venerdì 4 novembre 2011


SALUTE E RICERCA SCIENTIFICA - LA STRADA PER BATTERE IL CANCRO E' DENTRO DI NOI - LA REPUBBLICA - INSERTO IL VENERDI' 4 novembre 2011, di ALEX SARAGOSA

Grazie alle ricerche dei tre nobel per la medicina 2011. Sappiamo meglio come stimolare il sistema immunitario, che agisce su due linee di difesa, collegate tra loro. Ce ne parla un’italiana che ha contribuito agli studi.

Una ricerca fatta all’Imperial College di Londra ha rilevato che, nei suoi primi trent’anni, il premio Nobel per la medicina venne dato nell’80 per cento dei casi a medici che avevano trovato la cura per gravi e note patologie. Negli ultimi trenta anni, invece, nel 76 per cento dei casi il premio è andato a ricercatori non medici (spesso biologi), per studi di laboratorio su temi che al pubblico sembrano decisamente astrusi. L’ultimo, assegnato all’americano Bruce Beutler, al francese Jules Hoffmann e al canadese Ralph Steimann, non sembra fare eccezione. Beutler e Hoffmann lo hanno ricevuto per avere scoperto, su cellule immunitarie di moscerini e topi, dei recettori che reagiscono a molecole presenti su microrganismi patogeni, attivando la cosiddetta immunità innata. Steinman lo ha invece avuto per aver mostrato l`esistenza e la funzione di un particolare tipo di cellule, quelle dendritiche, che regolano l`immunità adattativa. «In realtà ciò che è stato scoperto ha una grande importanza per la medicina, perché permette l`elaborazione di nuove terapie per malattie che vanno dalle infezioni ai tumori» spiega l`immunologa Paola Castagnoli. Lei quegli studi li conosce bene, perché li ha condivisi: fiorentina, 63 anni, la Castagnoli ha collaborato con Steinman ed è coautrice del lavoro apparso nel 1998 su Science, grazie al quale è stato dato il Nobel a Beutler. Tra le figure internazionali più prestigiose nel settore dell`immunologia, ha lavorato negli Stati Uniti, in Francia e, per trent`anni, tra Cnr e Università Bicocca di Milano. Poi, nel 2008, è entrata nella schiera dei «cervelli in fuga»: le hanno affidato la creazione del SIgN, il nuovo Istituto di Immunologia di Singapore, e con esso la direzione scientifica di duecento giovani ricercatori. Singapore è una Città Stato poco più popolosa di Roma, ma nei prossimi cinque anni investirà otto miliardi di euro nella ricerca, il 3,5 per cento del Pil, per creare un`economia basata sulla conoscenza. È un altro pianeta, insomma, rispetto alle ristrettezze, alle frustrazioni e all`antimeritocrazia, che, come tanti altri suoi colleghi, la Castagnoli ha conosciuto nell`Università italiana. «Ma lasciamo perdere» taglia corto la Castagnoli «e proviamo invece a spiegare l`importanza di queste scoperte. Quando dei microrganismi penetrano nel nostro corpo, vengono anzitutto riconosciuti da cellule sentinella, le dendritiche, che pattugliano i tessuti di confine, come pelle, intestino e polmoni, fagocitando gli invasori. Questa prima linea di difesa è detta innata. Successivamente le cellule dendritiche migrano nei linfonodi, dove attivano i linfociti, cellule che producono anticorpi specifici contro il microrganismo individuato, garantendo un’immunità prolungata che, a volte, può durare tutta la vita. Questa seconda linea di difesa, detta adattativa, nei decenni scorsi è stata al centro delle ricerche, perché sembrava la più utile a scopi terapeutici. Beutler, Hoffmann e Steinman hanno chiarito invece le modalità di funzionamento della difesa innata, mettendo in luce il suo grande potenziale medico». Le ricerche dei primi due hanno dimostrato che possediamo alcuni geni che controllano i recettori delle cellule denditriche in grado di riconoscere proteine, Rna e Dna di origine batterica e virale. Così, quando un microrganismo entra nell`organismo, le sentinelle cellulari hanno già, per così dire, le «foto segnaletiche» necessarie per riconoscerlo come estraneo e distruggerlo. «Hoffmann scopri questi geni nel moscerino della frutta, Beutler trovò il loro equivalente nei topi: un chiaro indizio che essi esistono anche nell`uomo» continua Castagnoli. «In seguito, altri scienziati hanno individuato decine di altri recettori capaci di individuare microrganismi, e i relativi geni». Ma in che modo questa scoperta scientifica può avere ricadute mediche? «Le proteine e le parti di Dna o Rna che attivano la difesa innata» spiega Castagnoli «sono state selezionate dall`evoluzione come le più adatte a indicare la presenza di microrganismi pericolosi. I recettori che le riconoscono sono quindi i bersagli ideali per attivare il sistema immunitario, rendendo i vaccini molto più efficaci. Finora, nel campo dei vaccini, ci si è mossi in modo un po` empirico, creando formulazioni che stimolavano la produzione di anticorpi, ma che spesso non riuscivano ad attivare le cellule dendritiche. Questo ha portato a immunità deboli. Ora sappiamo invece come creare vaccini capaci di attivare anche la difesa innata, e alcuni di essi sono già in sperimentazione clinica avanzata. Avremo così nuove armi contro infezioni batteriche resistenti agli antibiotici e contro malattie che flagellano i Tropici, come malaria, tubercolosi, e dengue». A scoprire le cellule dendritiche e come esse colleghino la difesa innata a quella adattativa è stato Ralph Steinman, quasi quarant`anni fa, ma ne ha impiegati venti prima di riuscire a convincere la maggioranza dei suoi colleghi. «Le cellule dendritiche inglobano proteine dei batteri o dei virus distrutti, si spostano nei linfonodi e lì presentano le loro "prede" ai linfociti T, che danno l`allarme generale, facendo iniziare la produzione di anticorpi modellati sulle proteine estranee» spiega l`immunologo Giuseppe Matarese, dell`Istituto di endocrinologia e oncologia sperimentale Ieos-Cnr di Napoli. «Particolari tipi di cellule dendritiche, dette tollerogeniche, hanno invece l`effetto opposto: bloccano la produzione di anticorpi contro le proteine che presentano. Le si sta quindi sperimentando, per ora su animali, per curare le malattie autoimmuni, come la psoriasi o il diabete giovanile, quelle dove il sistema immunitario attacca erroneamente tessuti dell`organismo». Sono quindi le cellule dendritiche a decidere contro chi il sistema immunitario adattativo debba o meno scagliarsi, fatto che le rende ideali per realizzare terapie contro qualsiasi tipo di minaccia, tumori compresi. «Usando le cellule dendritiche» spiega Matarese «sì fa sì che sia lo stesso orga- H primo vaccino che usa cellule dendritiche è stato già approvato nismo a produrre, per lunghi periodi e in dosi massicce, gli anticorpi contro il tumore. Nel 2010 è stato approvato negli Usa il primo vaccino terapeutico di questo tipo, contro un tipo di tumore alla prostata, e altri se ne stanno sperimentando, anche all`Istituto tumori di Genova, per curare tumori molto aggressivi, come i melanomi o quelli ovarici. In questi vaccini le cellule dendritiche vengono prelevate dai pazienti, attivate con le proteine del tumore, e poi re iniettate, in modo che scatenino una risposta intensa e mirata. Il problema è che queste terapie per ora sono ammesse solo quando hanno fallito tutte le altre, quindi si applicano su pazienti già molto debilitati e con tumori diffusi, ed è difficile valutare quale sarebbe la loro efficacia se venissero usate fin dall`inizio. Inoltre i tumori non restano passivi sotto l`attacco degli anticorpi, ma si attivano per attenuarne gli effetti. Bisognerà trovare il modo di scardinare le loro difese, senza compromettere quelle dei tessuti sani». Insomma, la sfida della medicina per sconfiggere le malattie usando le armi fornite dallo stesso organismo ha appena vinto un Nobel, ma siamo solo agli inizi.

 COSI STEINMAN HA PROVATO SU DI SE LA SUA TEORIA SOPRAV\(ISSUTO 4 ANNI AL TUMORE AL PANCREAS Ralph Steinman è morto tre giorni prima che venisse annunciata l`assegnazione dei premio Nobel 2011 perla medicina. In teoria il premio non può essere dato post mortem, ma il segretario generale del comitato dei Nobel l`ha voluto confermare in quanto attribuito «in buona fede a una persona che si riteneva vivente». L`immunologo canadese si meriterebbe un altro riconoscimento speciale per essere riuscito a trasformare l`ultima fase della sua vita in una sperimentazione, che potrà in futuro aiutare altri nelle sue stesse condizioni. Steinman ha infatti combattuto il male che alla fine l`ha ucciso, un adenocarcinoma al pancreas, usando la stessa scoperta per cui ha ricevuto il Nobel: le cellule dendritiche Nel 2007, dopo l`asportazione del tumore, lo scienziato si era fatto prelevare all`ospedale Rockefeller di New York le proprie cellule dendritiche, le aveva «costrette» ad assorbire proteine provenienti dalla superficie del suo tumore. Poi se l`era fatte reiniettare, a più che, che pattugliano i tessuti di confine, come pelle, intestino e polmoni, fagocitando gli invasori. Questa prima linea di difesa è detta innata. Successivamente le cellule dendritiche migrano nei linfonodi, dove attivano i linfociti, cellule che producono anticorpi specifici contro il microrganismo individuato, garantendo un`immunità prolungata che, a volte, può riprese, perché funzionassero come un vaccino. Le cellule dendritiche, presentando le proteine tumorali ai linfociti, li avevano indotti a produrre anticorpi specifici per le cellule cancerose, provocando una forte reazione immunitaria contro di esse. Ma fino a che punto questa cura innovativa ha funzionato? Diff icile dirlo con sicurezza. Il tumore che ha colpito Steinman è una delle varietà più gravi esistenti: I`80 per cento di quelli che ne sono colpiti muore entro sei mesi dalla diagnosi, e meno del 2 percento arriva a cinque anni. Steinman ha resistito al male per quattro anni (Steve Jobs è sopravvissuto per otto anni a un tumore al pancreas, ma di tipo neuroendocrino, molto meno aggressivo). Steinman però si era anche sottoposto a tutte le altre terapie dei caso, quindi non si sa se questa sopravvivenza relativamente lunga sia dovuta alla sua speciale terapia, alle altre più convenzionali o a entrambe. La sua storia, da sola, non può dimostrare molto, se non che vale la pena di esplorare più a fondo la strada terapeutica da lui indicata.

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