Nuovo studio: aborto
indotto aumenta il tasso di mortalità della donna - L’indagine è stato
pubblicata su “Medical Science Monitor” - http://www.uccronline.it/
17 settembre, 2012
Tra i vari danni creati dalla cultura laicista (italiana e non), c’è quello di aver diffuso l’idea che l’aborto sia più sicuro del parto. Come già avvenuto per altri cavalli di battaglia, i promotori della disinformazione sono stati di nuovo contraddetti.
Un nuovo studio delle cartelle cliniche di quasi mezzo milione di donne inDanimarca, pubblicato sulla rivista Medical Science Monitor, ha rivelato infattitassi di mortalità materna significamente più elevati a fronte di un aborto indotto. I ricercatori, hanno esaminato i tassi di mortalità a seguito della prima gravidanza di donne in età riproduttiva, e i grafici dei tassi di mortalità dopo 180 giorni, 1 anno e 10 anni dalla prima gravidanza.
I risultati delle ricerche hanno evidenziato tassi di mortalità significativamente più alti tra le donne che hanno abortito in ogni periodo di tempo esaminato; nel complesso, lo studio ha rivelato che le donne che hanno avuto aborti nel primo trimestre avevano un rischio di morte superiore dell’89% entro il primo anno, e un rischio superiore dell’80% nell’intero periodo preso in esame.
Esistono tuttavia ancora studi in cui viene rilevata la pericolosità del parto rispetto all’aborto, ad esempio quello pubblicato a febbraio dalla rivista “Obstetrics & Gynecology”, ma essi sono solitamente basati su singoli certificati di morte o da segnalazioni delle agenzie governative. Infatti, secondo il Dott. David Reardon, co-autore dello studio danese sopra citato, l’indagine su“Obstetrics & Gynecology” mette a confronto “mele e arance”, utilizzando serie decisamente incomplete ed incomparabili. Afferma Reardon : «I medici e gli altri funzionari che redigono i certificati di morte, non sono quasi mai a conoscenza di eventuali aborti della paziente. Lo studio da noi condotto, è attualmente l’unico modo per identificare e confrontare oggettivamente i tassi di mortalità associati all’esito della gravidanza». Del resto, l’imprecisione dei conteggi tradizionali riguardanti la morte associata alla gravidanza, è stata sottolineata anche da alcuni ricercatori che, nel 2004 , hanno esaminato i dati dell’assistenza sanitaria nazionale in Finlandia, rilevando che solo il 27% dei decessi associati ad una gravidanza poteva essere identificato dai certificati di morte.
Reardon ha anche sostenuto che questi risultati critici verso l’aborto vengono “soppressi” per motivi ideologici e politici: «Attivisti statunitensi ed europei, ONG ed ambienti accademici fanno pressioni sui Paesi in via di sviluppo per condurli ad una legalizzazione dell’aborto. Il loro obbiettivo, ampiamente documentato, è quello di ridurre i tassi di natalità tra i poveri; tale obbiettivo è stato mascherato dalla tesi “politicamente corretta” che afferma che l’aborto sia più sicuro del parto, e che esso rappresenti un elemento positivo per la salute delle donne. Qualsiasi prova che vada a minare le fondamenta di questa tesi, è quindi ostinatamente ignorata e soppressa».
Precedenti studi sui tassi di mortalità in Finlandia, hanno rilevato un triplice aumento del rischio di suicidio, rispetto alla popolazione generale, durante il primo anno dall’aborto, e un rischio di sei volte maggiore rispetto alle donne che hanno partorito. Il tasso di suicidio più alto è stato rilevato a due mesi dall’aborto. Studi condotti in California, invece, hanno rilevato una probabilità dimalattie cardiache superiore del 187% rispetto alla norma; tale incidenza, è dovuta allo stress procurato dall’aborto. In questa pagina abbiamo elencato una serie di questi indagini scientifiche e varie notizie apparse sui quotidiani internazionali.
«Numerosi studi hanno messo in relazione l’aborto ad un consumo più elevato di sostanze, a comportamenti autodistruttivi, a ricoveri in ospedali psichiatrici, a disturbi del sonno, a disturbi alimentari, e ad un aumento generale di trattamenti medici», ha concluso Reardon.
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