IL SAPORE DEL PANE - Poesie che cantano il cielo e incantano la terra -
di Robert Cheaib
ZI12092513 - 25/09/2012
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ROMA, martedì, 25 settembre 2012
(ZENIT.org) - La vita diventa breve, un noioso ed eterno ritorno del simile,
quando si assopisce alla meraviglia della sua continua novità. L'eccesso di
prosa forse definisce i contorni del vissuto, ma di certo non arriva a rendere
la vita vivibile. È la riscoperta del fuoco della poesia, del profumo,
dell'armonia e della bellezza che si cela dietro le ceneri del tedio quotidiano
a ridare al cuore della vita i suoi ritmi, rime e palpiti.
La poesia giunge a trasmettere la
pienezza del suo slancio vitale quando sa coniugare all'incanto della terra il
canto del Cielo e viceversa. Pochi poeti del sacro sanno salire e scendere con
destrezza questa scala di Giacobbe come David Maria Turoldo. Ogni volo mistico
nella sua poesia è equilibrato dalla discesa kenotica verso gli abissi della
storia, verso la solitudine dell'uomo, verso la denuncia dell'indifferenza al
Cristo nel fratello emarginato.
«Il sapore del pane» è una
raccolta di poesie e testi del famoso poeta-mistico che si aggiunge al
patrimonio della «Biblioteca universale cristiana» di San Paolo Edizioni. In
ogni pagina e ogni strofa di questo libro si sente lo stile e la sensibilità di
un uomo che sa calibrare i voli mistici con gli inchini della penitenza e con
la concretezza della mano tesa dell'amore intrastorico. La potenza di queste
poesie non nasce tanto dal fascino delle parole e delle immagini quanto dalla
convergenza tra gli alti temi teologici e i comuni temi esistenziali.
Recuperare il sapore del pane, un
sapore così comune ma così straordinario è un'impresa difficile che richiede
una continua risurrezione dei sensi, una rinascita nello spirito a una
rinnovata infanzia e così il poeta prega:
«Restituiscimi all'infanzia,
Signore, fa' che ritorni fanciullo, al sapore vero delle cose, al gusto del
pane e dell'acqua».
Ritornare all'infanzia è
riscoprire lo stupore che non sa stare indifferente ma che con gli occhi
spalancati all'accoglienza costituisce il distintivo dell'infante in un mondo
di adulti anonimi e standardizzati:
«Signore, salvami
dall'indifferenza, da questa anonimia di uomo adulto. È il male di cui
soffriamo senza averne coscienza»
La riscoperta del gusto è una
scoperta del colore che irriga il mondo e che salva dalla monocromia, morbo
degli spiriti invecchiati:
«Signore, salvami dal colore
grigio dell'uomo adulto e fa' che tutto il popolo sia liberato dalla senilità
dello spirito».
Il ritorno all'infanzia visita
anche i meandri del sacro e spazza via la polvere dell'abitudine per scoprire
la luce delle cose, la Luce che non tramonta:
«Salvami dall'abitudine delle
cose sacre e fammi godere il miracolo della luce e quello dell'acqua viva che
sgorga dalle pietre; il miracolo delle primavere come quando, fanciullo, mi
sorprendevo nei campi uguale a un calice colmo di gioia per il dialogo amoroso
con le piante e i monti e gli uccelli».
Risvegliare i sensi al sapore del
pane, se è autentico, non può che essere anche un risveglio alle lacrime della
terra. Così in un'altra poesia Turoldo presta la sua voce e la sua parola ai
poveri e si fa denuncia:
«La più amara inondazione della
terra
sono le lacrime della povera
gente,
lacrime silenziose e segrete:
acqua e sangue che gonfiano i
fiumi
di tutti i paesi».
Ascoltare il grido dei poveri e
degli oppressi, apportare salvezza è condizione per gustare realmente il pane
che altrimenti si avvelenerebbe con il siero dell'indifferenza:
«Non credo, terra, che fiorirai
ancora
a lungo: troppe sono le lacrime
dei poveri, lacrime divenute
veleno di questi giardini,
e del pane e dell'acqua che
beviamo».
Il ritmo che redime il gusto è
chinarsi di nuovo verso «fratel Nessuno», quell'emarginato, quel Lazzaro
dimenticato alle porte delle nostre chiusure, quella «antica immagine di Cristo
sparpagliato in ogni lembo di umanità, vessillo che ci manca».
In questo Cristo, «ragione di
questo esistere, folle bellezza», Pane spezzato per amore è possibile
recuperare il sapore del pane.
A ragione la Prefazione del libro
che porta la firma di Mons. Gianfranco Ravasi raccomanda questo libro come «un
piccolo breviario da tenere in mano quando si è nella penombra soffusa di una
chiesa, ma anche in treno, tra facce assonnate all'alba, quando si corre alla
città del lavoro o quando, a sera, si chiude la giornata e si prega...»
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