CORSO ESTIVO DI NEUROBIOETICA 2012: ... E LA COSCIENZA? - 1 (X) sabato
1 settembre 2012 Pubblicato da Alberto Carrara
Roma, 3 luglio 2012 -
Modulo 1 : Fondamenti ed Etica
delle Neuroscienze
Oggi inizio a presentarvi la mia
attività accademica all’interno del recente Corso Estivo Internazionale di
Aggiornamento in Bioetica che ha avuto come tematica la Neurobioetica e che si
è svolto dal 2 al 13 luglio 2012 presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum
di Roma.
La prima attività che ho avuto il
piacere di organizzare è stata la cosiddetta “attività di gruppo” o attività
dinamica del martedì 3 luglio, dalle ore 15 alle 17.
Prendendo le mosse dal titolo del
recente libro della professoressa Angela Ales Bello, “...e la coscienza?”, ho
voluto proporre ai 65 partecipanti al Corso Estivo 2012 di Neurobioetica la
tematica della coscienza.
È scontato sottolineare quanto
questo concetto, insieme a quell’altro classico di libertà e di libero arbitrio,
siano al centro di un costante e continuo dibattito neuroetico.
A mio avviso “coscienza” e
“libertà” sono le “due cambe” dell’odierno uomo neuronale sotto i riflettori
delle più sofisticate neurotecnologie.
La sfida neuro-antropologica si
gioca a questo livello!
O entrambe si sostengono, come
del resto una millenaria tradizione filosofica che affonda da Alcmeone di
Crotone, Ippocrate, Platone e Aristotele, sino a Tommaso d’Aquino e ai
contemporanei filosofi realisti alla Cornelio Fabro, sostengono, oppure,
entrambe vengono mozzate, crollano sotto una paventata evidenza
neuroscientifica che vuole “coscienza” e “libertà” quali meri concetti illusori
che il cervello umano costruirebbe per un presunto vantaggio evolutivo.
Come ho avuto modo di ribadire il
15 marzo 2012 nel corso del mio intervento: Coscienza o coscienze? Aspetti
antropologici e risvolti etici della ricerca neuroscientifica sugli stati di
coscienza, nell’ambito dell’evento La coscienza tra mente e cervello: aspetti
filosofici, bioetici, psicodinamici e clinici, organizzato nell’ambito della
Brain Awareness Week promossa dalla DANA Foundation:
Il problema della coscienza è in
primo piano tra le questioni oggi più dibattute nell’ambito della medicina,
delle neuroscienze, della psichiatria e della filosofia. Se la scienziata e
premio Nobel Rita Levi Montalcini la definisce «tra le proprietà più
sorprendenti e affascinanti del cervello umano», cioè quello «stato di
consapevolezza della nostra esistenza come entità individuale, che implica il riconoscimento
delle proprie azioni e del susseguirsi temporale e sequenziale», numerose sono
le definizioni di coscienza, quante sono le discipline che la studiano da
prospettive diverse. Oggi è quanto mai necessaria una riflessione profonda
orientata al discernimento e all’integrazione dei diversi sensi della
coscienza. Questo pomeriggio di studio cerca di offrire ad un pubblico non
esperto, a livello divulgativo, un approccio interdisciplinare al problema
della coscienza umana.
Come ha ben sottolineato a più
riprese il Cardinal Angelo Scola, la questione cardine che trapassa come un
“filo rosso” le stesse neuroscienze, l’interrogativo che emerge, in primis,
dagli stessi neuroscienziati può essere sintetizzato come fece R. J. Searle
[1], ripreso da E. Gius [2]:
«COME È POSSIBILE CHE PARTI DI
MATERIA PRIVA DI COSCIENZA PRODUCANO COSCIENZA?» [3].
... (continua)
[1] Cf. R. J. Searle, Menti,
cervelli e programmi. Un dibattito sull’Intelligenza Artificiale, CLUP, Milano
1984.
[2] Cf. E. Gius, «L’approccio
scientifico al tema della coscienza», in: L. Renna (a cura di), Neuroscienze e
comportamento umano, in: «Quaderno della Rivista di scienze religiose», Vivere
In, Roma-Monopoli 2005, 21.
[3] Cf. A. Scola, «Fede e
neuroscienze», in: V. A. Sironi – M. Di Francesco (a cura di), Neuroetica. La
nuova sfida delle neuroscienze, Laterza, Bari 2011, 8.11.
CORSO ESTIVO DI NEUROBIOETICA 2012: ... E LA COSCIENZA? - 2 (XI) di
Alberto Carrara, lunedì 3 settembre 2012
Neurobioetica: La Persona al
centro
delle Neuroscienze, Etica,
Diritto e Società
Roma, 3 luglio 2012 -
Modulo 1 : Fondamenti ed Etica
delle Neuroscienze
... (continua)
INTRODUZIONE ATTIVITÀ DINAMICA: …E LA COSCIENZA?
1. Polisemia del termine «coscienza»
In una società pluralista come la
nostra, che tende, molte volte ad assumere posture estreme tanto da
caratterizzarsi spesso per la sua dose di conflittualità, si crea un ambiente
socio-culturale che favorisce l’ambiguità.
Ecco delineato, in poche parole,
l’analisi del contesto dentro il quale dobbiamo, o dovremmo, se ce la faremo,
incasellare il nostro argomento, quello relativo alla «coscienza» umana.
La parola «coscienza» viene
utilizzata in molteplici ambiti: si parla di avere una coscienza, di agire in
coscienza, della coscienza del mio gatto o del mio cane, della coscienza della
società, c’è persino una coscienza della biosfera, etc.
Ecco emergere la polisemia del
concetto di «coscienza», tanti utilizzano questa parola secondo contenuti
terminologici distinti e variegati a seconda delle circostanze e degli
specifici approcci. Oggi è quanto mai necessaria una riflessione profonda
orientata al discernimento e all’integrazione dei diversi sensi della
coscienza.
Quindi un primo punto sarà dare
una definizione di coscienza, la definizione utilizzata in questa esposizione,
e delimitarne l’ambito e il contesto per non cadere in equivoci, dubbi,
fraintendimenti. Nel definire sempre si opera una scelta, spero la scelta del
meglio, cioè della miglior definizione, tenendo in considerazione una
prospettiva integrale della persona umana in tutte le sue dimensioni
costitutive. Premetto che vi sono molte definizioni di «coscienza» e molti
significati.
Per motivi di sintesi legati al
tempo a disposizione, mi limito ad alcune distinzioni a grandi linee
mantenendomi nel generale, senza però scadere nelle semplificazioni
semplicistiche.
Il termine «coscienza», nella
riflessione filosofico-culturale occidentale fino ai nostri giorni, possimo
dire che ha conservato sostanzialmente tre accezioni fondamentali:
«coscienza psicologica»,
«coscienza morale» e
«coscienza
personalistico-creativa».
CORSO ESTIVO DI NEUROBIOETICA 2012: ... E LA COSCIENZA? - 3 (XII) –
Alberto Carrara, mercoledì 5 settembre 2012
Neurobioetica: La Persona al
centro
delle Neuroscienze, Etica,
Diritto e Società
Roma, 3 luglio 2012 -
Modulo 1 : Fondamenti ed Etica
delle Neuroscienze
... (continua) INTRODUZIONE
ATTIVITÀ DINAMICA: …E LA COSCIENZA?
2. Distinzioni utili:
Wakefulness – Consciousness
Parliamo perciò della «coscienza»
nel contesto medico-scientifico, nell’ambito degli studi neuroscientifici che
oggigiorno si stanno impiegando.
Alcune distinzioni.
Il 10 novembre 2011 sulla rivista
Lancet, Damian Cruse, di cui si parlerà successivamente, pubblicò
un’interessante studio intitolato: Bedside detection of awareness in the vegetative
state: a cohort study. Ad una prima e semplice lettura dell’abstract, possiamo
derivare alcune distinzioni terminologiche utili; si parla infatti di
wakefulness - unaware of themselves or their environment - consciously aware -
awareness.
In italiano consideriamo perciò
wakefulness quale stato vigile o vigilanza, mentre per awareness si intende la consapevolezza, di sé
e/o dell’ambiente circostante.
Ecco i due poli di tutto il
dibattito attuale sugli stati di coscienza.
Prenderò ora in considerazione
tre casi emblematici di stati alterati di coscienza.
1) VS – MCS
Lo stato vegetative (VS) è definito quale disordine della coscienza in
cui si ha:
wakefulness without conscious awareness of self
and environment,
cioè: vigilanza senza consapevolezza.
In generale, i ricercatori
accettano la distinzione tra contenuti e livelli di coscienza, nel senso che,
mentre i contenuti di coscienza vengono definiti quali esperienze soggettive
(ad es. la sensazione del dolore), i livelli di coscienza vengono classificati
in modo più oggettivo suddividendo 3 stadi di alterazione della coscienza:
il coma (C),
lo stato vegetativo (VS) e
lo stato di minima coscienza
(MCS).
Il criterio distintivo di tali
stati alterati della coscienza è comportamentale: i pazienti diagnosticati VS
differiscono da quelli in coma dal fatto che mantengono il ritmo sonno-veglia,
si svegliano, anche se entrambi vengono considerati completamente incoscienti,
cioè incosapevoli di sé e dell’ambiente circostante.
I pazienti diagnosticati MCS “si
crede” (are believed), come affermato da Cruse su Lancet, abbiano una coscienza
fluttuante, intermittente e si distinguono dai VS poichè l’osservatore esterno,
nella maggior parte dei casi un medico, considera che possieda, il paziente MCS
un minimo di consapevolezza di sé e del medio ambiente (ad es. quando si notano
segni esteriori che indicano che il paziente sta cercando di comunicare senza
riuscire, essendone ostacolizzato).
Primo grande problema
scientifico: come affermato da Cruse e riportato in letteratura, si dà
attualmente un 43% di casi in cui le diagnosi di VS vengono riclassificati
quali, almeno, MCS (Schnakers C, Vanhaudenhuyse A, Giacino J, et al.,
Diagnostic accuracy of the vegetative and minimally conscious state: clinical
consensus versus standardized neurobehavioral assessment. BMC Neurol 2009; 9: 35; Childs NL, Mercer WN,
Childs HW. Accuracy of diagnosis of persistent vegetative state. Neurology
1993; 43: 1465–67; Andrews K, Murphy L, Munday R, Littlewood C. Misdiagnosis of
the vegetative state: retrospective study in a rehabilitation unit. BMJ
1996; 313: 13–16).
Inoltre, lo stesso Cruse ammette
che le recenti applicazioni delle tecnologie di risonanza magnetica funzionale,
cominciano chiaramente a porre in seria discussione le diagnosi di VS nel senso
di affermare che veramente questi pazienti non sono consapevoli di sé e del
medio ambiente.
... (continua)
CORSO ESTIVO DI NEUROBIOETICA 2012: ... E LA COSCIENZA? - 4 (XIII) di
Alberto Carrara, lunedì 17 settembre 2012
cervello, coscienza, morte,
neurobioetica, neuroetica
Neurobioetica: La Persona al
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delle Neuroscienze, Etica,
Diritto e Società
Roma, 3 luglio 2012 -
Modulo 1 : Fondamenti ed Etica
delle Neuroscienze
... (continua dal precedente)
CASI EMBLEMATICI - ATTIVITÀ DINAMICA: …E LA COSCIENZA?
2) Il caso Zach Dunlap
Il caso di Zach Dunlap ci porta a
considerare la fase estrema dei disordini della coscienza, il confine della
vita: la morte. Definire i confini vuol dire sapere con certezza fino a dove
l’intervento umano può spingersi, togliendo il rischio di toccare posizioni
aberranti o pericolose per la dignità dell’uomo.
Questo, come altri casi riportati
dai mezzi di comunicazione sociale, toccano un ambito estremamente sensibile e
ancora oggi dibattuto: quello del cosiddetto CRITERIO NEUROLOGICO DI MORTE
CEREBRALE.
A mio avviso, come più avanti
avrò modo di spiegare su questo blog, è necessario associare, alle evidenze
neuroscientifiche oggi in possesso, una riflessione filosofica di stampo
realista, centrata sulla persona umana, sulla sua irripetibilità, sulla sua
trascendenza e, soprattutto, sulla sua realtà di INCARNAZIONE.
Gli accaniti avversari del
criterio neurologico di morte cerebrale amano portare a loro prova un caso che,
secondo loro, “vale per tutti”, o varrebbe per tutti. Quello di Zach Dunlap, 21
anni, di Oklahoma City, del marzo 2008.
Zach fu dichiarato morto dopo due
scansioni al cervello; viene sostenuto. I test eseguiti assicuravano che non vi
era nessun flusso ematico nella zona encefalica, il quadro clinico soddisfaceva
tutti i requisiti medico-legali richiesti per la morte celebrale, almeno
apparentemente. Dopo 36 ore di “brain death” fu disposto l’espianto degli
organi.
Invece Zach si è risvegliato,
esclamano con trionfo alcuni.
Certo, trionfo della vita che mai
era stata perduta. Alcuni hanno parlato di miracolo, ma è proprio la scienza a
dirci come è andata.
Intanto, alcune domande da porci:
non si capisce bene come sia stata accertata la morte cerebrale per Zach.
Sembra che sia stata “accertata” solamente attraverso due esami che valutavano
il flusso ematico a livello cerebrale.
Altri dubbi sorgono in quanto
prima dell’espianto effettivo sarebbero stati ripetuti ulteriormente gli esami,
quindi, non non era stata dichiarata la morte cerebrale. Non ne erano ancora
certi. E, in effetti, poi è stato verificato: Zach non era morto.
Il fatto che forse ora i medici
affermino che la diagnosi era corretta, quella cioè di morte cerebrale, non
significa molto (così si proteggerebbero da eventuali risarcimenti e denunce
legali) e il fatto che la famiglia creda nel buon lavoro dei medici può
rispecchiare il fatto che i genitori vogliano sostenere e credere in un
miracolo.
Il dato scientifico è ovviamente
quello di una scorretta diagnosi di morte cerebrale.
... (continua)
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