UNA QUESTIONE DI IDENTITÀ E
LAICITÀ TRA DIRITTO E MORALE - Obiezione di coscienza 3 | Giurisprudenza e
criticità - di Antonio Palma
ZI12091607 - 16/09/2012
Permalink:
http://www.zenit.org/article-32615?l=italian
ROMA, domenica, 16 settembre 2012
(ZENIT.org).- 1. In diverse occasioni ho avuto modo di approfondire il
complesso tema della relazione di genere tra identità e laicità, concludendo
per l’esistenza non di una laicità, bensì di diverse laicità, ovvia conseguenza
del politeismo dei valori, ricordando
Weber.
Sono i «valori», difatti, a
determinare il concetto di «laicità», che, oggi più che in passato, ben può
essere considerata simbolo e manifestazione di tolleranza e libertà, nelle
accezioni più varie, ed ove lo si ritenga, anche in contrapposizione ad
«autorità»1. E ciò specialmente nell’ambito di un contesto sociale che voglia
effettivamente essere multiculturale2.
Nell’ambito della Costituzione
italiana, il principio della «laicità» – definito da più parti «super principio
costituzionale», si ritiene, sia soltanto implicito, a differenza di altre
democrazie occidentali3. La laicità, intesa come «super principio
costituzionale implicito»4, pone, in primo luogo, difficoltà in ordine alla determinazione
del suo «contenuto essenziale»5.
In questa direzione, un ruolo
significativo è svolto dall’assenza, in Italia, di una legislazione ad hoc
in materia di «obiezione di coscienza», alla quale tentano di supplire,
però, note decisioni delle Corti, anche se spesso con risultati alquanto
scarsi.
Così, nella proposta prospettiva
ermeneutica, assumono specifico valore, le diverse decisioni in merito alla
giustificazione dell’omissione di atti di ufficio da parte del pubblico
funzionario, ad esempio in presenza di simboli sacri o religiosi6.
Dall’esame delle decisioni
giurisprudenziali, alle quali si è fatto riferimento, sembra scaturire la
distinzione dottrinale tra «laicità per addizione» (cioè ammissione ed
esposizione di tutti i simboli) e «laicità per sottrazione» (ammissione di
alcuni simboli ed esclusione di altri)7: «nel nostro ordinamento costituzionale
quello della laicità dello Stato costituisce un principio supremo, idoneo –
secondo la Corte costituzionale – a risolvere talune questioni di legittimità costituzionale (…).
Trattasi di un principio non proclamato
expressis verbis dalla nostra
Carta fondamentale; un principio che, ricco di
assonanze ideologiche e di una storia controversa, assume però rilevanza
giuridica potendo evincersi dalle norme fondamentali del nostro ordinamento»8.
Una conclusione, però, può,
forse, essere tratta, ossia, come si anticipava nelle pagine introduttive, la
laicità è, innanzitutto, simbolo di tolleranza, e viene intesa, precisamente,
come «dubbio rivolto pure alle proprie certezze, autoironia demistificazione di
tutti gli idoli, anche dei propri; capacità di credere fortemente in alcuni
valori, sapendo che ne esistono altri, pur rispettabili»9.
2. – L’ «obiezione di coscienza» può essere,
dunque, esaminata nell’ambito delle ricadute operative del concetto di laicità,
e segnatamente come fattispecie concreta di applicazione del principio, in
termini di «libertà». Così, in un quadro così complesso, potente si manifesta
l’ipotesi di rimettere al singolo o alla singola collettività o istituzione di autodeterminare la propria laicità e identità, una sorta di
applicazione domestica del principio di autodeterminazione e di
sussidiarietà, verticale ed orizzontale.
Il tema, è evidente, è destinato
ad assumere ben diverse proporzioni, meritando ben altro approfondimento, se
non altro in termini di relazione tra «identità individuale», «identità
nazionale» e «identità costituzionale»10.
Così, «identità» diventa anche
simbolo di «integrazione», in una prospettiva di rimozione dei limiti formali e
sostanziali all’unità, sia nell’ambito nazionale che in quello sovranazionale
o, se si preferisce, europeo.
Il riconoscimento di «identità»
costituisce, difatti, strumento di attribuzione di «libertà», in chiave
marcatamente antidiscriminatoria11.
3. – Le obiezioni di coscienza – non soltanto al
servizio militare, che pure ne rappresenta il paradigma di riferimento –, hanno
subito, in applicazione del principio di laicità, una significativa
trasformazione12. La riflessione non può che partire dai fenomeni di obiezione
che la comune esperienza giuridica, legislativa e giurisprudenziale, pongono
come utile punto di riferimento per una ricostruzione esegetica in materia.
Ebbene, si tratta, in primo luogo, dell’obiezione di coscienza al servizio
militare13, poi, dell’obiezione agli interventi di interruzione della
gravidanza14 e di quella alla
sperimentazione su animali15. A queste ipotesi normative devono essere,
inoltre, aggiunte, tra i numerosi ed astratti casi ipotizzabili, i seguenti: il
diritto del lavoratore a «rifiutare per motivi di coscienza l’adempimento della
prestazione alla quale è obbligato per contratto»16; vi è, poi, il noto caso
dei Testimoni di Geova che rifiutano emotrasfusioni17; ancora, il caso
dell’Avvocato divorzista o del Giudice «della famiglia», che crede
nell’indissolubilità del sacro vincolo matrimoniale18; quello del
farmacista cattolico che è contrario
alle pillole abortive; quello particolarmente complesso dell’obiezione alle
vaccinazioni obbligatorie19; per finire con un'altra significativa ipotesi,
quella della c.d. obiezione fiscale. Si tratta solo di ipotesi proposte a
titolo esemplificativo, al fine di porre in debita evidenza come il fenomeno
dell’obiezione di coscienza sia destinato, nell’ambito di dinamiche politiche e
sociali in continua e radicale trasformazione, ad acquistare dimensioni del
tutto nuove ed impreviste.
Così, il fenomeno delle obiezioni
di coscienza, assume un primo rilevante valore sotto il profilo della
qualificazione della situazione giuridica soggettiva sottesa all’esercizio del
diritto o alla manifestazione dell’interesse. Ci si interroga, cioè, sotto il
profilo della teoria generale, in ordine alla natura di detta situazione
giuridica, se, cioè, di diritto soggettivo o di interesse legittimo, in
particolare. Naturalmente, non mancano neppure diverse ed ulteriori proposte
ricostruttive20.
In una simile direzione, utile
appare il riferimento alla sperimentata ipotesi dell’obiezione di coscienza al
servizio militare obbligatorio, discussa sotto il profilo della sua consistenza
giuridica: secondo alcuni, si tratterebbe di interesse legittimo21, secondo
altri, invece, argomentando dall’attribuzione dei diritti fondamentali,
avrebbe, invece, consistenza di diritto
soggettivo22; secondo altri ancora, ed in maniera particolarmente
significativa, la fattispecie in esame non potrebbe essere, invece, inquadrata
in nessuna delle due categorie formali ora esposte, attesi i tanti chiaroscuri
tra le due suddette categorie, a partire dalla nota decisione n. 500 del
199923.
La concezione del diritto
soggettivo pare aver finito con il prevalere, in seguito alle decisioni della
Corte Costituzionale24, cui, in parte, si è fatto cenno. In particolare, la
citata decisione n. 164 del 1985 ha definitivamente affermato la netta
distinzione tra il dovere di «difesa della patria» ed «il servizio militare
obbligatorio».
Meno problematica è, invece, la
natura di diritto soggettivo potestativo «sostanziale» che connota l’obiezione
all’interruzione di gravidanza, in quanto espressamente qualificata, in tal
senso, dal legislatore, esercitatile attraverso una semplice dichiarazione25.
Ancora una volta, quindi, la
laicità può essere giusto simbolo di libertà e tolleranza e, al contempo,
fondamentale strumento di equilibrio tra le inevitabili tensioni dell’ideologia
e della politica.
Con specifico riferimento
all’argomento qui in indagine, delle obiezioni di coscienza, sembra, pertanto,
potersi, osservare come nell’ambito di uno Stato Laico possa, allora, essere
attribuito valore prevalente alla «libertà di coscienza», da considerarsi
«valore giuridico fondamentale» di civiltà26.
Anche per ovvie ragioni di
sintesi, non mi soffermo sulla problematica dell’esercizio del diritto di
obiezione che ha assunto drammatica rilevanza nell’ambito del tema della fine
della vita umana o, se si preferisce, nell’ambito dei «diritti di fine vita».
La molteplicità dei profili di indagine non consente, difatti, neppure di
effettuarvi un breve cenno27.
* Professore Ordinario
Istituzioni di Diritto Romano,
Facoltà di Giurisprudenza,
Università di Napoli “Federico
II”;
Avvocato;
Presidente Scienza & Vita
Napoli
(Per consultare la newsletter di
Scienza & Vita, si può cliccare sul seguente link:
http://www.scienzaevita.org/materiale/Newslettern59.pdf)
[La seconda parte verrà pubblicata
domani, lunedì 17 settembre]
*
NOTE
1
Cfr. A. PALMA, Le laicità e le
identità nella recente giurisprudenza italiana, in Studia et Documenta, 2011, pp. 479 e ss.
2
La memoria conduce a VOLTAIRE, Il
trattato sulla tolleranza del 1763, e
ricorda il drammatico fatto di cronaca che ne ha ispirato l’origine: un padre
calvinista uccide il figlio per impedirgli di convertirsi alla religione
cattolica, inscenandone il suicidio, nella cattolica Tolosa del 1761.
3
Ci si riferisce all’Ordinamento francese, nell’ambito del quale, invece,
questo principio sembra essersi affermato in maniera al quanto differente:
nell’Ordine costituzionale francese, difatti, l’art. 1 Cost. esplicitamente
afferma la laicità dello Stato.
4
Secondo la nota definizione di Corte cost. sent. 12.4.1989, n. 203
in Foro it., 1989, I, c. 1333 e ss.:
«non è fondata la questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli
art. 2, 3, e 19 cost., dell'art. 9 n. 2 della legge n. 121 del 1985 (ratifica
ed esecuzione dell'Accordo di modificazioni, con protocollo addizionale,
firmato il 18 febbraio 1984, che apporta modifiche al Concordato Lateranense,
tra l'Italia e la Santa Sede, dell'11 febbraio 1929), nonché del punto 5, lett.
b), n. 2 del protocollo addizionale cit., sotto il profilo che le norme
denunciate, qualora non potessero legittimare la previsione dell'insegnamento
religioso come insegnamento meramente facoltativo, posto al di fuori
dell'orario ordinario delle lezioni, dovrebbero essere considerate lesive del
principio della libertà di fede religiosa, del principio di uguaglianza, e del
diritto al libero sviluppo della personalità del minore nell'ambito della
scuola». A tale conclusione si giunge in considerazione del fatto che «l'art. 9
punto 2 l. 25 marzo 1985 n. 121, che ratifica le modificazioni al concordato
con la Santa Sede, e il punto 5 lett. b) n. 2 del protocollo addizionale
prevedono che l'insegnamento della religione cattolica (che lo Stato è tenuto
ad assicurare) è facoltativo per gli studenti e per le loro famiglie; pertanto,
l'art. 9 punto 2 ("recte" numero 2) legge n. 121 e l'art. 5
("recte": punto 5) lett. b del protocollo addizionale cit. non sono
in contrasto con gli art. 2, 3 e 19 cost. in quanto non impongono a coloro che
non si avvalgono dell'insegnamento alternativo e, conseguentemente, non causano
agli stessi un discriminazione ed un condizionamento della loro libertà di
religione». E ciò «in quanto solo l'esercizio del diritto di avvalersi
dell'insegnamento della religione cattolica crea l'obbligo scolastico di
frequentarlo nel mentre, per quanti decidano di non avvalersene, l'alternativa
è uno stato di non obbligo». Ed inoltre, Corte cost., 14.1.1991, n. 13, in Dir. famiglia, 1991, p. 865 e ss.: «è infondata, con riferimento agli art. 2, 3,
19 e 97 cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9 n. 2
dell'accordo di modificazioni, del concordato lateranense 11 febbraio 1929, tra
la Santa Sede e l'Italia (Villa Madama, 18 febbraio 1984), nonché del p. 5,
lett. b), n. 2 del protocollo addizionale, in pari data, all'accordo predetto,
norme entrambe immesse nell'ordinamento giuridico dello Stato in virtù della
legge di ratifica 25 marzo 1985 n. 121, nella parte in cui consentono agli
studenti non avvalentisi dell'insegnamento religioso cattolico di assentarsi o
di allontanarsi dalla scuola per lo spazio di tempo nel quale detto
insegnamento viene impartito». In considerazione del fatto che, «il
collocamento dell'insegnamento della religione cattolica nell'ordinario orario
delle lezioni non comporta violazione dell'art. 2 cost., poiché l'insegnamento
della religione rientra nel quadro delle finalità della scuola e va impartito
con modalità compatibili con le altre discipline scolastiche; pertanto, l'art.
9 n. 2 l. 25 marzo 1985 n. 121 ed il punto 5 lett. b) n. 2 del protocollo
addizionale non sono in contrasto con gli art. 2, 19 e 97 cost.». Ne discende
che, «la libertà di religione è garantita dalla scelta consentita agli studenti
di avvalersi o di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica e
le varie forme di impegno scolastico, presentate alla libera scelta dei non
avvalentisi, non hanno alcun rapporto con la libertà di religione; pertanto,
l'art. 9 n. 2 l. 25 marzo 1985 n. 121 ed il punto 5 lett. b) n. 2 del
protocollo addizionale, non sono in contrasto con l'art. 3 cost. nella parte in
cui, nel consentire agli studenti di avvalersi o non dell'insegnamento
religioso, consentono ad essi di scegliere fra altre attività didattiche e
formative, o attività di ricerca individuale con assistenza di personale
scolastico, o libera attività di studio senza assistenza di personale docente,
comprendente anche la facoltà di non presentarsi o allontanarsi dalla scuola».
Queste significative decisioni hanno ritenuto doveroso affermare una regola di «equidistanza
verso le fedi e le confessioni religiose organizzate».
5
Cfr. ancora Corte Cost., sent. n. 203 del 1989, cit. In dottrina, v. F.
P. CASAVOLA, Costituzione italiana e
valori religiosi, in Ripensare la
laicità. Il problema della laicità nell’esperienza giuridica contemporanea,
Torino, 1993, spec. p. 67 e ss.
6
Ci si riferisce alla decisone della Cass. pen., sez. IV, n. 439 del
2000, in Riv. pen., 2001, 181 e ss.,
che, nel caso di impiego delle aule come seggio elettorale, ha ritenuto, in
nome della laicità, giustificato il rifiuto dell’ufficio di presidente o di
scrutinatore – e, dunque, causa di esclusione del reato – in caso di presenza
di simboli sacri o religiosi (il Pretore di Cuneo, in primo grado, aveva,
invece, condannato per il reato di omissione atti d’ufficio i suindicati
soggetti per il suddetto rifiuto). E, più, di recente, al caso noto come
«Tosti», che ha ad oggetto la sopravvenuta rimozione, ad opera del Consiglio
Superiore della Magistratura, di un magistrato per essersi rifiutato di tenere
udienze in aule giudiziarie nelle quali era esposto il simbolo cristiano del
Crocefisso. Per ulteriori approfondimenti, si ricordi l’articolo apparso
sul Corriere della sera del 20.1.2010, in www.corrieredellasera.it. Rimozione
confermata dalle Sez. Un. della Corte di Cassazione, con la decisione del
14.3.2011, n. 5924, in www.lexitalia.it,
citata nel testo: «è legittima la sanzione disciplinare della rimozione
irrogata dalla Sezione disciplinare del CSM nei confronti di un magistrato, ai sensi
dell’art. 18 del R.D. n. 511 del 1946 e degli artt. 1, e art. 2, lett. n ed r.
del d.lgs. n. 109 del 2006, perché in violazione dei doveri istituzionali e
professionali di diligenza e laboriosità, con grave e reiterata inosservanza
delle disposizioni relative alla prestazione del servizio giudiziario, si è
sottratto all’attività giurisdizionale, che era chiamato a svolgere,
astenendosi dalla trattazione di 15 udienze nonché di altre 4 udienze, per la
presenza di un crocefisso nelle aule del Tribunale (nella specie tale condotta
era persistita nonostante la messa a disposizione da parte del presidente del
Tribunale di un’aula priva di simboli religiosi».
7
In argomento, cfr., tra i diversi autori, PRISCO, op.
cit., p. 29 e ss.; Id., La
laicità ed i suoi contesti storici: modelli socio-culturali e realtà
istituzionali a confronto, in Diritto e
religioni, 1-2/2006, p. 301 ss.
8
Si tratta di Cass., sez. un., 14.3.2011, n. 5924, in www.lexitalia.it. La Corte trae il principio
di laicità, in particolare, dalle seguenti disposizioni costituzionali: artt.
2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione. La significativa decisione prosegue,
«sul piano teorico il principio di laicità è compatibile sia con un modello di
equiparazione verso l’alto (laicità per addizione) che consenta ad ogni
soggetto di vedere rappresentati nei luoghi pubblici i simboli della propria
religione, sia con un modello di equiparazione verso il basso (laicità per
sottrazione). Tale scelta legislativa, però, presuppone che siano valutati un
pluralità di profili, primi tra tutti la praticabilità concreta ed il
bilanciamento tra l’esercizio della libertà religiosa da parte degli utenti di
un luogo pubblico con l’analogo esercizio della libertà religiosa negativa da
parte dell’ateo e del non credente, nonché il bilanciamento tra garanzia del
pluralismo e possibili conflitti tra una pluralità di identità religiose tra
loro incompatibili». La decisione è destinata ad assumere particolare valore,
anche posta in relazione alla pressoché contestuale citata decisione della Grand Chambre
della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 18.3.2011.
9
Così, v. C. MAGRIS, Laicità, la
grande fraintesa, in La storia non è
finita. Etica, politica, laicità, Garzanti, Milano, 2006, p. 26 ss.
10 In questa sede, ci si limita a segnalare una
recente decisione del
Bundesverfassungsgericht del
2.3.2010, indicata da S. RODOTA’,
Editoriale della Riv., crit. dir. priv., 2010, 1, 3 e ss. La
decisone analizza la problematica questione della compatibilità con la legge
interna tedesca della trasposizione della direttiva europea in materia di
conservazione dei dati personali: «la decisione dei giudici tedeschi riguarda direttamente
le caratteristiche di quella tutela, e fa giustizia di una distinzione alla
quale ci si continua a riferire nella discussione costituzionalistica italiana,
quella tra dati «esterni» e dati «interni» delle comunicazioni, si che soltanto
questi ultimi sarebbero meritevoli della
garanzia prevista per la libertà e la sicurezza delle comunicazioni
dall’articolo 15 della Costituzione». L’a. critica questa impostazione, siccome
«arcaica», rilevando come, al contrario, la decisione tedesca rovesci «questa
impostazione», mettendo «in evidenza come la semplice conservazione di dati
esterni possa violare la libertà delle comunicazioni, perché l’accumulo di
queste informazioni in grande banche dati (…), la conseguente possibilità di
reperirle in ogni momento e di connetterle tra loro consentono di ricostruire
l’intera rete delle relazioni personali, sociali, economiche di un soggetto, le
sue preferenze e i suoi stili di vita, le stesse scelte politiche, religiose,
culturali, anche senza conoscere il contenuto delle comunicazioni». Si è,
dunque, di fronte alla necessità «di collocare il tema della privacy nella
dimensione costituzionale, nell’ambito di un quadro di diritti che
costituiscono addirittura l’identità costituzionale di un paese». In argomento,
pare il caso di segnalare, altresì, un recente provvedimento normativo in
materia di Anagrafe nazionale degli
studenti (si tratta del Decreto
ministeriale del 5.8.2010, n. 74, in
www.olir.it), della cui legittimità costituzionale è, forse, possibile
dubitare. L’art. 3 del decreto, difatti, prevede quanto segue: «per le finalità
di rilevante interesse pubblico di cui all’art. 95 del decreto legislativo n.
196/2003, l’Anagrafe può contenere dati idonei a rivelare lo stato di salute,
le convinzioni religiose o di altro genere e dati giudiziari indispensabili ad
individuare il soggetto presso il quale lo studente assolve l’obbligo
scolastico (scuole paritarie, strutture ospedaliere, case circondariali, ecc.).
I tipi di dati e le operazioni eseguibili ai sensi dell’articolo 20 del decreto
legislativo n. 196/2003 e successive modifiche sono individuati, previo parere
conforme del Garante per la protezione dei dati personali, in un atto del
Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca avente natura regolamentare».
11 Il riferimento alla nota sentenza «Lisbona»
della Corte costituzionale tedesca del 30.6.2009 appare alquanto evidente. In
argomento, in senso parzialmente contrario alle numerose ed aspre critiche
rivolte alla decisione, cfr. A. J. MENÉNDEZ,
Una difesa (moderata) della sentenza Lisbona della Corte costituzionale
tedesca, Napoli-Roma, 2012, spec. pp. 10 ss.
12 Tra i diversi contributi in materia, cfr., in
particolare, F. ONIDA, Contributo ad un
inquadramento giuridico del fenomeno delle obiezioni di coscienza, in Dir. eccl., 1983, p. 241 e ss.;A. PUGIOTTO,
voce Obiezione di coscienza nel diritto
costituzionale, in Dig. (disc. pubbl.),
X, Torino, 1995, p. 240 e ss.; S. PRISCO,
Fedeltà alla Repubblica e obiezione di coscienza – una riflessione sullo
Stato «laico», Napoli, 1986, spec. p. 66 e ss.; e, più di recente, Id., Laicità. Un percorso di riflessione, cit., p.
71 e ss. Agli autori si rinvia anche per ogni opportuno approfondimento di
natura bibliografica.
13 Risalente alla legge Pedrini n. 1033 del
1966, è stata successivamente modificata con le leggi n. 695 del 1974 e n. 1139
del 1977; e nuovamente riformata con la legge n. 772 del 1972 e n. 230 del
1998; per cadere in disuso con l’abolizione della leva obbligatoria e
l’istituzione del Servizio Civile Nazionale ad opera della legge n. 64 del
2001. Com’è non a tale ultima conclusione si è giunti attraverso alcune
significative decisioni della Corte cost., che, in particolare con la sent.
19-31.7.1989, n. 470, in G.U., I serie speciale del 9.8.1989, p. 74 e ss., ha provveduto a
rimuovere le discriminazioni residue tra coloro che effettuavano il servizio
militare obbligatorio e coloro che, invece, optavano per il servizio civile
sostitutivo, argomentando ex artt. 2, 3 e 21 della Cost.
14 Regolamentata dalla legge n. 70 del 1994. In
proposito, si segnala una recente decisione del T.a.r. Puglia Bari, sez. II,
14.9.2010, n. 3477, in www.lexitalia.it,
che ha dichiarato la illegittimità di un bando di concorso per il potenziamento
organico della ASL, segnatamente in relazione all’ «assistenza del percorso di
nascita», nella parte in cui escludeva dalla possibilità di parteciparvi medici
ginecologi obiettori. Il bando, precisamente, consentiva la partecipazione solo
a «specialisti non obiettori di coscienza per attività consultoriali».
L’illegittimità di una simile clausola di esclusione, deriva dal contrasto
della relativa scelta amministrativa con i principi di proporzionalità e
ragionevolezza di derivazione comunitaria. Legittima, invece, viene considerata
– per eventuali futuri bandi di concorso a tal riguardo – la scelta di
prevedere una eguale riserva di posti (50 % per ciascuna «categoria») per
medici obiettori e medici non obiettori. Anche una simile soluzione
«percentuale», tuttavia, non manca di sollevare fondate perplessità.
15 Disciplinata dalla legge n. 413 del 1993.
16 Invero, in senso contrario, nel senso, cioè,
dell’inesistenza di un simile diritto, tra i rari pronunciati, v. Trib. Milano
12.1.1983. Il caso è tratto da F. ONIDA,
L’obiezione di coscienza nelle prestazioni lavorative, inRapporti di
lavoro e fattore religioso a cura di Aa.
Vv., Napoli, 1988, p. 227 e ss.
17 Il caso della manifestazione di volontà dei
«testimoni di Geova» in ordine al rifiuto delle emotrasfusioni assume rilievo
anche con riferimento alla problematica dei «diritti di fine vita». Ci si è,
difatti, interrogati sulle conseguenze, in termini di responsabilità del medico
che, nel caso di pericolo grave ed imminente per la vita del paziente testimone
di Geova, effettui egualmente la trasfusione di sangue, con salvezza della vita
di questi. In tal caso, per intenderci, vi sarà violazione del diritto di
autodeterminazione e conseguente responsabilità aquiliana, oppure, in
considerazione dell’effetto salvifico tale violazione non sarà ritenuta
sussistente. Ancora una volta la «scriminante» sembra potere essere
rappresentata dalla sussistenza o meno di un consenso informato consapevole,
certo ed inequivoco circa il rifiuto del trattamento terapeutico. Il caso è
stato, di recente deciso da Cass., 15.9.2008, n. 23676, Pres. Preden, Est.
Travaglino, ed in senso favorevole al medico: «nell’ipotesi di pericolo grave
ed immediato per la vita del paziente, il dissenso del medesimo deve essere
oggetto di manifestazione espressa, inequivoca, attuale, informata. Esso deve,
cioè, esprimere una volontà non astrattamente ipotetica ma concretamente
accertata; un’intenzione non meramente programmatica ma affatto specifica; una
cognizione dei fatti non soltanto “ideologica”, ma frutto di informazioni
specifiche in ordine alla propria situazione sanitaria; un giudizio e non una
“precomprensione”: in definitiva, un dissenso che segua e non preceda
l’informazione avente ad oggetto la rappresentazione di un pericolo di vita
imminente e non altrimenti evitabile, un dissenso che suoni attuale e non
preventivo, un rifiuto ex post e non ex ante, in mancanza di qualsivoglia
consapevolezza della gravità attuale delle proprie condizioni di salute. E ciò
perché, a fronte di un sibillino sintagma “niente sangue” vergato su un
cartellino, sul medico curante graverebbe in definitiva il compito (invero
insostenibile) di ricostruire sul piano della causalità ipotetica la reale
volontà del paziente secondo un giudizio prognostico ex ante, e di presumere
induttivamente la reale “resistenza” delle sue convinzioni religiose a fronte
dell’improvviso, repentino, non altrimenti evitabile insorgere di un reale
pericolo di vita, scongiurabile soltanto con una trasfusione di sangue. Di
talché, come la validità di un consenso preventivo ad un trattamento sanitario
non appare in alcun modo legittimamente predicabile in assenza della doverosa,
completa, analitica informazione sul trattamento stesso, così la efficacia di
uno speculare dissenso ex ante, privo di qualsiasi informazione
medico-terapeutica, deve ritenersi altrettanto impredicabile, sia in astratto
che in concreto, qualora il paziente, in stato di incoscienza, non sia in
condizioni di manifestarlo scientemente, e ciò perché altra è l’espressione di
un generico dissenso ad un trattamento in condizioni di piena salute, altro è
riaffermarlo puntualmente in una situazione di pericolo di vita». La vicenda si
era mostrata incerta sin dal primo grado di giudizio. Il Tribunale, difatti,
accolse la domanda risarcitoria; mentre la Corte di Appello di Trieste la
respinse. Il caso dei «Testimoni di Geova» assume, inoltre, rilevanza in
relazione alla discussa idoneità di un simile modello educativo, ed in
particolare, nei momenti di crisi dell’unione solidale familiare. L’argomento
è, di recente, ritornato nelle aule dei Tribunali: «in tema di separazione
giudiziale dei coniugi, l’affido condiviso deve escludersi quando possa essere
pregiudizievole per l’interesse dei figli minori». Nel caso esaminato, i
Giudici avevano disposto «l’affido esclusivo del minore al genitore in grado di
assicurargli un modello educativo predominante idoneo a garantirne un regolare
processo di socializzazione, in quanto l’altro genitore per aver abbracciato
una nuova religione, quella dei testimoni di Geova, si presentava
destabilizzante per il minore stesso, prospettando un modello educativo tale da
renderne impossibile una corretta socializzazione» (così, Trib. Prato, ord.
13.2.2009, in www.olir.it; in senso
conforme, C. App. Roma, 18.4.2007, in
www.olir.it).
18 Vi sono alcuni casi giurisprudenziali
particolarmente significativi. Ad esempio, Trib. Avellino, ord. 4.2.2003, resa
in un giudizio di separazione, nell’ambito del quale il Presidente, nonostante
la intollerabilità della convivenza e la chiara manifestazione della volontà di
separarsi, non autorizzava i coniugi a vivere separatamente. Se ne cita un
breve brano: «in questa situazione la autorizzazione a vivere separatamente
costituirebbe un immeritato premio per il marito, il quale deve, invece,
meditare attentamente sulle proprie iniziative e capire una volta per tutte che
non basta a tutti i costi volere una separazione per poterla ottenere, visto
che vi sono dei giudici cui incombe il preciso dovere di riscontrare se
oggettivamente, e non per una opzione tipo ripudio, la vita comune sia divenuta
intollerabile» (la decisione è tratta da G. CASABURI,Sillabo dei principali
errori sulla separazione giudiziale dei coniugi: ovvero giudici, etica di
Stato, intollerabilità della convivenza, in
Il corr. del mer., 2005, 12, p. 1245 e ss.
19 Il caso delle vaccinazioni obbligatorie si
dimostra emblematico, in considerazione dello stretto legame tra diritto e
liberta individuale di obiezione e interessi collettivi. Difatti,
«l’accresciuta consapevolezza dei rischi legati alla pratica vaccinale, la
rilettura del rapporto tra diritto all’autodeterminazione e interesse
collettivo e soprattutto l’orientamento della giurisprudenza minorile, volto a
ravvisare un difetto di giurisdizione del tribunale per i minorenni, conducono
ad una impostazione più equilibrata della obbligatorietà delle vaccinazioni che
nega l’equivalenza tra mancata ottemperanza all’obbligo vaccinale e pregiudizio
per il minore per riconoscerla viceversa tra obblighi del cittadino e obblighi
delle strutture sanitarie nelle quali si eseguono le vaccinazioni» (così, A.
ALPINI, «Vaccinazioni obbligatorie» e
«obiezione di coscienza», in Rass. dir.
civ., 2011, 4, p. 1036 e ss., spec. p. 1049-1050). In giurisprudenza, v. Trib.
min. Bologna, 25.1.1994, in Fam. e dir.,
1994, p. 1292, secondo cui «il compito di attuare l’obbligo vaccinale non
compete al giudice, perché spetta all’autorità sanitaria esercitare la
discrezionalità amministrativa e tecnica che le compete in ordine all’attuazione
dei trattamenti sanitari obbligatori, rilasciando, eventualmente, esoneri
dall’obbligo».
20 Per una disamina delle diverse ipotesi
ricostruttive della situazione giuridica soggettiva sottesa, cfr., in
particolare, ONIDA, Contributo ad un
inquadramento giuridico del fenomeno delle obiezioni di coscienza, cit., p. 241
e ss.;PUGIOTTO, voce Obiezione di
coscienza nel diritto costituzionale, cit., p. 240 e ss.; PRISCO,Laicità. Un
percorso di riflessione, cit., p. 86 e ss.
21 In questa direzione, v. A. PUGIOTTO,Alcuni
problemi di tutela giurisdizionale in tema di obiezione di coscienza al
servizio militare, in La tutela
giurisdizionale dei diritti fondamentali a cura di L. Carlassare, Padova, 1988, spec.
p. 134 e ss.
22 In questa diversa prospettiva, v. G.
ANZANI, La natura giuridica
dell’obiezione ed i poteri della commissione ministeriale (sent. n. 16/1985 del
Consiglio di Stato, Ad. plen.), in
Obiezione di coscienza al servizio militare – profili giuridici a
prospettive legislative, Padova, 1989, p. 63 e ss.
23 Ci si riferisce a S. LARICCIA, Coscienza e libertà, Bologna, 1989, p. 110 e
ss. E’ noto ed acceso il dibattito nell’ambito delle categorie generali del
diritto soggettivo e dell’interesse legittimi, ed nella direzione, sempre più
intensamente sostenuta, del venir meno di una netta linea di demarcazione tra
le due suddette categorie, a discapito della seconda.
24 Si tratta di Corte cost. sent. n. 409 del
1989, cit. Ma già con la precedente sent. n. 164 del 1985, in Giur. cost., 1985, I, c. 2013 e ss., con
commento di A. PUGIOTTO, L’obiezione di
coscienza al servizio militare tra l’immobilismo del legislatore e le
accelerazioni della giurisprudenza, la Corte cost. aveva rimarcato la netta
distinzione tra servizio militare obbligatorio e dovere di fedeltà. Si
aggiunga, anche Corte Cost., sent. n. 113 del 1986, in Giur. cost., 1986, I, c. 1822 e ss., con
commento di A. PUGIOTTO, L’obiezione di
coscienza nuovamente davanti alla Corte costituzionale: ancora una sentenza
lungimirante. Altre significative decisioni intervenute in materia e meritevoli
di essere segnalate, nella prospettiva ermeneutica di cui nel testo, sono Cfr.
Cons. di Stato., Ad plen., n. 16 del 1985, in
Giur. it., 1985, III, c. 1391 e ss., con commento di R.
VENDITTI,Valutazione dei motivi dell’obiezione e reiezione della domanda di
ammissione al servizio militare; e Pretura di Chivasso, ord. 15.3.1983, citata
da PRISCO, Laicità. Un percorso di
riflessione, cit., p. 83 e ss.
25 Cfr. la legge n. 70 del 1994, art. 3. In
argomento, cfr. G. DALLA TORRE, Diritti
dell’uomo e ordinamenti sanitari contemporanei: obiezione di coscienza o
opzione di coscienza ? in Realtà e prospettive dell’obiezione di
coscienza. I conflitti degli ordinamenti
a cura di B. Perrone, Milano, 1992, p. 291 e ss.In materia di diritti
soggettivi perfetti, com’ è noto, si manifesta una ulteriore significativa
distinzione nell’ambito specificamente dei diritti soggettivi potestativi,
precisamente tra diritti soggettivi potestativi di natura giudiziale e quelli
di natura sostanziale. Un caso appare di particolare interesse, ossia la natura
del diritto alla separazione personale ed al divorzio dei coniugi. In
proposito, si auspica un intervento legislativo che riformi la materia nel
senso della diversa qualificazione del suddetto diritto da potestativo da
esercitarsi necessariamente in giudizio a sostanziale. Nel senso, cioè, che,
essendo condiviso che il presupposto per lo scioglimento del vincolo
matrimoniale è solo il presupposto oggettivo dell’intollerabile convivenza e
che l’altro coniuge non può opporsi alla separazione o al divorzio, risultando
il suo dissenso irrilevante, tanto vale attribuire ai coniugi il potere di
sciogliere il vincolo senza la necessità del giudizio (che potrà proseguire per
le condizioni della separazione e del divorzio) ma attraverso una semplice
dichiarazione unilaterale di volontà da rendersi innanzi ad un pubblico
ufficiale atto a riceverla (si ritiene, il notaio). Per questa prospettiva
evolutiva, cfr. A. PROTO PISANI, La
crisi coniugale tra contratto e giudice, in
Foro it., 2008, IV, c. 161 e ss.
26 Cfr. STRAND - STEIN, I valori giuridici della civiltà occidentale,
trad. it., Milano, 1981, spec. p. 71 e ss.; WIEACKER, Sulle costanti della civiltà giuridica
europea, in Riv. trim. dir. pubbl.,
1986, p. 8 e ss.; POLANYI,La libertà in una società complessa, Torino, 1987,
183 e ss.; VASSALLI, Il diritto alla
libertà morale, in Studi giuridici in
memoria di F. Vassalli, II, Torino, 1960, p. 163 e ss.; HABERMAS, Storia e critica dell’opinione pubblica,
trad. it., Bari, 1977, p. 1 e ss; BOBBIO,
Politica e cultura, Torino, 1974, rist., p. 1 e ss.; BARCELLONA, Complessità e questione democratica, in Democrazia e diritto, 1987, p. 15 e ss.
27 In argomento, rinvio ad alcune riflessioni
svolte in Le laicità e le identità nella
recente giurisprudenza italiana, cit., pp. 479 e ss. A titolo esemplificativo,
si considerino, difatti, le implicazioni che possono derivare dal rifiuto da
parte dell’operatore sanitario di interrompere la prestazione di cura,
dovendosi, poi, distinguere l’ eutanasia «attiva» da quella «passiva». In tale
prospettiva, si manifesta anche la complessa questione del bilanciamento tra
l’obbligatorietà del trattamento sanitario ed i diritti di autodeterminazione
del paziente, ponendosi la controversa questione dell’ammissibilità o meno di
un «diritto di morire» o di «eutanasia», che evoca il Totenrecht
tardo ottocentesco tedesco, «nel segno dell’antimaterialismo filosofico
e della ribellione al positivismo giuridico» (così, RESCIGNO, La fine della vita umana, in Riv. dir. civ., 1982, I, 634 ss., cui si
rinvia anche per ogni opportuno approfondimento di natura bibliografica). Le
applicazioni di un simile finale diritto sono note, si ricordino i tragici casi
«Englaro», «Welby», «Terry Schiavo». In merito ai «diritti di fine vita», si
ricordi anche quanto in precedenza indicato in riferimento alla manifestazione
di volontà dei «testimoni di Geova» circa il rifiuto delle emotrasfusioni.
UNA QUESTIONE DI IDENTITÀ E LAICITÀ TRA DIRITTO E MORALE (SECONDA
PARTE) - Obiezione di coscienza 3 | Giurisprudenza e criticità di Antonio
Palma*
ZI12091707 - 17/09/2012
Permalink:
http://www.zenit.org/article-32634?l=italian
ROMA, lunedì, 17 settembre 2012
(ZENIT.org).- 4. – Dalle riflessioni
che precedono emerge un quadro assai vario e frastagliato in materia di
«obiezioni di coscienza», e l’assenza, inoltre, non solo di una disciplina
organica ed unitaria, ma, in molte occasioni, l’assenza di previsione
normativa28.
Il che pone all’interprete un
primo problema di ordine generale, ovvero se l’esercizio dell’obiezione di
coscienza sia da considerarsi legittima anche in assenza di legittimazione
normativa29.
Al quesito, come posto, potrà
essere data risposta affermativa, nel senso, cioè, del potere riconosciuto al
singolo di esercitare l’ «obiezione», ove questa rappresenti effettiva
manifestazione di «libertà di coscienza».
Se, difatti, il fondamento
dell’obiezione di coscienza è la libertà di coscienza30, è evidente che anche
la relativa legittimazione normativa non possa che essere ricercata nell’ambito
dei valori ordinanti dell’Ordinamento.
Ricollegare l’obiezione alla
libertà individuale di coscienza vale ad affermare la precisa scelta effettuata
in Costituzione circa la ferma – secondo molti, preminente – attribuzione dei
«diritti fondamentali di liberta» (artt. 2 e 3 Cost.), genericamente e
comunemente raggruppati e definiti in termini di «diritti di autodeterminazione».
Così intesa la libertà
individuale di coscienza diventa utile strumento di espressione della dignità
della persona e di bilanciamento con i doveri e le responsabilità imputabili
all’individuo31.
Un bilanciamento, questo, di
particolare difficoltà e complessità.
In effetti, in uno Stato
democratico e multiculturale, il diritto di obiezione può svolgere una funzione
di bilanciamento «il più possibile ragionevole»32.
Non pare, difatti, doversi
dimenticare che l’obiezione di coscienza, in termini di diritto di obiezione,
viene comunemente definita come potere del singolo di opporre il «rifiuto» di
adempiere ad un obbligo o dovere giuridico, non in quanto se ne contesti la
«giuridicità» o la «legittimità», bensì in quanto non si condivide, se si vuole
sotto il profilo etico o morale, detto obbligo o comando giuridico33.
Comprensibili le perplessità e le
opposte razioni ad una simile controversa e parziale conclusione, evocando
lavexata questio del rapporto tra
diritto e morale, essendo innegabile che qualsiasi imperativo giuridico
contiene in sé un che di morale. Sicuramente le norme costituzionali, in quanto
precettive di valori della persona, non possono essere disgiunte dal loro
contenuto «morale».
In questa direzione, il diritto
di obiezione di coscienza, manifestazione del valore di liberta di coscienza,
può, in effetti, essere valutato alla stregua della «costituzionalizzazione
della persona»34.
Per intenderci meglio,
l’obbedienza – nell’ambito di un Ordinamento effettivamente democratico – deve
intendersi rivolta non al comando giuridico astrattamente adottato, bensì ai
valori che quella norma intende esprimere35. Se si vuole e semplificando:
obbedienza al valore e non alla norma!
In tal senso, si è subito sopra
esposto di «valori condivisi» e liberamente secondo «ragionevole» coscienza.
Come accennato sopra, difatti,
l’obiezione pone in sé una questione di bilanciamento, specialmente in quei
casi in cui più valori possono venire in gioco, come di frequente accade quando
si confrontano valori di pari rango costituzionale. Per questa ragione si è
adoperata la locuzione di «ragionevole coscienza», a volere, cioè, sottolineare
che l’esercizio del diritto di obiezione non deve essere «irragionevole».
Per quanto, questo della
«ragionevolezza» sia un concetto di incertissimo statuto giuridico, come è
ampiamente noto36.
Alla luce delle brevi riflessioni
che precedono, e nella dichiarata prospettiva di un ragionevole bilanciamento
tra diritti di obiezione e imperativi giuridici, oggi più che in passato si
rende necessaria un’ampia «mediazione tra fedi, convinzioni, opinioni, norme e
concrete situazioni»37, mettendo da parte, per quanto possibile e giusto, le
proprie personali convinzioni.
5. – Un profilo teorico ed applicativo
particolarmente significativo e controverso dell’obiezione di coscienza,
rimasto in ombra nell’indagine proposta, è quello dell’obiezione di coscienza
all’aborto, oggetto, com’è noto, di specifica previsione legislativa.
In linea di prima
approssimazione, come in parte accennato, il diritto di obiezione di coscienza
può essere identificato nel rifiuto di adempiere ad un obbligo o dovere
giuridico, non condividendosi il contenuto del comando giuridico secondo
proprie convinzioni ideologiche, morali o religiose. Rifiuto che, com’è noto,
non è privo di conseguenze sul piano giuridico, esponendo chi obietta a
possibili conseguenze sul piano amministrativo, civile e penale. In questa
direzione, quello di obiettore può essere anche considerato in termini di status
giuridico, in quanto punto di riferimento per l’applicazione di
determinate discipline.
La triste ipotesi
dell’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) riguarda, in particolare,
l’esercizio del diritto di obiezione di coscienza da parte del medico
ginecologo ed è espressamente prevista, come accennato, dalla legge n. 194 del
1978, all’art. 9.
Secondo la previsione normativa,
il medico può divenire obiettore in qualsiasi momento, ma a condizione che non
sia parte attiva in nessuna fase
relativa ad una procedura di IVG, altrimenti lo «status» di obiettore
decade.
Molte problematiche possono
derivare dal legittimo esercizio del diritto di obiezione, a cominciare da
quelle relative all’ «interruzione di un pubblico servizio» al quale sarebbe
obbligato il S.S.N., come pure in diverse occasioni non si è mancato di
rilevare, seppure in maniera non del tutto ineccepibile. E’ il caso, ad
esempio, concretamente verificatosi ed in numerose ipotesi di esercizio
«collettivo» da parte dell’intero personale di strutture ospedaliere a ciò
deputate. In simili frequenti ipotesi è stato discutibilmente imposto al S.S.N.
l’obbligo di assicurare il servizio, ad esempio, tramite trasferimenti di
personale «non obiettore»38.
Altra frequente e molto
problematica ipotesi è, poi, quella dell’intervento abortivo da parte del
medico in caso di necessità. Nel qual caso si è rilevata l’impossibilità per il
medico di rifiutarsi di intervenire, qualora la donna sia in pericolo di vita
(tristemente noto è il caso della paziente che giunge in Pronto Soccorso con
una grave emorragia conseguente ad un aborto clandestino.
Così, come pure, è fatto divieto
al S.S.N. di selezionare il personale in fase concorsuale in base al suo statusgiuridico in merito all'obiezione di
coscienza.
Le problematiche, sinteticamente
esposte, ed altre ancora, sono state oggetto di un recente convegno in materia
di “obiezione di coscienza in Italia. Proposte giuridiche a garanzia della
piena applicazione della legge 194 sull’aborto”39.
Anche la data scelta per il
convegno appare significativa (il 22.5.2012), atteso che segna il 34°
anniversario dell’entrata in vigore della legge 194/78.
Il dibattito in materia appare
oggi sentito anche per effetto dell’impulso che deriva da alcune recenti
deliberazioni dell’assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, nel tentativo
di assicurare un bilanciamento quanto più effettivo ed equilibrato tra il
diritto di esercitare l’obiezione di coscienza, quale espressione della libertà
di pensiero, di coscienza e di religione, ed il diritto di ogni individuo di
ricevere dallo Stato le cure mediche ed i trattamenti sanitari legali.
In questa sede, non ci si può che
limitare soltanto ad un breve cenno ad una fattispecie di obiezione di
coscienza ampiamente approfondita sia in dottrina che in giurisprudenza nella
direzione di assicurare al personale medico il diritto di non prendere parte,
appunto, alle pratiche abortive40.
Appare significativo rilevare che
proprio l’ambito sanitario, ed in particolare, quello della bioetica, è
attualmente il terreno di ricerca più fecondo in materia di contenuto, limiti e
conseguenze dell’esercizio del diritto di obiezione di coscienza. Ciò è ovvia
conseguenza degli altissimi valori in gioco: salute e vita della donna e salute
e vita dell’embrione, poi, feto41.
Così come pure appare evidente
che il ricorso all’obiezione di coscienza non pare neppure potere essere
considerato alla stregua di una panacea in grado di risolvere, sic et simpliciter, ogni complessa questione
di bilanciamento tra valori di pari rango costituzionale nel senso indicato.
Allora è, forse, condivisibile
quella prospettiva euristica per la quale, in presenza di valori primari ed
irrinunciabili, quale, il diritto alla vita, l’obiezione di coscienza potrà
essere esercitata, in quanto meritevole di massima considerazione è la libertà
di coscienza individuale42.
Una problematica innovativa in
materia di aborto e obiezione di coscienza può, poi, essere individuata con
riferimento alla possibilità di ricorrere al c.d. "aborto
farmacologico"43.
Com’è noto sono utilizzati due
distinti farmaci, che determinano due diverse circostanze.
Il primo, è la pillola RU 486, ed
è specificamente abortivo, inducendo l'eliminazione della mucosa uterina e
dell'embrione che vi sia annidato. Per tali motivi e per le competenze
necessarie alla sua somministrazione e al controllo dei suoi effetti, l'uso di
questo farmaco in Italia è stato "ospedalizzato", e non ne è
consentita la vendita al pubblico nelle farmacie.
Il secondo, è il levonorgestrel (Norlevo), meglio noto come "pillola
del giorno dopo". In questo caso il farmaco viene assunto dopo rapporti
sessuali "non protetti", e può provocare alternativamente o il
semplice blocco dell'ovulazione, inibendo così la fecondazione ed agendo più propriamente
come contraccettivo, se somministrato nella fase preovulatoria; oppure può
agire sulla cellula uovo fecondata, impedendone l'impianto nell'utero, se
l'ovulazione è già avvenuta al momento dell'assunzione44. In questo caso,
«l'effetto, in quest'ultimo caso, è quello di sopprimere l'embrione»45.
A tal riguardo, si rilevi,
difatti, che «da un lato, infatti, il farmacista, come ogni altro
professionista, deve sempre agire secondo scienza e coscienza; dall'altro egli
ha l'obbligo di "spedire" qualsiasi ricetta medica regolarmente
compilata. Lo stesso va detto per il medico che si trovi a doverlo
prescrivere.»46. A tal proposito, secondo parere del Comitato Nazionale per la
Bioetica al medico va sempre riconosciuto "il diritto di appellarsi alla
"clausola di coscienza", dato il riconosciuto rango costituzionale
dello scopo di tutela del concepito che motiva l'astensione"47.
Né in contrario sembra poter
valere la circostanza che «l'effetto abortivo rappresenti (nel caso del Norlevo) solo un'eventualità nell'azione del
farmaco può esimere la coscienza di chi si trovi a dover fornire la
"spedizione" della relativa ricetta: colui che assume il principio di
inviolabilità della vita come valore esigente ed essenziale non può ammettere
neppure l'eventualità (pur sempre in concreto verificabile) di partecipare alla
eliminazione di un essere umano». Difatti, «nell'ipotesi descritta, paiono
pertanto ricorrere certamente i presupposti atti a legittimare anche l'
obiezione di coscienza del farmacista, quantomeno in virtù di un'estensione
analogica delle disposizioni sull' obiezione di coscienza all’aborto, ed in
applicazione dei principi di rispetto della coscienza e di tutela della vita
umana "dal suo inizio"»48, come, peraltro, espressamente afferma
l’art. 1 della legge sull’interruzione della gravidanza (la 194 del 1978).
Non può neppure non considerarsi,
difatti, che «l’obiezione all'aborto non può essere ritenuta norma eccezionale
del sistema giuridico, costituendo invece l' aborto eccezione rispetto al
principio di tutela della vita: perciò la normativa sull' obiezione di
coscienza rappresenta un'eccezione all'eccezione (l'aborto) e quindi un ritorno
alla regola (il diritto alla vita)»49.
Nessun dubbio, difatti, pare
sussistere in relazione al natura di diritto costituzionalmente riconosciuto
dell’obiezione di coscienza, secondo i dettami anche della Corte
costituzionale, di cui si è ampiamente riferito nelle pagine che precedono.
Infine, si osservi che è, invece,
«da porre, invece, in dubbio la legittimità di aver introdotto, con la commercializzazione
del Norlevo, una forma abortiva non
prevista dalla legge, in contrasto con il principio di stretto controllo
pubblico circa le condizioni necessarie per ammettere l'aborto, stabilite dalla
legge 194/1978, la quale prevede anche tutta una serie di attività doverose in
favore della vita del concepito, a tutela della maternità e dissuasive dell' aborto che vengono omesse nel caso di
somministrazione di tale farmaco»50.
Appare evidente come le
problematiche in materia di obiezione di coscienza e aborto siano solo state
accennate in questa sede, necessitando di ben altro approfondimento, a
cominciare dai legami con quelle derivanti dal fenomeno assai discusso della
procreazione medicalmente assistita, in particolare da quella in vitro, per continuare con la «mappatura
del codice genetico», con la clonazione, la sperimentazione ed al trattamento
degli embrioni.
(Fine)
* Professore Ordinario
Istituzioni di Diritto Romano,
Facoltà di Giurisprudenza,
Università di Napoli “Federico
II”;
Avvocato;
Presidente Scienza & Vita
Napoli
(Per consultare la newsletter di
Scienza & Vita, si può cliccare sul seguente link:
http://www.scienzaevita.org/materiale/Newslettern59.pdf)
(La prima parte è stata
pubblicata ieri, domenica 16 settembre)
*
NOTE
28 Il tema è destinato ad assumere proporzioni
ancora maggiori, investendo, più in generale, anche la tematica della portata
del principio di legalità nell’ambito del diritto civile. In argomento, cfr. P.
PERLINGIERI, Il principio di legalità
nel diritto civile, in Rass. dir. civ.,
2010, 1, p. 164 ss. L’a. pone in significativa evidenza «la crisi della
statualità del diritto, ricollegabile, tra l’altro, al contributo normativo del
diritto comunitario e, a livello nazionale, al decentramento dell’attività
legislativa», che «si traduce in una nuova sovranità diffusa». Prosegue, poi,
l’a. (p. 192), «in tema di legalità costituzionale, sarebbe di estremo
interesse valutare ruolo e funzione della riserva di legge, alla quale i
civilisti prestano da sempre scarsa considerazione. Sarebbe utile, in
particolare, passare in rassegna quelle con rilevanza civilistica contenute
nella prima parte della Costituzione per verificarne la funzione e la
rispondenza con la tradizionale distinzione tra riserve assolute, relative e
rinforzate, oramai acquisita dalla dottrina pubblicistica».
29 In questi termini, seppure con specifico
riferimento alla complessa tematica delle «vaccinazioni obbligatorie», v., più
di recente, ALPINI, «Vaccinazioni
obbligatorie» e «obiezione di coscienza», cit., p. 1047.
30 Cfr. Corte Cost., 18.7.1989, n. 409, in
Giur. Cost., 1990, p. 1711; Corte Cost., 24.4.1986, n. 113, in Foro it., 1986, I, c. 1489; In dottrina, in
aggiunta agli autori citati in precedenza, cfr. V. TURCHI, Obiezione di coscienza, in Dig. disc. priv., Sez. civ., XII, Torino, 1995 (rist. 2002),
p. 519 ss.; R. BERTOLINO, Obiezione di
coscienza I) Profili teorici, in Enc.
giur., XXI, Roma, 1990, p. 1 ss.; P. MONETA,
Obiezione di coscienza II) Profili pratici, ivi, p. 1 ss.; G.
BAGNETTI, Obiezione di coscienza III)
Profili comparativi, ivi, p. 1 ss.; F.C. PALAZZO,Obiezione di coscienza,
in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, p.
539 ss; A. PUGIOTTO, Obiezione di
coscienza nel diritto costituzionale, in
Dig. disc. pubbl., X, Torino, 1995 (rist.), p. 240 ss.
31 Cfr. Corte Cost., n. 467 del 1991, in Quad. dir. pol. eccl., 1991-1992, p. 51 ss.;
Corte Cost., 8.10.1996, n. 334, in
Giur. Cost., 1996, p. 2919. In dottrina, in particolare, G. DALLA
TORRE, Il primato della coscienza.
Laicità e libertà nell’esperienza giuridica contemporanea, Roma, 1992, p. 101
ss.; R. BERTOLINO,L’obiezione di coscienza moderna. Per una fondazione
costituzionale del diritto di obiezione, Torino 1994, pp. 16 e ss.; TURCHI, op. ult. cit., p. 60 ss.
32 A. ALPINI,
«Vaccinazioni obbligatorie» e «obiezione di coscienza», cit., p. 1048.
33 Cfr., F. VIOLA, L’obiezione di coscienza
come diritto, inPers. der., 2009, n. 61, p. 53 ss.
34 In tal senso, G. CAPOGRASSI, Obbedienza e
coscienza (1950), in
Opere, V, Milano, 1959, p. 197 ss.; in termini, F. D’AGOSTINO,
L’obiezione di coscienza come diritto, in
Iustitia, n. 62, 2009, p. 177 ss.
35 Cfr. VIOLA, op. cit., p. 175; nonché A.E.
GALEOTTI, Tolleranza, neutralità e
obiezione di coscienza, in G. PAGANINI e E. TORTAROLO, Pluralismo e religione
civile, Milano, 2004, p. 230 ss.
36 In argomento, basti rinviare a S. PATTI, La
ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, 2012, p. 7 ss. L’insigne a. così
introduce la Sua Lectio magistralis tenuta presso l’Università Suor Orsola di
Napoli: «il tema della ragionevolezza è molto attuale tra i giuristi e un
attento civilista, dopo avere ricordato che il criterio di ragionevolezza «sta
oramai diventando la bussola interpretativa di orientamento per qualsiasi
operazione applicativa, posto che vengono dichiarate costituzionalmente illegittime
norme che appaino intrinsecamente irragionevoli», si è chiesto se lo stesso
criterio non possa servire a negare in radice una limitazione, in materia di
inadempimento (e di alternativa tra responsabilità contrattuale ed
extracontrattuale) che non ha più ragione di essere»; prosegue l’a., «la
ragionevolezza viene quindi invocata quale strumento per individuare la
soluzione più adatta ai tempi e alle circostanze, più logica e rispondente alle
esigenze economico-sociali del momento, senza eccessive preoccupazioni di
conformità della soluzione incentrata sul dato positivo e di obbedienza alle
regole di interpretazione della legge». All’a. si rinvia anche per ogni
ulteriore opportuno riferimento giurisprudenziale e bibliografico.
37 Si cfr. ZAGREBELSKI, Contro l’etica della
verità, Roma-Bari, 2008, p. 3 e ss., che non manca di denunciare, il pericolo
di una «forza anti-democratica della verità».
38 In argomento, v. T.A.R. Bari Puglia sez. II, 14 settembre 2010, n.
3477, in Giur. cost. 2011, 2, 1995, secondo cui “la presenza o meno di
medici obiettori nei Consultori è assolutamente irrilevante, posto che
all'interno di tali strutture non si pratica materialmente l'interruzione
volontaria della gravidanza per la quale unicamente opera l'obiezione ai sensi
dell'art. 9 comma 3 l. n. 194 del 1978, bensì soltanto attività istruttorie e
consultive che esulano dall'iter abortivo e che, pertanto, anche il medico
obiettore è tenuto ad espletare”. Inoltre, pure significativa è, Pretura Bari 07 maggio 1990, in
Giur. it. 1993, I,2, 548, secondo cui “l' obiezione di
coscienza ai sensi dell'art. 9 della legge n. 194 del 1978 in materia di interruzione
volontaria di maternità attiene alla persona nel ruolo di operatore sanitario e
non limita una eventuale volontà abortiva del medico obiettore nella sua vita
privata”.
39 Promosso dall’AIED (Associazione Italiana
per l’Educazione Demografica) e dall’Associazione Luca Coscioni per la libertà
di ricerca scientifica, ha come obiettivo quello di presentare al governo e
alle regioni delle proposte giuridiche per far sì che il diritto dei medici ad
obiettare e il diritto delle donne ad interrompere la gravidanza possano essere
equamente garantiti. Il Convegno si è tenuto presso il Palazzo del Senato, il
22.5.2012.
40 Cfr. G. Dalla Torre, Diritti dell'uomo e
ordinamenti sanitari contemporanei: obiezione di coscienza oopzione di coscienza?, in B. Perrone, Realtà e prospettive dell'obiezione di
coscienza. I conflitti degli
ordinamenti, Milano, Vita e Pensiero,
1992, p. 290 e ss.; V. Turchi,
Obiezione di coscienza, cit., p. 538 ss. Per un esame comparativo delle
legislazioni in materia di obiezione di coscienza all’aborto, cfr. R.Botta,
Manuale di diritto ecclesiastico. Valori religiosi e società civile, Torino,
Giappichelli, 19982, 247 ss.;R. Navarro Valls-J. Martínez Torrón, Le obiezioni
di coscienza. Profili di diritto comparato, con la collaborazione di R.Palomino
e V.Turchi, Torino, Giappichelli, 1995, 101 ss.; cfr. pure, ancorché di più
antica data,F. Stella, L'obiezione di coscienza del sanitario nellelegislazioni
europee, in Rivista italiana di medicina legale, VII, 1985, 444 ss.
41 Si considerino, a titolo esemplificativo, i
diversi orientamenti etici rappresentati dagli approcci pro choice
opro life, in relazione ai quali v. F. Freni, Biogiuridica e pluralismo etico-religioso.
Questioni di bioetica, codici di comportamento e comitati etici, Milano, 2000,
p. 153 ss.
42 In argomento v., in maniera particolarmente
significativa, V. Turchi, L'obiezione di coscienza nell'Evangelium vitae,
in Iustitia, XLIX, 1996, 355.
43 In argomento, v. V. Turchi, in Dir. famiglia
2008, 03, 1436
44 Cfr. G. Boni, Il dibattito sull'immissione
in commercio della c.d. pillola del giorno dopo: annotazioni su alcuni profili
giuridici della questione, in particolare sull' obiezione di coscienza, in
questaRivista, XXX (2001), 680-681; M. Casini, M.L. Di Pietro, La commercializzazione del Norlevo: dal
decreto n. 510/2000 del 26 settembre 2000 del Ministro della sanità alla
sentenza n. 8465/2001 - 12 ottobre 2001 del Tar Lazio,ibidem, XXXI (2002),
429-434; M.L. Di Pietro, M. Casini, A. Fiori, R. Minacori, L. Romano, A.
Bompiani,Norlevo e obiezione di coscienza, in
Medicina e morale, LIII (2003), 411 ss.
45 Così, il Comitato Nazionale per la bioetica,
Identità e statuto dell'embrione umano, documento approvato il 27.6.1996 e
presentato al Parlamento il 12.7.1996, in
Il Regno. Documenti, XLI (1996), punto 3, 476. Cfr., inoltre, il
successivo parere del medesimo Comitato su
Ricerche utilizzanti embrioni umani e cellule staminali, dell'11.4.2003,
nel sito
http://www.governo.it/bioetica/testi/110403.html, il quale al punto 2
dichiara che "gli embrioni umani sono vite umane a pieno titolo".
46 TURCHI,
op. ult. cit.; nonché, Manfrini, L' obiezione farmaceutica, in B.
Perrone, a cura di, Realtà e
prospettive dell' obiezione di coscienza. I conflitti degli ordinamenti, cit.,
375; cfr. pure G. Dalla Torre, Diritti
dell'uomo e ordinamenti sanitari contemporanei: obiezione di coscienza o
opzione di coscienza ?, cit., 298 ss.; C. Casini, Parere su: Norlevo. L'obiezione di coscienza
dei farmacisti, in Medicina e morale,
LI (2001), 973 ss.
47 Comitato Nazionale per la bioetica, Nota
sulla contraccezione d'emergenza, 28.5.2004,
inhttp://www.governo.it/bioetica/testi/contraccezione_emergenza.pdf
48 TURCHI, op. cit.
49 Cfr. TURCHI, op. cit., che fa, altresì,
riferimento a L. Lombardi Vallauri, Bioetica, potere, diritto, cit., 76-77; G.
Boni, Il dibattito sull'immissione in
commercio della c.d. pillola del giorno dopo: annotazioni su alcuni profili
giuridici della questione, in particolare sull'obiezione di coscienza, cit.,
705-706; contra, G. Di Cosimo,I
farmacisti e la "pillola del giorno dopo", cit., 143; V.
Pacillo, Contributo allo studio del
diritto di libertà religiosa nel rapporto di lavoro subordinato, cit., 213-214
e 217.
50 TURCHI, cit. Di diverso avviso il T.A.R. del
Lazio, Sez. I bis, 12.10.2001 n. 8465,
in I Tribunali Amministrativi Regionali,
XXVII (2001), 3117 ss., ha invece ritenuto che il decreto ministeriale
26.9.2000 n. 510, di autorizzazione alla commercializzazione della specialità
medicinale "Norlevo" non contrasta con la legge n. 194 del 1978,
"poiché il farmaco autorizzato agisce con effetti contraccettivi in un
momento anteriore all'innesto dell'ovulo fecondato nell'utero materno. Detta
evenienza resta sottratta alla regolamentazione dettata dalla legge
richiamata" (ivi, 3120; manifesta, peraltro, la contraddittorietà tra gli
asseriti effetti "contraccettivi" ed il successivo richiamo
all'entità "ovulo fecondato"). Lo stesso giudice ha, d'altronde,
ritenuto illegittimo il medesimo decreto di autorizzazione nella parte in cui
il foglio illustrativo del farmaco, "pur in presenza di differenziati
orientamenti etici e religiosi circa il momento iniziale della vita umana,
omette di informare adeguatamente la donna sull'idoneità del farmaco ad
impedire l'impianto dell'ovulo fecondato, meccanismo d'azione che va
considerato abortivo per chi ritiene che la gravidanza abbia inizio a partire
dalla fecondazione" (ivi, 3118, dalla massima). Su tale pronuncia, cfr. M.
Casini, M.L. Di Pietro, La
commercializzazione del Norlevo: dal decreto n. 510/2000 del 26 settembre 2000
del Ministro della sanità alla sentenza n. 8465/2001 - 12 ottobre 2001 del Tar
Lazio, cit., 428 ss.
Nessun commento:
Posta un commento