Avvenire.it, Cronaca, 3 novembre 2011 – INTERVISTA - Costa: «Non
cambiarle, ma renderle autonome» di Elena Molinari
Molti genetisti americani sono
rassegnati al fatto che la sindrome di Down sia destinata a sparire. Perché
allora perdere tempo a studiarla? Perché andare a bussare a porte pubbliche e
private cercando di ottenere fondi che nessuno vuole più concedere? La risposta
di Alberto Costa si chiama Tyche. Oltre a essere un ambizioso scienziato del
cervello, il medico di origine brasiliana è anche padre di una ragazza di 16
anni che, come dice suo padre con orgoglio, «è una delle due persone con la
sindrome di Down che conosco in grado di risolvere problemi algebrici». È per
Tyche che Costa, che insegna neurologia all’Università del Colorado a Denver,
non prende una vacanza da 13 anni. «L’orologio corre, il tempo stringe», dice.
Professor Costa, lei ha raggiunto
una pietra miliare nella ricerca di una cura per la sindrome di Down,
intraprendendo il primo test clinico su pazienti affetti dalla trisomia 21. Può
illustrare lo stato della sua ricerca?
Lo scopo di questo studio è di
determinare se una medicina chiamata memantina ha il potenziale di migliorare
la memoria e altre capacità cognitive di giovani adulti Down. La memantina è
già stata approvata dalla Fda per il trattamento dell’Alzheimer. Circa 40
pazienti Down di entrambi i sessi, dai 18 ai 32 anni, riceveranno la medicina o
un placebo. In base ai risultati osservati in cavie con la trisomia 21,
ipotizziamo che la medicina migliorerà la funzione dell’ippocampo, aumentando
il quoziente d’intelligenza dei pazienti e la loro capacità di elaborare e
ritenere informazioni. L’obiettivo finale non è di cambiare le persone Down,
che sono splendide e altamente sociali, ma di renderle autonome.
Cosa spera per sua figlia?
Come genitore, ti auguri che i
tuoi figli a un certo punto abbiano la loro vita, siano indipendenti. E hai la
speranza che muoiano dopo di te. Negli ultimi 15 anni l’aspettativa di vita di
una persona Down è raddoppiata, passando dai 25 ai 49 anni. Ma la maggior parte
ha ancora bisogno di supporto esterno per tutta la vita. Mia figlia per molti
aspetti è una ragazza normale. Ha una forte personalità. Dobbiamo bussare prima
di entrare in camera sua. Legge libri di vampiri e ama la musica pop. Ma non
avrebbe questa qualità della vita senza le cure costanti mie, di mia moglie e
di alcuni specialisti. Quando sono in laboratorio, è lei che ho davanti agli
occhi. Le famiglie che mi affidano i loro figli per i test clinici lo sanno.
Per me non è un esercizio accademico.
Lei non sapeva che sua figlia
avrebbe avuto la sindrome di Down, prima che nascesse?
No. Mia moglie aveva perso un
bambino in una gravidanza precedente per colpa di una villocentesi. Un bambino
che sarebbe stato assolutamente sano. Con Tyche avevamo consapevolmente deciso
di non fare alcun test.
Ora che sono disponibili esami
non invasivi per la diagnosi della sindrome di Down, come pensa che cambierà la
sua ricerca?
È già cambiata. È diventata una
gara contro il tempo. Ma scientificamente non ha senso. Se esiste un disordine
che modifica le funzioni di un organo, in questo caso il cervello, e puoi usare
una medicina per riportare la funzione di quell’organo il più vicino possibile
a come è stata per milioni di anni, è la stessa cosa che trovare una cura per
una malattia. Le società farmaceutiche non la vedono così. Non pensano che
valga la pena permettere che questi bambini nascano e abbiano la possibilità di
sviluppare una vita significativa e indipendente. Mi aspetto nei prossimi mesi
un crollo precipitoso nel tasso di bambini nati con sindrome di Down. Se non ci
muoviamo alla svelta, le nostre scoperte non avranno alcun significato.
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