
intimità personale, è la prospettiva della biologia che concilia
l’atteggiamento distaccato della conoscenza scientifica ad un atteggiamento più
coinvolto che permette alla mente umana di essere oggetto di indagine.
Lo scetticismo tipico di una
certa corrente filosofica che si è traslato alla scienza è, di fatto,
impraticabile ed assurdo. L’autore lo sottolinea affermando che: «nessuna
persona sana può prendere sul serio l’idea secondo la quale la nostra
conoscenza delle altre menti sarebbe meramente ipotetica. Per quanto debole
possa essere l’evidenza a nostra disposizione che gli altri possiedano una
mente, sarebbe alquanto assurdo ritenere che in virtù di ciò potremmo far
venire meno il nostro impegno nei riguardi dell’esistenza della mente degli
altri» [5].
Vi è un presupposto alla base di
tale scetticismo che una volta assunto, anche se soltanto incoscientemente,
conduce all’errore. Alva Nöe lo individua chiaramente: «Il punto di partenza di
quasi tutte le riflessioni che riguardano questo problema coincide con l’idea
che la nostra conoscenza di come gli altri pensino e sentano – la conoscenza
che essi essi pensino e sentano e non siano meri automi – si basa su ciò che
siamo in grado di osservare, ascoltare e misurare» [6].
L’autore prende in
considerazione: gli stati vegetativi (VS), le sindromi a chiavistello o
locked-in, gli esperimenti psicologici di antropomorfizzazione di Fritz Heider
e Marianne Simmel degli anni ’40, il robot Kismet progettato da Cynthia Breazeal
del MIT e il comportamento dei bambini studiati per osservarne lo sviluppo e
l’insorgenza della cosiddetta “teoria della mente” (test della falsa
acredenza), per osservare acutamente un altro presupposto indimostrato che
sottende una certa visione scettica e riduzionista della realtà: «Sin da
principio si assume che ciò che ciò che abbiamo a disposizione non è altro che
il mero comportamento altrui, dando per scontato che le menti siano qualcosa di
privato e di nascosto» [7]. Questo, inoltre, porta con sé un terzo presupposto:
«che le menti degli altri siano per noi reali solo in quanto strumenti teorici
utili a gestire i nostri rapporti sociali» [8]. Il parallellismo che segue può
chiarire abbastanza bene l’analogia e ciò che l’autore vuole mettere in
evidenza: «Allo stesso modo in cui postuliamo l’esistenza di un pianeta
nascosto per dar conto delle perturbazioni osservate nell’orbita di un pianeta
che vediamo, così spieghiamo perchè il tuo corpo si muove lungo una determinata
traiettoria appellandoci a un insieme di cause non percepite e meramente
ipotetiche» [9].
... (continua)
[1] Cf. Alva Nöe, Perchè non
siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza, Cortina, Milano
2010.
[2] Ibid., 3.
[3] Ibid., 27.
[4] Ibid., 27.
[5] Ibid., 34-35.
[6] Ibid., 28.
[7] Ibid., 32.
[8] Ibid., 34-35.
[9] Ibid., 34-35.
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