Bauman, un mondo senza regole: "senza la solidarietà, la libertà è
un'illusione" - Anticipiamo un brano del nuovo saggio del filosofo polacco
che analizza i diversi aspetti della vita di oggi. Dal sito dei coniugi
Woodward che promuove un'esistenza lontana dalla schiavitù del lavoro,
all'appello a superare "l'ordine dell'egoismo" - di ZYGMUNT BAUMAN (05
settembre 2012) - http://www.repubblica.it
"Chi ha detto che dobbiamo
stare alle regole?" La domanda appare con grande rilievo in testa al sito
internet locationindependent.com. Immediatamente più in basso, viene suggerita
una risposta: "Sei stufo di dover seguire le regole? Regole che ti
impongono di ammazzarti di lavoro e guadagnare un mucchio di soldi in modo da
permetterti una casa e un mutuo imponente? E lavorare ancora più duramente per
ripagarlo, sino al momento in cui avrai maturato una bella pensioncina [...] e
finalmente potrai iniziare a goderti la vita? A noi quest'idea non andava e se
non va neanche a te, sei finito nel posto giusto".
Leggendo queste parole non ho
potuto fare a meno di ricordare una vecchia barzelletta che circolava all'epoca
del colonialismo europeo: mentre passeggia tranquillo per la savana, un inglese
che indossa gli irrinunciabili simboli di un compìto colonialista, con tanto di
elmetto di ordinanza, s'imbatte in un indigeno che russa beato all'ombra di un
albero. Sopraffatto dall'indignazione, per quanto mitigata dal senso di
missione di civiltà che lo ha portato in quelle terre, l'inglese sveglia l'uomo
con un calcio, gridando: "Perché sprechi il tuo tempo, fannullone, buono a
nulla, scansafatiche?". "E cos'altro potrei fare, signore?",
ribatte l'indigeno, palesemente interdetto. "È pieno giorno, dovresti
lavorare!". "Perché mai?", replica l'altro, sempre più stupito.
"Per guadagnare denaro!". E l'indigeno, al colmo dell'incredulità:
"Perché?". "Per poterti riposare, rilassare, goderti
l'ozio!". "Ma è esattamente quello che sto facendo!", aggiunge
l'uomo, risentito e seccato.
Beh, il cerchio si è chiuso:
siamo forse arrivati alla fine di una lunga deviazione e tornati al punto di
partenza? Lea e Jonathan Woodward, due professionisti europei estremamente colti
e capaci che dirigono il sito locationindependent citato prima, stanno forse
riconoscendo, esplicitamente e direttamente, senza tanti giri di parole, un
concetto premoderno, innato e intuitivo che i pionieri, gli apostoli e gli
esecutori della modernità avevano screditato, ridicolizzato e tentato di
estirpare quando esigevano invece che le persone lavorassero duramente per
tutta la vita e che solo in seguito, alla fine di interminabili fatiche,
iniziassero a "spassarsela"?! Per i Woodward, così come per
l'"indigeno" del nostro aneddoto, l'insensatezza di una tale proposta
è talmente lampante da non meritare alcuna spiegazione, né una riprova
discorsiva. Per loro, così come per l'"indigeno", è chiaro come il
giorno che anteporre il lavoro al riposo
e quindi, indirettamente, rimandare una soddisfazione potenzialmente
istantanea (quella sacrosanta regola a cui il colonialista dell'aneddoto e i
suoi contemporanei si attenevano alla lettera)
non è una scelta più saggia né più utile di quella di chi mette il carro
davanti ai buoi.
Che oggi i Woodward possano
affermare con tale sicurezza e convinzione delle opinioni che solo una o due
generazioni fa sarebbero state considerate un'abominevole eresia è indice di
un'imponente "rivoluzione culturale". Una rivoluzione che non ha
trasformato soltanto la visione che i rappresentanti delle classi colte hanno
del mondo, ma il mondo stesso in cui sono nati e cresciuti, che impararono a
conoscere e sperimentarono. Affinché potesse apparire lampante, la loro
filosofia di vita doveva basarsi sulla realtà contemporanea e su solide
fondamenta materiali che nessuna autorità costituita sembra intenzionata a
mettere in discussione.
Le fondamenta della vecchia/nuova
filosofia di vita appaiono ormai incrollabili. Quanto profondamente e
irreversibilmente il mondo sia cambiato nella sua transizione alla fase
"liquida" della modernità è dimostrato dalla timidezza delle reazioni
dei governi di fronte alla più grave catastrofe economica verificatasi dalla
fine della fase "solida", quando ministri e legislatori hanno deciso,
quasi per istinto, di salvare il mondo della finanza ma anche i privilegi, i bonus, i
"colpacci" in Borsa e le strette di mano che suggellavano accordi
miliardari e ne consentivano la sopravvivenza: quella potente forza causale e
operativa che è stata alla base della deregulation, e principale paladina ed
esponente della filosofia dell'"inizieremo a preoccuparcene quando
accadrà"; di pacchetti azionari suddivisi in parcelle rimasti immuni dalla
responsabilità delle conseguenze; di una vita che si basa sul denaro e sul
tempo presi a prestito, e di una modalità di esistenza ispirata al "godi
subito e paga dopo". In altre parole, quelle stesse abitudini, che il
potere ha facilitato, a cui in definitiva il terremoto economico in questione
potrebbe (e dovrebbe) essere ricondotto. (...)
Tuttavia, nell'appello dei
Woodward c'è qualcosa di più in gioco, molto di più, della differenza tra un
posto di lavoro ancorato a un luogo, tutto racchiuso all'interno di un unico
edificio commerciale, e uno itinerante, diretto verso mete predilette quali la
Tailandia, il Sudafrica e i Caraibi. (...) A essere realmente in gioco è, come
loro stessi ammettono, la "libertà di scegliere ciò che è giusto per
te" per te, e non "per gli
altri" o di come condividere il
pianeta e lo spazio con questi altri.
Assumendo tale principio a
parametro con cui misurare la correttezza e il valore delle scelte di vita, i
Woodward si trovano sulla stessa linea di pensiero delle persone contro le
quali si ribellano, come i dirigenti e i manager della Lehman Brothers e tutti
i loro innumerevoli emuli, nonché coloro che
come scrive Alex Berenson, del New York Times ricevono "stipendi a otto cifre"
(accusa che con ogni probabilità i Woodward rifiuterebbero indignati).
Tutti, unanimemente, approvano il
fatto che "l'ordine dell'egoismo" abbia preso il sopravvento su
quell'"ordine della solidarietà", che un tempo aveva il suo vivaio
più fertile e la cittadella principale nella protratta condivisione (ritenuta
senza fine) dei locali in uffici e fabbriche. Sono stati i consigli di
amministrazione e i dirigenti delle multinazionali, con il tacito o manifesto
sostegno e incoraggiamento del potere politico in carica, a occuparsi di
smantellare le fondamenta della solidarietà tra impiegati mediante l'abolizione
del potere di contrattazione collettivo, smobilitando le associazioni di tutela
dei lavoratori e obbligandole ad abbandonare il campo di battaglia; tramite
l'alterazione dei contratti di lavoro, l'esternalizzazione e il subappalto
delle funzioni manageriali e delle responsabilità dei dipendenti,
deregolamentando (rendendo "flessibili") gli orari di lavoro,
limitando i contratti di lavoro e al tempo stesso intensificando l'avvicendarsi
del personale e legando il rinnovo dei contratti alle prestazioni individuali,
controllandole da vicino e in continuazione. Ovvero, per farla breve, facendo
tutto il possibile per colpire la logica dell'autotutela collettiva e favorire
la sfrenata competitività individuale per assicurarsi vantaggi dirigenziali.
Il passo definitivo per porre
fine una volta per tutte a qualsiasi occasione di solidarietà tra
dipendenti che per la grande
maggioranza delle persone rappresenta l'unico mezzo per raggiungere la
"libertà di scegliere ciò che fa per te" richiederebbe, comunque, l'abolizione della
"sede di lavoro fissa" e dello spazio condiviso dai lavoratori, in
ufficio o in fabbrica. Ed è questo il passo che Lea e Jonathan Woodward hanno
compiuto. Con le loro competenze e credenziali se lo sono potuti permettere.
Tuttavia non sono molte le persone che si trovano nella condizione di cercare
un rimedio alla propria mancanza di libertà in Tailandia, in Sudafrica o ai
Caraibi, non necessariamente in questo stesso ordine. Per tutti gli altri che
non sono in una simile posizione, il nuovo concetto/stile di vita/impostazione
mentale dei Woodward confermerebbe una volta per tutte quanto le loro perdite
siano definitive, dal momento che meno persone rimarrebbero impegnate nella
difesa collettiva delle loro libertà individuali. L'assenza più cospicua
sarebbe quella delle "classi colte", a cui un tempo spettava il
compito di sollevare dalla miseria gli oppressi e gli emarginati.
© Riproduzione riservata (05
settembre 2012)
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