Coscienza e neuro-libertà: il contributo di Tommaso d’Aquino (I° parte)
- Il prof. Carrara illustra la situazione attuale delle conoscenze neuroscientifiche
sul libero arbitrio - di Alberto Carrara, biotecnologo e neuroeticista presso
la “Regina Apostolorum” di Roma, 26 settembre, 2012 - http://www.uccronline.it
Il problema della coscienza,
dell’identità personale e del libero arbitrio è in primo piano tra le questioni
oggi più dibattute nelle scienze cognitive e nella filosofia. Il pensiero
classico affrontava l’argomento da un punto di vista prevalentemente metafisico.
La fenomenologia e la filosofia della mente ampliano la tematica ad aspetti
quali l’intenzionalità, la soggettività in prima persona, l’inconscio, la
coscienza di corpo e il rapporto con altre menti. Le neuroscienze valutano
queste tematiche nella prospettiva della base neurale, introducendo in questo
modo nuovi orizzonti sulla questione.
Oggi è quanto mai necessaria una
riflessione profonda orientata al discernimento e all’integrazione dei diversi
sensi della coscienza e della libertà umana. Sin dai tempi più remoti, il tema
della coscienza e del suo rapporto con la libertà umana ha coinvolto
l’interesse dei migliori pensatori. Oggigiorno, mentre da una parte vengono
confermati i risultati neuroscientifici condotti, sin dagli anni settanta, da
Benjamin Libet[1], dall’altra si diffonde un clima scettico relativo alla
coscienza personale e alla libertà d’azione. Alcuni neuroscienziati arrivano a
concludere che queste peculiarità dell’essere umano, altro non sarebbero che
mere illusioni funzionali, frutto dell’ingegno evolutivo del nostro cervello.
La problematica è notevole: ha la coscienza un ruolo causale diretto nell’agire
libero dell’uomo? Siamo davvero esseri dotati di coscienza e libertà, o automi
in balia di uno stretto determinismo neurobiologico? Nel fondo la questione si
riassume nella domanda seguente: che cos’è la libertà? E qual’è il suo rapporto
con la coscienza personale?
Oggigiorno, lo sviluppo delle
capacità tecnologiche rende possibile studiare in vivo e visualizzare le aree
del nostro cervello osservandone, anche in tempo reale la loro maggiore o
minore attivazione nelle circostanze più svariate. Questo ha prodotto un vero e
proprio fiume di studi scientifici. Per una corretta valutazione delle
interpretazioni neuroscientifiche, la tradizione filosofica che in Tommaso
d’Aquino trova uno dei massimi sintetizzatori, potrebbe contribuire a fornire
alcuni concetti e chiavi di lettura che aiuterebbero a rasserenare e rendere
più realistiche certe conclusioni ed inferenze. Dall’altra, un’antropologia
tommasiana unitiva ed integrativa, potrebbe costituire un valido fondamento
neuroetico per evitare tanto il dualismo cartesiano, quanto un monismo
cerebrale uni-totalizzante.
In questa prima parte riassumerò
le evidenze neuroscientifiche a disposizione, mentre nella seconda parte
considererò alcune conclusioni relative a tali esperimenti, mentre nella terza
e ultima parte chiarirò i concetti filosofici in gioco e concluderò se o meno
essi vengano annullati dalle neuroscienze.
Il dibattito contemporaneo in
quest’area è stato ben riassunto da Kerri Smith e pubblicato sulla rivista
scientifica Nature nel 2011[2]. I primi esperimenti che hanno maggiormente
influito alla diffusione di una visione neurodeterminista dell’agire libero
dell’uomo furono realizzati da Benjamin Libet nella decade degli anni ’70-’80.
I risultati di Libet sono stati successivamente pubblicati sulla rivista
Behavioral and Brain Sciences nel 1985[3]. Il titolo dell’articolo mette in
luce l’esistenza di una “iniziativa cerebrale incosciente” che in qualche modo
vincolerebbe la volontà cosciente durante l’azione volontaria. Si può a ragione
affermare che gran parte del dibattito a cui ci stiamo riferendo trova la sua
origine nel noto “esperimento di Libet”. Di che cosa si tratta? Libet e i suoi
collaboratori presero le mosse dalle scoperte di Hans Helmut Kornhuber e Lüder
Deecke avvenute nel 1965 e di ciò che questi ultimi denominarono in tedesco
“Bereitschaftspotential”, “readiness potential”, in inglese, o potenziale di
preparazione o disposizione (PD), in italiano. Il PD consta di un cambiamento
elettrico che si ingenera in determinate aree cerebrali e che ha la
caratteristica di precedere l’esecuzione dell’azione futura[4].
Libet utilizzò un apparecchio di
elettroencefalografia (EEG) col quale registrò l’attività cerebrale di una
serie di volontari coinvolti nel prendere una decisione, nello specifico, la
decisione di muovere un dito. Lo studio si realizzò nel modo seguente: i
partecipanti avevano in una mano un orologio che potevano bloccare con
l’impulso volontario di un dito; quando i soggetti sentivano la necessità di
muovere le dita della mano libera e lo volevano fare, dovevano bloccare
l’orologio. L’esperimento fu disegnato in modo tale da poter conoscere la
relazione temporale che vi era tra il potenziale di preparazione (PD), la
coscienza della decisione da attuare e l’esecuzione del movimento. Tutto mirava
a conoscere quando “appare” il desiderio cosciente o intenzione di portare a
compimento un’azione. I risultati furono sorprendenti: esistono dei potenziali
corticali di preparazione localizzati nella corteccia motoria secondaria
(corteccia premotoria) che precedono di circa 350 millisecondi l’azione
cosciente al realizzare un movimento volontario. I dati di Libet furono replicati
e confermati da Haggard e Eimer che li pubblicarono nel 1999[5].
Nel 2008 John-Dylan Haynes,
neuroscienziato del Max Planck Institute for Human Cognitive and Brain Sciences
di Leipzig in Germania, utilizzando tecniche di neuroimaging (fRMN o risonanza
magnetica funzionale), realizzò una serie di esperimenti più sofisticati
dimostrando che le intenzioni venivano codificate nella corteccia motoria
secondaria (frontopolar cortex) fino a sette secondi prima che i partecipanti
allo studio prendessero coscienza delle loro stesse decisioni. In pratica, si
concludeva lo studio affermando che la cosiddetta libertà umana non era altro
che una mera illusione[6]. Recentemente questi risultati furono confermati
dallo studio più aggiornato del settore, pubblicato nel giugno 2011. Dodici
studenti dell’Università di Leipzig, in parte maschi e in parte femmine,
parteciparono allo studio. Nelle conclusioni, oltre a confermare i dati
pubblicati nel 2008, si afferma: «questi risultati appoggiano la conclusione
che la corteccia premotoria è parte di una rete di regioni cerebrali che danno
forma alle decisioni coscienti molto prima che si giunga allo stato di
coscienza delle stesse» [7].
Quali conclusioni possono essere
desunte da questi dati sperimentali? Lo vedremo nella seconda parte che verrà
pubblicata domani.
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Note
[1]. B. Libet, Unconscious cerebral initiative and
the role of conscious will in voluntary action, «Behavioral and Brain
Sciences», 8 (1985), pp. 529-566.
[2]. K. Smith, Neuroscience vs philosophy:
Taking aim at free will, «Nature», 477 (2011), pp. 23-25.
[3]. B. Libet, Unconscious cerebral initiative
and the role of conscious will in voluntary action, «Behavioral and Brain
Sciences», 8 (1985), pp. 529-566.
[4]. H.H. Kornhuber – L. Deecke,
Hirnpotentialänderungen bei Willkürbewegungen und passiven Bewegungen des
Menschen: Bereitschaftpotential und reafferente Potentiale, «Pflugers Archive
für die Gesamte Physiologie des Menschen und der Tiere», 284 (1965), pp. 1-17.
[5]. P. Haggard – M. Eimer, On the relation
between brain potencials and the awereness of voluntary movements,
«Experimental Brain Reserch», 126 (1999), pp. 128-133.
[6]. C. S. Soon (et al.), Unconscious
determinants of free decisions in human brain, «Nature Neuroscience», 11
(2008), pp. 543-545
[7]. S. Bode (et al.), Tracking the Unconscious
Generation of Free Decisions Using UItra-High Field fMRI, «PLoS ONE», 6 (2011).
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