Avvenire.it, 4 novembre 2011, Il verdetto definitivo di Strasburgo
sull'eterologa - L'Europa chiude la porta agli eccessi in provetta
È legittimo vietare la
fecondazione eterologa, cioè con gameti estranei alla coppia che cerca un
bambino con la procreazione assistita: lo ha stabilito la Grande Chambre della
Corte di Strasburgo per i diritti umani, rovesciando la sentenza con cui più di
un anno fa l’Austria era stata condannata per questo divieto da una delle
camere della stessa Corte.
Nessuna violazione della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quindi, se regolando la fecondazione
in vitro sono consentite alcune tecniche e vietate altre: su temi tanto
sensibili in merito ai quali non c’è orientamento condiviso è bene che ogni
Stato mantenga la propria autonomia legislativa, nel rispetto dei princìpi
delle carte fondamentali, e al tempo stesso della cultura e della volontà
popolare dei singoli Paesi.
La legge austriaca per esempio,
come quella tedesca, vieta l’eterologa tranne nel caso di inseminazione, cioè
quando il seme maschile è immesso nel corpo della donna e non ci sono embrioni
creati in laboratorio. La legge italiana, invece, la vieta sempre, ma
nonostante la differenza normativa – per cui un’eventuale abolizione del
divieto austriaco da noi non sarebbe stata efficace – il nostro governo è
intervenuto a fianco dell’Austria (con la Germania) per ribadire il principio
del margine di autonomia che spetta a ogni Stato, ora definitivamente
riconosciuto dalla Corte europea.
Ed è molto interessante
l’improvviso cambiamento di opinione di quei sostenitori dell’eterologa che
finora hanno agitato il vessillo europeo, sostenendo che quanto stabilito per
l’Austria valesse anche per l’Italia e ignorando bellamente la differenza del
quadro giuridico: dopo aver affermato per mesi – con assoluta certezza – che
l’Italia si sarebbe dovuta adeguare alla prima sentenza eliminando il divieto
per l’eterologa, gli stessi dichiarano adesso – con la medesima certezza – che
la seconda sentenza, stavolta definitiva, non ci riguarderebbe perché la nostra
legge è diversa da quella austriaca. Peccato per loro che la Grande Chambre ne
abbia fatto una questione di criterio (vale il margine di apprezzamento dei
singoli Paesi, appunto) senza entrare nel merito. Come è anche ovvio che sia:
considerata l’enorme difformità fra le tante e mutevoli leggi nazionali che
regolano la fecondazione artificiale, occuparsi dei contenuti dei singoli
provvedimenti avrebbe significato per la Corte inoltrarsi in un ginepraio senza
fine. Perché consentire l’eterologa, per esempio, e non la maternità surrogata
(il cosiddetto "utero in affitto"), o l’adozione degli embrioni, o la
fecondazione post-mortem? Al contrario, in alcuni passaggi la Corte mostra
apprezzamento per la cautela dell’Austria nel conciliare la realtà sociale e i
princìpi in gioco, e precisa che comunque non è vietato, per chi volesse
sottoporsi a trattamenti non consentiti in patria, andare all’estero. Il
cosiddetto "turismo procreativo", insomma, non è condannato, ma visto
come libertà di cura.
La legge 40 – necessaria anche
per i cattolici, sebbene non la condividano per intero – si rafforza ancora,
pur indirettamente. Una norma in linea con la giurisprudenza internazionale, a
dispetto della voluta disinformazione malevola che la circonda: solo poche
settimane fa una sentenza europea sulla non brevettabilità di farmaci derivati
da embrioni umani – tutt’altra questione e tribunale – ricalcava pienamente un
articolo della legge 40.
Fallito il referendum abrogativo
nel 2005, falliti i tentativi di smontare la norma, sostanzialmente confermata
nel suo impianto anche dalla Corte costituzionale nel 2009, fallisce anche la
manovra – maldestra e forzata – di attaccare la 40 dall’Europa.
Una tecnica, quella eterologa,
che pone molti più problemi di quelli che cerca di risolvere: madri e padri
distinguibili solo con aggettivi (biologico, sociale, legale), origini e
parentele incerte e sconosciute, per non parlare del mercato di gameti, spesso
con connotazioni razziste. Un’occasione in più, la sentenza di Strasburgo, per
ripensare a tutto questo.
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