lunedì 17 settembre 2012


Uomo, perché parli? di Noam Chomsky - 16 settembre 2012 - http://www.ilsole24ore.com

Nel corso della storia della scienza, gli studiosi che hanno lasciato le maggiori tracce, da Galileo, fondatore della scienza moderna, a Hume, passando per Newton, Leibniz, Darwin e Locke, hanno anche permesso di porsi domande interessanti sulle facoltà cognitive più alte.

Molti studiosi hanno tentato di spiegare il linguaggio che è la caratteristica precipua dell'uomo e che lo distingue dalle macchine e dagli animali: una facoltà che gli deriva dal suo organo più sviluppato, il cervello, e che permette all'uomo di pensare, di generare idee e di esprimerle. Molti di loro, trovandosi davanti al mistero della natura del linguaggio, non hanno cercato di penetrarlo, riconoscendo in qualche modo il limite della comprensione umana; altri si sono invece avventurati in teorie che, sull'onda della conoscenza scientifica del momento, giungevano a conclusioni che sono state poi duramente discusse, come, per esempio, quella che vuole che il cervello, come lo stomaco, non sia altro che un organo. E così come lo stomaco digerisce un alimento introdotto tramite la bocca, che poi si trasforma in altra materia, il cervello serve per digerire stimoli esterni che vengono poi trasformati in parole e in pensiero.

Dall'analisi della storia della scienza moderna si evince che nonostante i numerosi tentativi degli scienziati, il mistero della capacità creativa è quello che registra ancora il massimo grado di fallimenti nel tentativo di darvi una spiegazione. Tanto per fare qualche altro esempio, nel corso della storia della scienza moderna ci sono stati tentativi di dare risposte a domande che oggi ci sembrano superate, come la capacità degli animali di pensare, o inconcepibili, come la possibilità che esista una materia pensante. A tal proposito, per Locke il razionalismo cartesiano non ci permette di capire come possano generarsi le idee nel nostro cervello, contrariamente al pensiero di Bacon, il cui empirismo ci porta a pensare che tutta l'esperienza possa ruotare attorno alla sensazione e alla riflessione, che non sono altro che due tipi diversi di percezione che generano le idee.

Un ulteriore, e forse estremo, tentativo di comprendere il pensiero e la capacità del linguaggio ci deriva dal Test di Turing e dal tentativo tutto recente di meccanicizzare il linguaggio cercando così di simulare il pensiero nei computer, grazie a programmi in grado di riprodurre la creatività del linguaggio umano. Per quanto questo tentativo sia risultato non particolarmente significativo dal punto di vista esplicativo, porta almeno l'uomo a sviluppare computer sempre più complessi. Pensatori come Humboldt e Rousseau, Galilei e Newton, pur raggiungendo grandi traguardi in numerosi settori della scienza, hanno anch'essi fallito nel cercare di dare una spiegazione alla facoltà dell'uomo di pensare e al principio creativo della sua mente che è alla base della capacità di realizzare sistemi sociali, educativi, politici ed economici. Un po' come per Newton era inconcepibile che la gravità fosse generata dalla materia, così è incredibile spiegare come il pensiero e il linguaggio possano essere generati dal cervello. Molti di loro hanno finito per accettare che la spiegazione scientifica sia qualcosa di limitato che deve fare i conti con fenomeni particolarmente imperscrutabili.

Molti studiosi del Ventesimo secolo, quelli del cosiddetto "decennio del cervello", cioè gli anni Novanta, hanno portato all'elaborazione di almeno quattro filoni teorici che sostengono che il cervello sarebbe un organo calcolatore; oppure che la mente sia da ridurre alla fisiologia del cervello; o che il mentale sarebbe superiore al cerebrale; o, ancora, che il cervello sia il frutto dell'evoluzione della specie. La conclusione apparente di questa disamina è che la mente sia un campo inesplorabile caratterizzato da zone d'ombra di cui non è possibile la comprensione profonda. Si rischia però di giungere a un "misterianesimo", una sorta di filosofia del mistero che rischierebbe di guidare la scienza verso l'abbandono del tentativo di rispondere alle domande riguardanti i meccanismi ancora inspiegabili della natura, anche se questa è probabilmente una forma di razionalismo.

Come risolvere dunque questa situazione di stallo? Auspico che si giunga a una unificazione delle varie branche della scienza in modo che possano arrivare a un tentativo di comprensione di qualche piega ancora imperscrutabile della mente umana, anche se il tentativo sembra davvero impossibile perché ogni ambito di conoscenza comporta dei limiti. Ambiti e limiti sono infatti intrinsecamente correlati tra loro: ogni ambito richiede una struttura che impone limiti. Quindi sembra chiaro che l'uomo non riuscirà a sfuggire a queste proprietà logiche che accomunano tutti gli esseri naturali. E visto che la scienza deve andare oltre il semplice abbandono della ricerca di spiegazioni, forse è giusto pensare che molte domande rimarranno presumibilmente inspiegabili per sempre. Forse il motivo sta nel fatto che la nostra limitatezza cognitiva ci impedisce di porci le domande giuste. Per questo non riusciamo a dare loro una spiegazione.

Testo tratto dalla Prolusione di Noam Chomsky tenutasi ieri in occasione dell'inaugurazione dell'Anno accademico della Scuola superiore universitaria Iuss di Pavia. Nel pomeriggio Chomsky ha incontrato duecento studenti provenienti da tutta Italia. Domani alla Sissa di Trieste Chomsky riceverà una laurea «Honoris causa»

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