L'INCHIESTA - Analfabeti digitali - L'Italia che ignora Internet - In
Italia il 50% degli adulti non possiede un computer, né sa usare le mail. Un
dato enorme se paragonato agli Stati Uniti e al resto d'Europa. Ma per fortuna
tra i ragazzi sotto i 20 anni le proporzioni si invertono, e i "nativi
digitali" sono perfettamente in linea con le competenze tecnologiche dei
loro coetanei stranieri - di MARIA NOVELLA DE LUCA, 03 novembre 2011, http://www.repubblica.it/
Non sanno mandare una e-mail, né
fare una ricerca su Google, non prenotano viaggi né tantomeno utilizzano l'home
banking. Non sanno scaricare un modulo né riempirlo online, non frequentano
l'e-commerce né i siti degli enti e degli uffici, ignorano Skype e Wikipedia, e
se proprio devono consultare Internet (o magari compilare il Censimento)
chiedono aiuto ai figli adolescenti o addirittura bambini. C'è un pezzo
d'Italia adulta, over 40, trasversale alle regioni e alla geografia, agli studi
e alle professioni, più femminile che maschile, che non sa più "né leggere
né scrivere". Non conosce cioè il nuovo alfabeto digitale della vita
quotidiana, e rischia in pochi anni (cinque, dieci al massimo, dicono gli esperti
di nuovi linguaggi e nuovi media) di essere espulsa non solo dall'universo del
sapere, quanto dall'accesso ormai sempre più online delle funzioni di ogni
giorno.
LEGGI E' la grammatica del futuro
1 di Riccardo Luna
Si chiama "analfabetismo
digitale", ed è uno dei tre analfabetismi censiti dall'Ocse per descrivere
chi oggi, nel primo come nel quarto mondo, è a rischio di emarginazione per
mancanza di competenze. Un rischio ben presente nel nostro paese, dove gli
analfabeti "totali" ormai non sono più dell'1,5% della popolazione,
ma dove quasi il 50% degli italiani adulti non possiede un computer né utilizza
Internet. Un dato enorme se paragonato al resto d'Europa e soprattutto agli
Stati Uniti.
Se però i genitori e i nonni
arrancano, e ci pongono agli ultimi posti per "connessioni" alla
Rete, è invece dai piccoli e piccolissimi che arriva la spinta opposta, in
avanti, con ritmi quasi travolgenti: i digital kids made in Italy ma anche
immigrati, nella fascia d'età che va dai 6 ai 10 anni, e soprattutto dagli 11
ai 17 anni, corrono velocissimi, apprendono da soli, sperimentano, conoscono e
governano Internet esattamente come gli adolescenti di tutto il mondo cablato,
stesse opportunità e stessi rischi inclusi. Una rivoluzione al contrario, dal
basso verso l'alto, ma così accelerata da far temere che tra breve nella stessa
famiglia e tra più generazioni si parleranno linguaggi sideralmente lontani.
Un po' come avvenne negli anni
del primo dopoguerra e dell'alfabetizzazione di massa, in cui furono i bambini
che imparavano l'italiano a scuola ad insegnare a leggere e a scrivere ai
nonni, i quali parlavano dialetti ormai incomprensibili ai nipoti, come ha
ricordato un recente convegno a Torino dedicato ai nuovi analfabetismi e al
maestro Manzi di "Non è mai troppo tardi". E infatti la presenza di
pc è sensibilmente più alta nelle famiglie dove ci sono bambini e ragazzi, il
68,1% contro il 54,9%.
"Ma rispetto ad allora -
spiega Paolo Ferri, docente di Teorie e tecniche dei Nuovi Media
all'università Bicocca di Milano e autore del saggio "Nativi
digitali" - il tempo dell'apprendere per non restare
tagliati fuori dalla vita di tutti i giorni, si è drasticamente accorciato. Nel
giro di 5, al massimo 10 anni, non avere la connessione ad Internet, non
saperlo usare, porterà ad una frattura radicale tra chi potrà avere accesso al
lavoro e chi no, ai concorsi, all'università, ma anche al semplice
destreggiarsi tra un bollettino da pagare e una visita medica da prenotare. E
se sono diversi i tempi e i modi, oggi come ieri ci troviamo di fronte al
problema di alfabetizzare una popolazione adulta, nell'assenza totale, da parte
delle istituzioni, di una agenda digitale".
In una fascia d'età strategica,
quella tra i 45 e i 54 anni in cui si è nel pieno della vita produttiva, nel
nostro paese soltanto il 53,0% degli italiani (dati Istat 2010) afferma di
conoscere la Rete, e soltanto il 55,9% possiede un computer a casa. E il
problema è più femminile che maschile, sono soprattutto le donne che non
lavorano ad avere pochissime conoscenze tecnologiche. Nella stessa classe
anagrafica negli Stati Uniti la connessione è invece dell'83%, e anche salendo
con gli anni verso quella terza età dove i nipoti insegnano ai nonni i giochi e
i trucchi del web, le connessioni Usa degli over 70 raggiungono il 45% contro
il 12% dell'Italia.
"Ho imparato ad usare il
computer grazie a mia nipote e ad un corso in parrocchia -
confessa Adele, 74 anni - per poter leggere le mail di mio figlio che
vive in Brasile e vedere sempre aggiornate le foto della sua famiglia. Poi però
ho utilizzato queste nuove competenze per navigare, come dicono i ragazzi, e
adesso partecipo a diversi forum e leggo le notizie".
"Noi scontiamo un forte
ritardo nelle infrastrutture, nella diffusione della banda larga, ma anche una
resistenza culturale. Quegli stessi adulti così restii ad usare un pc vivono
invece incollati al telefonino - aggiunge Ferri -
basti pensare che in Italia ci sono 150 milioni di sim card attive.
Certo, c'è anche chi pensa che questa dipendenza dalla Rete sia dannosa, che se
ne possa fare a meno, che comprima le capacità di apprendimento dei bambini. In
realtà i digital kids hanno imparato perfettamente a far convivere il mondo
analogico con quello digitale, e i dati Ocse-Pisa dimostrano come i bambini con
accesso alle tecnologie siano 50 punti più avanti, nel rendimento scolastico,
dei coetanei che non le utilizzano". E l'elemento da sottolineare è che il
divario tecnologico riguarda le generazioni e non le "razze", come si
legge nel saggio "Profilo degli adolescenti immigrati di seconda
generazione", pubblicato dal Cnel nella primavera scorsa.
Tra i 15 e i 17 anni circa il 90%
di questi adolescenti arrivati in Italia nella primissima infanzia, utilizza
Internet con percentuali identiche a quelle dei ragazzi italiani. Ed è bella la
testimonianza di Roxana, 40 anni, peruviana, badante e madre di una teenager:
"Mia figlia adesso è in Italia, siamo state dieci anni lontane. È venuta
per studiare: la prima cosa che ho fatto mettendo insieme due stipendi è stata
quella di comprarle un computer. Così adesso mi insegnerà anche a parlare via
Internet con i nostri parenti in Perù".
Certo, si può diventare schiavi
del mezzo, come avverte con severità Benedetto Vertecchi, e il primo linguaggio
"deve essere sempre e solo quello alfabetico, simbolico, concettuale,
altrimenti non si impara a pensare, altrimenti avremo una generazione che usa
più le dita che la testa". Che senso ha, si chiede Benedetto Vertecchi,
"mettere le lavagne interattive nelle classi e poi smantellare i
laboratori di fisica e di chimica, o regalare un computer ad un bambino di 5
anni e poi non digitalizzare le biblioteche?". La discussione è aperta. Ed
è giusto non enfatizzare i presunti saperi tecnologici, se poi, come scrive il
fisico Paolo Magrassi nel divertente libro "Digitalmente confusi",
(FrancoAngeli), buona parte di quei saperi servono per "scaricare filmati
da youtube, youporn o redtube", o magari per connettersi e cercare amici
su Facebook, insomma per pura evasione, andando poi a far la fila alla posta
per pagare i bollettini o le tasse, ignorando quindi i vantaggi della vita
online.
Tutto vero, ma in realtà,
aggiunge Massimo Arcangeli, direttore dell'Osservatorio della lingua italiana
Zanichelli, "il problema per una volta non è dei giovani che stanno
riorganizzandosi su modelli cognitivi nuovi, con una trasformazione inarrestabile,
una grammatica nuova, ma degli adulti, della loro fatica ad imparare, della
loro resistenza ai nuovi linguaggi". Perché se il rischio dei digital kids
è quello di strutturare menti "più sintetiche che analitiche, e di avere
una memoria troppo breve e immediata, è vero anche che il loro approccio al
sapere oggi viaggia su connessioni diverse, inedite, e non è più possibile
parlare di queste competenze come di una cultura di serie B". Ma al di là
del giudizio sulla "conoscenza", il tema è assai più concreto.
Per coloro che oggi sono fuori
dal world-wide web, per quel 47% di over cinquantenni che non frequenta né
utilizza la Rete, dice Arcangeli "se non si trova un canale di
alfabetizzazione di massa, attraverso la televisione, attraverso i corsi
serali, proprio sul modello di quel famoso "Non è mai troppo tardi",
il rischio concreto è quello di ritrovarsi in una manciata di anni ai margini
della società".
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