LIBERTÀ RELIGIOSA CONTRO IL LAICISMO E IL FONDAMENTALISMO - Un commento sull'esortazione apostolica postsinodale "Ecclesia in
Oriente" di Massimo Introvigne - 15/09/2012
ZI12091519 - 15/09/2012
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ROMA, sabato, 15 settembre 2012
(ZENIT.org).- Lo scopo principale del viaggio di Benedetto XVI in Libano – uno
scopo che purtroppo va perduto in molte cronache giornalistiche - è la
presentazione della sua esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Medio
Oriente, che fa seguito all’Assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo
dei Vescovi, celebrata in Vaticano dal 10 al 24 ottobre 2010. Si tratta, ha
detto il Pontefice nel momento della solenne firma nella basilica di San Paolo
ad Harissa, diun documento «destinato certamente alla Chiesa universale»1, ma
che «riveste un’importanza particolare per l’intero Medio Oriente»2.
Il Papa ha voluto firmarla il 14
settembre 2012, nel giorno della Festa dell’Esaltazione della Santa Croce, la
cui celebrazione è nata in Oriente nel 335, all’indomani della dedicazione
della basilica della Resurrezione costruita sul Golgota e sul sepolcro di
Nostro Signore dall’imperatore Costantino I (274-337), «che voi – ha detto
Benedetto XVI ai cristiani libanesi – venerate come santo»3, e nei cui
confronti ha usato toni in equivocamente positivi, quasi a fare giustizia di
tante inutili polemiche. A proposito di Costantino, il Pontefice ha ricordato
il 14 settembre che «fra un mese si celebrerà il 1700° anniversario
dell’apparizione che gli fece vedere, nella notte simbolica della sua
incredulità, il monogramma di Cristo sfavillante, mentre una voce gli diceva:
“In questo segno, vincerai!”. Più tardi, Costantino firmò l’editto di Milano, e
diede il proprio nome a Costantinopoli»4. L’esortazione apostolica Ecclesia in
Oriente, secondo Benedetto XVI, può precisamente «essere letta ed interpretata
alla luce della festa dell’Esaltazione della Santa Croce, e più particolarmente
alla luce del monogramma di Cristo, il X (chi) e il P (ro), le due prime
lettere della parola Χριστός»5. Non si tratta di una semplice curiosità. «Una
tale lettura conduce ad un’autentica riscoperta dell’identità del battezzato e
della Chiesa, e costituisce al tempo stesso come un appello alla testimonianza
nella e mediante la comunione. La comunione e la testimonianza cristiane non
sono infatti fondate sul Mistero pasquale, sulla crocifissione, la morte e la
risurrezione di Cristo?»6.
Il Sinodo del 2010 ha proposto a
«tutta la Chiesa»7 di ascoltare dal Medio Oriente «il grido ansioso e percepire
lo sguardo disperato di tanti uomini e donne che si trovano in situazioni umane
e materiali ardue, che vivono forti tensioni nella paura e nell’inquietudine, e
che vogliono seguire Cristo – Colui che dà senso alla loro esistenza – ma che
ne sono spesso impediti»8. Per questo, spiega il Papa, «ho desiderato che la
Prima Lettera di San Pietro sia la trama del documento»9. Perché, afferma
Benedetto XVI, quando ci si trova in una condizione di crisi occorre tornare
all’essenziale: «la sequela Christi, in un contesto difficile e talvolta
doloroso, un contesto che potrebbe far nascere la tentazione di ignorare o
dimenticare la Croce gloriosa»10. E invece occorre esortarsi a vicenda «a non
avere paura, a rimanere nella verità e a coltivare la purezza della fede.
Questo è il linguaggio della Croce gloriosa! Questa è la follia della Croce:
quella di saper convertire le nostre sofferenze in grido d’amore verso Dio e di
misericordia verso il prossimo; quella di saper anche trasformare degli esseri
attaccati e feriti nella loro fede e nella loro identità, in vasi d’argilla
pronti ad essere colmati dall’abbondanza dei doni divini più preziosi
dell’oro»11.
Non si tratta affatto «di un
linguaggio puramente allegorico, ma di un appello pressante a porre degli atti
concreti che configurano sempre più a Cristo»12: «atti simili a quelli
dell’imperatore Costantino che ha saputo testimoniare e far uscire i cristiani
dalla discriminazione per permettere loro di vivere apertamente e liberamente
la loro fede»13. E chi vive apertamente la fede del Battesimo diventa «un
figlio della Luce, un essere illuminato da Dio, una lampada nuova nell’oscurità
inquietante del mondo affinché dalle tenebre facciano risplendere la luce»14.
Il documento, ha detto ancora il Papa, «vuole contribuire a spogliare la fede
da ciò che la imbruttisce, da tutto ciò che può offuscare lo splendore della
luce di Cristo»15, e a ripetere alle Chiese in Medio Oriente: «non temete,
perché il Signore è veramente con voi fino alla fine del mondo! Non
temete,perché la Chiesa universale vi accompagna con la sua vicinanza umana e
spirituale!»16.
L’esortazione si divide in tre
parti. La prima presenta il contesto in cui la Chiesa svolge la sua missione in
Medio Oriente, in un momento in cui «questa terra benedetta e i popoli che vi
abitano, sperimentano in maniera drammatica i travagli umani. Quanti morti,
quante vite saccheggiate dall’accecamento umano, quante paure e umiliazioni!
Sembrerebbe che non ci sia freno al crimine di Caino […]. Il peccato adamitico,
consolidato dalla colpa di Caino, non cessa di produrre spine e cardi (cfr Gen
3, 18) ancora oggi. Come è triste vedere questa terra benedetta soffrire nei
suoi figli che si sbranano tra loro con accanimento, e muoiono!»17. «Il
Successore di Pietro, che io sono, non dimentica le tribolazioni e le
sofferenze dei fedeli di Cristo e, soprattutto, di quelli che vivono in Medio
Oriente. Il Papa è in modo speciale unito a loro spiritualmente. Ecco perché
nel nome di Dio, domando ai responsabili politici e religiosi delle società,
non solo di alleviare queste sofferenze, ma di eliminare le cause che le
producono»18.
La Chiesa chiede dunque la pace.
Ma è molto facile farsi della pace un’idea sbagliata. In realtà, «la pace non è
solamente un patto o un trattato che favorisce una vita tranquilla, e la sua
definizione non può essere ridotta alla semplice assenza di guerra. La pace
significa secondo la sua etimologia ebraica: essere completo, essere intatto,
compiere una cosa per ristabilire l’integrità. È lo stato dell’uomo che vive in
armonia con Dio, con se stesso, col suo prossimo e con la natura. Prima di
essere esteriore, la pace è interiore»19. «Il cristiano sa che la politica terrena
della pace non sarà efficace se la giustizia in Dio e tra gli uomini non ne è
l’autentica base, e se questa stessa giustizia non lotta contro il peccato che
è all’origine della divisione»20.
Il primo contributo che la Chiesa
dà alla ricerca della pace in Medio Oriente è costituito dall’ecumenismo e dal
dialogo interreligioso. La situazione delle Chiese cristiane in Medio Oriente,
particolarmente frammentata, fa certo nascere la nostalgia dell’unità. Ma
«l’unità è un dono di Dio che nasce dallo Spirito e che occorre far crescere
con una paziente perseveranza (cfr 1 Pt 3, 8-9). Noi sappiamo che è una
tentazione, quando delle divisioni ci oppongono, fare appello al solo criterio
umano»21. L’ecumenismo non nasce dal compromesso umano, ma dallo sguardo rivolto
a Gesù Cristo. Se ne leggiamo i documenti secondo i criteri indicati da
Magistero, ci accorgiamo che «il Concilio Vaticano II ha incoraggiato questo
“ecumenismo spirituale” che è l’anima del vero ecumenismo»22.
L’ecumenismo promuove una
maggiore comunione fra le Chiese e comunità cristiane. Ma «questa comunione non
è certo una confusione»23. Più difficile in campo teologico ed ecclesiologico,
dovrebbe partire da un impegno comune in campo morale. «Nella fedeltà alle
origini della Chiesa e alle sue tradizioni viventi, è importante ugualmente
pronunciarsi con una sola voce sulle grandi questioni morali a proposito della
verità umana, della famiglia, della sessualità, della bioetica, della libertà,
della giustizia e della pace»24. Quanto alla vita sacramentale comune, alla
communicatio in sacris, questa «può essere raccomandabile in alcune circostanze
favorevoli»25, ma solo «in base a norme precise e con l’approvazione delle
autorità ecclesiastiche»26.
Oltre al dialogo ecumenico, che
riguarda i cristiani, «la natura e la vocazione universale della Chiesa esigono
che essa sia in dialogo con i membri delle altre religioni. Questo dialogo in
Medio Oriente è basato sui legami spirituali e storici che uniscono i cristiani
agli ebrei e ai musulmani. Questo dialogo, che non è principalmente dettato da
considerazioni pragmatiche di ordine politico o sociale, poggia anzitutto su
basi teologiche che interpellano la fede. Esse derivano dalle Sacre Scritture e
sono chiaramente definite nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen
gentium,e nella Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non
cristiane, Nostra aetate»27del Concilio Ecumenico Vaticano II.
Il Pontefice non tace la
necessità, ma non si nasconde la difficoltà, del dialogo con le altre due grandi
religioni presenti in Medio Oriente, l’ebraismo e l’islam. «Se l’ebraicità del
“Nazareno” consente ai cristiani di assaporare con gioia il mondo della
Promessa, introducendoli in modo decisivo nella fede del popolo eletto e
unendoli ad esso, la persona e l’identità profonda dello stesso Gesù li
separano, poiché i cristiani riconoscono in Lui il Messia, il Figlio di Dio»28.
Benedetto XVI ribadisce la condanna dell’antisemitismo: «Inescusabili e
altamente condannabili sono le persecuzioni insidiose o violente del
passato!»29. Nota pure che, «nonostante queste tristi situazioni, gli apporti
reciproci nel corso dei secoli sono stati così fecondi che hanno contribuito
alla nascita e alla fioritura di una civiltà e di una cultura chiamata
comunemente giudeo-cristiana. Come se questi due mondi che si dicono differenti
o contrari per diversi motivi, avessero deciso di unirsi per offrire
all’umanità un nobile legame. Questo legame che unisce, mentre li separa,
giudei e cristiani, deve aprirli a una nuova responsabilità gli uni per gli
altri, gli uni con gli altri»30.
Ancora più delicata è la
questione del dialogo interreligioso con l’islam. Da una parte, Benedetto XVI
prende le distanze dalle posizioni che considerano il dialogo con i musulmani
impossibile e sempre inopportuno. «Fedele all’insegnamento del Concilio
Vaticano II, la Chiesa cattolica guarda i musulmani con stima, essi che rendono
culto a Dio soprattutto con la preghiera, l’elemosina e il digiuno, che
venerano Gesù come profeta senza riconoscerne tuttavia la divinità, e che
onorano Maria, la sua madre verginale»31. E tuttavia il Papa sa che la storia
della regione ha visto troppo spesso «giustificare, in nome della religione,
pratiche di intolleranza, di discriminazione, di emarginazione e persino di persecuzione»32.
La stessa storia, però, offre anche un modello di possibile dialogo. I
cristiani della regione, «parte integrante del Medio Oriente, hanno sviluppato
nel corso dei secoli una sorta di rapporto con l’ambiente che può servire come
insegnamento. Si sono lasciati interpellare dalla religiosità dei musulmani, ed
hanno proseguito, secondo i propri mezzi e nella misura del possibile, a vivere
e promuovere i valori evangelici nella cultura circostante. Il risultato è una
particolare simbiosi»33, che crea una situazione non priva di ambiguità e
pericoli ma per altri versi a suo modo affascinante.
Certamente l’esortazione
apostolica riafferma nei termini più decisi il diritto dei cristiani
medio-orientali alla piena libertà religiosa e civile. «I cattolici del Medio
Oriente, che in maggior parte sono cittadini nativi del loro paese, hanno il
dovere e il diritto di partecipare pienamente alla vita della nazione,
lavorando alla costruzione della loro patria. Devono godere di piena
cittadinanza e non essere trattati come cittadini o credenti inferiori»34. La
questione della libertà religiosa, che tanto sta a cuore a Benedetto XVI,
assume però in Medio Oriente profili particolarmente delicati. Talora i
musulmani affermano che quello alla libertà religiosa è un diritto
intrinsecamente occidentale o cristiano, che non potrebbe trovare posto in un
contesto islamico storicamente e strutturalmente diverso. Il Papa risponde che,
certo, «i cristiani riservano particolare attenzione ai diritti fondamentali
della persona umana. Affermare tuttavia che questi diritti non sono che diritti
cristiani dell’uomo non è giusto. Sono semplicemente diritti connessi alla
dignità di ogni persona umana e di ogni cittadino, a prescindere dalle origini,
dalle convinzioni religiose e dalle scelte politiche»35. La libertà religiosa è
un elemento di diritto naturale, che come tale s’impone a tutti gli uomini
dotati di retta ragione a prescindere dalla loro affiliazione religiosa.
È anche sbagliato considerare la
libertà religiosa solo una libertà fra tante altre. «La libertà religiosa è il
culmine di tutte le libertà. È un diritto sacro e inalienabile»36. E la libertà
religiosa non si riduce solo alla libertà di celebrare il culto chiusi nelle
proprie chiese, secondo un equivoco frequente in certi ambienti musulmani del
Medio Oriente. «Comporta sia la libertà individuale e collettiva di seguire la
propria coscienza in materia religiosa, sia la libertà di culto. Include la
libertà di scegliere la religione che si crede essere vera e di manifestare
pubblicamente la propria credenza»37. Concretamente, «deve essere possibile
professare e manifestare liberamente la propria religione e i suoi simboli,
senza mettere in pericolo la propria vita e la propria libertà personale»38. La
costrizione in materia di religione, «che può assumere forme molteplici e
insidiose sul piano personale e sociale, culturale, amministrativo e politico,
è contraria alla volontà di Dio. Essa è una fonte di strumentalizzazione
politico-religiosa, di discriminazione e di violenza che può condurre alla
morte»39. A chi giustifica il terrorismo Benedetto XVI ricorda che «Dio vuole
la vita, non la morte. Egli proibisce l’omicidio, anche quello dell’omicida»40.
Con un occhio forse rivolto anche
a discussioni europee – tra cui quelle con la Fraternità Sacerdotale San Pio X
fondata da monsignor Marcel Lefebvre (1905-1991) –, Benedetto XVI spiega,
riaffermando e insieme interpretando la dichiarazione Dignitatis humanae del
Concilio Ecumenico Vaticano II, che nel contesto attuale non è più sufficiente
parlare di tolleranza religiosa. «La tolleranza religiosa esiste in diversi
paesi, ma essa non impegna molto perché rimane limitata nel suo raggio di
azione. È necessario passare dalla tolleranza alla libertà religiosa»41.
Rispondendo appunto alle critiche secondo cui passare dalla nozione di
tolleranza religiosa a quella di libertà religiosa, com’è avvenuto con la
dichiarazione Dignitatis Humanae, favorirebbe il relativismo, il Pontefice
afferma che «questo passaggio non è una porta aperta al relativismo, come
alcuni affermano. Questo passo da compiere non è una crepa aperta nella fede
religiosa, ma una riconsiderazione del rapporto antropologico con la religione
e con Dio. Non è una violazione delle verità fondanti della fede, perché,
nonostante le divergenze umane e religiose, un raggio di verità illumina tutti
gli uomini»42. Per comprendere perché sia così è necessario approfondire la
riflessione sul rapporto fra la nozione filosofica e quella teologica di
verità. «Sappiamo bene che la verità non esiste al di fuori di Dio come una
cosa in sé. Sarebbe un idolo. La verità si può sviluppare soltanto nella
relazione con l’altro che apre a Dio, il quale vuole esprimere la propria
alterità attraverso e nei miei fratelli umani»43. E tuttavia «la verità può
essere conosciuta e vissuta solo nella libertà, perciò all’altro non possiamo
imporre la verità; solo nell’incontro di amore la verità si dischiude»44.
[La seconda parte verrà
pubblicata domenica 16 settembre]
*
NOTE
1 Benedetto XVI, Visita alla
Basilica di St. Paul ad Harissa e firma dell’Esortazione apostolica
post-sinodale, del 14-9-2012.
2 Ibid.
3 Ibid.
4 Ibid.
5 Ibid.
6 Ibid.
7 Ibid.
8 Ibid.
9 Ibid.
10 Ibid.
11 Ibid.
12 Ibid.
13 Ibid.
14 Ibid.
15 Ibid.
16 Ibid.
17 Idem. Esortazione apostolica
postsinodale Ecclesia in Oriente, del 14-9-2012, n. 8.
18 Ibid., n. 96.
19 Ibid., n. 9.
20 Ibid., n. 10.
21 Ibid., n. 11.
22 Ibid.
23 Ibid., n. 12.
24 Ibid., n. 13.
25 Ibid., n. 16.
26 Ibid.
27 Ibid., n. 19.
28 Ibid., n. 20.
29 Ibid., n. 22.
30 Ibid.
31 Ibid., n. 23.
32 Ibid.
33 Ibid., n. 24.
34 Ibid., n. 25.
35 Ibid.
36 Ibid., n. 26.
37 Ibid.
38 Ibid.
39 Ibid.
40 Ibid.
41 Ibid., n. 27.
42 Ibid.
43 Ibid.
44 Ibid.
LIBERTÀ RELIGIOSA CONTRO IL LAICISMO E IL FONDAMENTALISMO (SECONDA
PARTE) - Un commento sull'esortazione apostolica postsinodale "Ecclesia in
Oriente" di Massimo Introvigne
ZI12091606 - 16/09/2012
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ROMA, domenica, 16 settembre 2012
(ZENIT.org).- Alla vera nozione di libertà religiosa, e al corretto rapporto
fra religione e politica, si oppongono – come già si è accennato – da una parte
il laicismo e dall’altra il fondamentalismo. «Come il resto del mondo, il Medio
Oriente conosce due realtà opposte: la laicità, con le sue forme talvolta
estreme, e il fondamentalismo violento che rivendica un’origine religiosa»45.
Il problema è che spesso alcuni ambienti musulmani, rifiutando il laicismo –
cioè l’inaccettabile e assoluta separazione fra religione e politica –
finiscono per rifiutare anche la laicità, che è invece la corretta e necessaria
distinzione fra queste due realtà, che evita la confusione tra loro che è
tipica del fondamentalismo. «È con grande sospetto che alcuni responsabili
politici e religiosi medio-orientali, di tutte le comunità, considerano la
laicità come atea o immorale. È vero che la laicità può talvolta affermare, in
maniera riduttiva, che la religione riguarda esclusivamente la sfera privata,
come se non fosse che un culto individuale e domestico, situato fuori dalla
vita, dall’etica, dalla relazione con l’altro. Nella sua forma estrema e
ideologica, questa laicità, diventata secolarismo, nega al cittadino
l’espressione pubblica della sua religione e pretende che solo lo Stato possa
legiferare sulla sua forma pubblica»46. In verità, nota il Papa, «queste teorie
sono antiche. Esse non sono più soltanto occidentali e non possono essere
confuse con il cristianesimo»47. I musulmani hanno ragione di rifiutarle, ma
questo rifiuto del laicismo non dovrebbe coinvolgere la laicità, che ha anche
una sua forma sana e accettabile.
La spiegazione di che cosa si
debba intendere per sana laicità, distinta e anzi opposta al laicismo, è
particolarmente importante. «La sana laicità, al contrario, significa liberare
la religione dal peso della politica e arricchire la politica con gli apporti
della religione, mantenendo la necessaria distanza, la chiara distinzione e
l’indispensabile collaborazione tra le due. Nessuna società può svilupparsi in
maniera sana senza affermare il reciproco rispetto tra politica e religione,
evitando la tentazione costante della commistione o dell’opposizione. Il
rapporto appropriato si fonda, innanzitutto, sulla natura dell’uomo – dunque su
una sana antropologia – e sul pieno rispetto dei suoi diritti inalienabili. La
presa di coscienza di questo rapporto appropriato permette di comprendere che
esiste una sorta di unità-distinzione che deve caratterizzare il rapporto tra
lo spirituale (religioso) e il temporale (politico), perché ambedue sono
chiamati, pur nella necessaria distinzione, a cooperare armoniosamente al bene
comune. Una tale laicità sana garantisce alla politica di operare senza
strumentalizzare la religione, e alla religione di vivere liberamente senza
appesantirsi con la politica dettata dall’interesse, e qualche volta poco
conforme, o addirittura contraria, alle credenze religiose. Per questo la sana
laicità (unità-distinzione) è necessaria, anzi indispensabile ad entrambe»48.
Tra religione e politica non dovrebbe esserci né confusione né separazione, ma
insieme unità e distinzione nella collaborazione. A causa delle peculiari
circostanze del Medio Oriente, riconquistare questa verità non è facile. «La
sfida costituita dalla relazione tra politica e religione può essere affrontata
con pazienza e coraggio mediante una formazione umana e religiosa adeguata.
Occorre richiamare continuamente il posto di Dio nella vita personale,
familiare e civile, e il giusto posto dell’uomo nel disegno di Dio. E
soprattutto, a tale scopo, occorre pregare di più»49.
Il rischio, naturalmente, non è
costituito solo dal laicismo, C’è anche, all’estremo opposto, il
fondamentalismo. «Le incertezze economico-politiche, l’abilità manipolatrice di
certuni ed una comprensione insufficiente della religione, tra l’altro,
costituiscono la base del fondamentalismo religioso. Quest’ultimo affligge
tutte le comunità religiose, e rifiuta il vivere insieme secolare. Esso vuole
prendere il potere, a volte con violenza, sulla coscienza di ciascuno e sulla
religione per ragioni politiche»50. Cristiani, ebrei e musulmani dovrebbero
lavorare insieme al fine «di sradicare questa minaccia che tocca
indistintamente e mortalmente i credenti di tutte le religioni»51. «Utilizzare
le parole rivelate, le Sacre Scritture o il nome di Dio, per giustificare i
nostri interessi, le nostre politiche così facilmente accomodanti, o le nostre
violenze, è un gravissimo errore»52.
Le conseguenze degli errori in
tema di rapporto fra religione e politica non si limitano alla sfera teorica.
Si manifestano in modo tragico, inducendo i cristiani della regione a emigrare,
mentre nei Paesi più ricchi della zona affluiscono lavoratori immigrati, spesso
a loro volta cristiani, i cui diritti alla libertà religiosa e alla dignità del
lavoro spesso non sono rispettati. I cristiani, «per esperienza, sanno anche di
essere vittime designate quando vi sono dei disordini. Dopo aver partecipato
attivamente nel corso dei secoli alla costruzione delle rispettive nazioni e
contribuito alla formazione della loro identità e alla loro prosperità, i
cristiani sono numerosi a scegliere cieli più propizi, luoghi di pace in cui
essi e le loro famiglie potranno vivere degnamente e in sicurezza, e spazi di
libertà dove la loro fede potrà esprimersi senza che siano sottomessi a diverse
costrizioni»53. Questa massiccia emigrazione dei cristiani dovrebbe essere ove
possibile prevenuta, mentre nei Paesi dove si recano i cristiani
medio-orientali dovrebbero essere oggetto di un adeguato accompagnamento
pastorale, che ne rispetti le peculiarità.
Nello stesso tempo, il Medio
Oriente conosce oggi «la presenza nei paesi ad economia forte della regione di
lavoratori di ogni sorta provenienti dall’Africa, dall’Estremo Oriente e dal
subcontinente indiano. Queste popolazioni costituite da uomini e donne spesso
soli o da intere famiglie, affrontano una doppia precarietà. Sono stranieri nel
paese dove lavorano, e sperimentano troppo spesso delle situazioni di
discriminazione e d’ingiustizia»54. «Sfruttati senza potersi difendere, con
contratti di lavoro più o meno limitati o legali, queste persone sono talvolta
vittime di infrazioni delle leggi locali e delle convenzioni internazionali.
D’altra parte, subiscono forti pressioni e gravi limitazioni religiose»55.
Se la prima parte
dell’esortazione apostolica descrive il contesto sociale, politico e religioso
del Medio Oriente – occasione per riflessioni che interessano tutta la Chiesa
universale – la seconda e la terza entrano più direttamente nei problemi delle
comunità cattoliche locali. Mi limito in questa sede a segnalarne alcuni.
Anzitutto, com’è noto nei riti cattolici orientali vi sono – a differenza che
nel rito latino – sacerdoti sposati, che sono a pieno titolo sacerdoti
cattolici e coesistono con presbiteri che hanno scelto il celibato. Il
Pontefice afferma che «il celibato sacerdotale è un dono inestimabile di Dio
alla sua Chiesa, che occorre accogliere con riconoscenza, tanto in Oriente
quanto in Occidente, poiché rappresenta un segno profetico sempre attuale.
Ricordiamo, inoltre, il ministero dei presbiteri sposati che sono una
componente antica delle tradizioni orientali. Vorrei rivolgere il mio
incoraggiamento anche a questi presbiteri che, con le loro famiglie, sono
chiamati alla santità nel fedele esercizio del loro ministero e nelle loro
condizioni di vita a volte difficili. A tutti ribadisco che la bellezza della
vostra vita sacerdotale susciterà senza dubbio nuove vocazioni che toccherà a
voi coltivare»56.
La ricchissima storia del
monachesimo medio-orientale dovrebbe a sua volta spingere tutti i cattolici,
anche quelli che monaci non sono, a «meditare lungamente e con cura sui
consigli evangelici: l’obbedienza, la castità e la povertà, per riscoprire oggi
la loro bellezza, la forza della loro testimonianza e la loro dimensione
pastorale. Non può esserci rigenerazione interna del fedele, della comunità
credente e della Chiesa intera senza che ci sia un ritorno deciso e senza
equivoci, ciascuno secondo la propria vocazione, verso il quaerere Deum, la
ricerca di Dio che aiuta a definire e a vivere in verità il rapporto con Dio,
col prossimo e con se stessi»57.
Altre indicazioni ribadiscono
temi spesso affrontati da Benedetto XVI anche in contesti diversi da quello
medio-orientale. Così, i laici sono invitati a «superare le divisioni e ogni
interpretazione soggettivistica della vita cristiana. Fate attenzione a non
separare questa – con i suoi valori e le sue esigenze – dalla vita in famiglia
o nella società, nel lavoro, nella politica e nella cultura, perché tutti i
vari campi della vita del laico rientrano nel disegno di Dio»58. Tra i campi
d’impegno sociale e politico il Papa segnala la difesa della famiglia, in un
contesto internazionale in cui «le proprietà essenziali del matrimonio
sacramentale – unità e indissolubilità (cfr Mt 19, 6) – ed il modello cristiano
della famiglia, della sessualità e dell’amore sono ai nostri giorni, se non
contestati, almeno incompresi da certi fedeli. Vi è la tentazione di
appropriarsi dei modelli contrari al Vangelo, veicolati da una certa cultura
contemporanea, diffusa dappertutto nel mondo»59.
Speciale attenzione ha destato la
parte dell’esortazione apostolica che, in un contesto segnato da discussioni
sul tema specie all’interno del mondo musulmano, ribadisce la nozione cristiana
dell’uguale dignità fra l’uomo e la donna. «Il primo racconto della creazione
mostra l’uguaglianza ontologica tra l’uomo e la donna (cfr Gen 1, 27-29).
Questa uguaglianza è ferita dalle conseguenze del peccato (cfr Gen 3, 16; Mt19,
4). Superare questa eredità, frutto del peccato, è un dovere per ogni essere
umano, uomo o donna»60. «Vorrei assicurare a tutte le donne – prosegue
Benedetto XVI – che la Chiesa cattolica, collocandosi nella fedeltà al disegno
divino, promuove la dignità personale della donna e la sua uguaglianza con
l’uomo, di fronte alle forme più varie di discriminazione alle quali è
sottomessa per il semplice fatto di essere donna. Tali pratiche feriscono la
vita di comunione e di testimonianza. Esse offendono gravemente non solo la
donna, ma anche e soprattutto Dio, il Creatore»61.
Il Papa afferma che «i cristiani
dei paesi della regione devono avere la possibilità di applicare nel campo
matrimoniale e negli altri campi il loro diritto proprio, senza restrizione»62,
cioè non devono essere sottoposti al diritto di famiglia islamico nei Paesi
dove questo si confonde con la legge civile. È possibile tuttavia che anche
nell’applicazione del diritto canonico cattolico ci siano talora problemi che
derivano dal contesto culturale. Ecco allora la raccomandazione secondo cui
«nelle vertenze giuridiche che, purtroppo, possono opporre l’uomo e la donna
soprattutto in questioni di ordine matrimoniale, la voce della donna deve
essere ascoltata e presa in considerazione con rispetto, al pari di quella
dell’uomo, per far cessare certe ingiustizie»63. «La giustizia della Chiesa
deve essere esemplare a tutti i suoi livelli e in tutti i campi che essa tocca.
Bisogna assolutamente aver cura che le vertenze giuridiche relative a questioni
matrimoniali non conducano all’apostasia»64.
La terza parte dell’esortazione
fornisce indicazioni pastorali, catechistiche e liturgiche, che partono
dall’accostamento alla Sacra Scrittura, raccomandando lo studio di un
importante documento del Magistero dello stesso Benedetto XVI: «Nella
prospettiva di un approccio ecclesiale alla Bibbia, una lettura, individuale e
in gruppo, dell’Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini sarà di
grande utilità»65. Dal contesto storico medio-orientale, il Papa trae un
richiamo ai principi fondamentali illustrati nella stessa Verbum Domini. «Le
scuole esegetiche di Alessandria, di Antiochia, di Edessa o di Nisibi hanno
contribuito potentemente all’intelligenza e alla formulazione dogmatica del
mistero cristiano nel IV e nel V secolo. La Chiesa intera ne è loro
riconoscente. I sostenitori delle diverse correnti di interpretazione dei testi
concordavano su alcuni principi tradizionali di esegesi, comunemente ammessi
dalle Chiese d’Oriente e d’Occidente. Il più importante è credere che Gesù
Cristo incarna l’unità intrinseca dei due Testamenti e di conseguenza l’unità
del disegno salvifico di Dio nella storia (cfr Mt 5, 17)»66. «Viene poi la
fedeltà ad una lettura tipologica della Bibbia, secondo la quale certi fatti
dell’Antico Testamento sono una prefigurazione (tipo e figura) delle realtà
della Nuova Alleanza in Gesù Cristo, chiave di lettura di tutta la Bibbia»67.
Sul piano pastorale, le Chiese
del Medio Oriente aggiungono ai loro impegni quello di accogliere i milioni di
pellegrini che vengono in Terrasanta. Si tratta di un pellegrinaggio cui la
Chiesa non può rinunciare. «Improntato alla penitenza per la conversione e alla
ricerca di Dio, ripercorrendo i passi storici di Cristo e degli Apostoli, il
pellegrinaggio ai luoghi santi e apostolici può essere, se vissuto con fede e
profondità, un’autentica sequela Christi. In un secondo tempo, dà anche ai
fedeli la possibilità di impregnarsi maggiormente della ricchezza visiva della
storia biblica che delinea davanti a loro i grandi momenti dell’economia della
salvezza»68. A chi organizza pellegrinaggi Benedetto XVI fornisce anche
un’ulteriore indicazione specifica: «Al pellegrinaggio biblico è opportuno
anche associare il pellegrinaggio ai santuari dei martiri e dei santi, nei
quali la Chiesa venera Cristo, fonte del loro martirio e della loro santità»69.
L’esortazione si chiude con due
raccomandazioni consuete nel Magistero recente, relative all’Anno della fede e
al Catechismo della Chiesa Cattolica. «L’Anno della fede che si situa nel
contesto della nuova evangelizzazione sarà, se vissuto con intensa convinzione,
un forte stimolo per promuovere una evangelizzazione delle Chiese della
regione, e per consolidare la testimonianza cristiana»70. «Il Catechismo della
Chiesa Cattolica è una base necessaria. Come ho già indicato, la sua lettura e il
suo insegnamento devono essere incoraggiati, come anche un’iniziazione concreta
alla Dottrina sociale della Chiesa»71.
[La prima parte è stata
pubblicata ieri, sabato 15 settembre]
*
NOTE
45 Ibid., n. 29.
46 Ibid.
47 Ibid.
48 Ibid.
49 Ibid.
50 Ibid., n. 30.
51 Ibid.
52 Ibid.
53 Ibid., n. 31.
54 Ibid., n. 33.
55 Ibid., n. 34.
56 Ibid., n. 48.
57 Ibid., n. 54.
58 Ibid., n. 56.
59 Ibid., n. 58.
60 Ibid., n. 60.
61 Ibid.
62 Ibid., n. 61.
63 Ibid.
64 Ibid.
65 Ibid., n. 70. Cfr. sul punto
M. Introvigne - Pietro Cantoni, Esegesi biblica e Concilio Ecumenico Vaticano
II. Una riflessione sull'esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini di
Papa Benedetto XVI, in Cristianità, anno XXXVIII, n. 358, ottobre-dicembre
2010, pp. 19-33.
66 Benedetto XVI, Esortazione
apostolica postsinodale Ecclesia in Oriente, cit., n. 70.
67 Ibid.
68 Ibid., n. 83.
69 Ibid.
70 Ibid., n. 88.
71 Ibid., n. 93.
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