Brutta addormentata - Bellocchio sbaglia sceneggiatura e attori nel suo
film ideologico su Eluana. Si salva solo una scena di di Mariarosa Mancuso, 6
settembre 2012 - http://www.ilfoglio.it/
"Il film di denuncia ha
fatto il suo tempo”, dichiara Marco Bellocchio, aggiungendo la raccapricciante
annotazione che “il genere ha fatto grande il cinema italiano”. Ora che il
cinema italiano è un po’ più piccolo, prosperano i film ideologici e da
dibattito come “Bella addormentata”. Non ci fossero le polemiche, o i litigi
tra quelli che son pro e quelli che son contro a prescindere, il manufatto si
potrebbe pacificamente archiviare tra i titoli poco riusciti del regista che
debuttò con “I pugni in tasca” nel 1965. Meglio ancora se la provincia e la
regione non avessero avuto da ridire sulle scelte della Film Commission del
Friuli. Ci saremmo risparmiati un lancio pubblicitario pari soltanto a quello
(gratuito e ossessionante) che ha accompagnato il film di Marco Tullio Giordana
sulla bomba di Piazza Fontana e il film di Daniele Vicari sulla scuola Diaz di
Genova.
Capita a tutti di sbagliare una
sceneggiatura, inzeppandola di scene madri che vorrebbero essere problematiche,
e invece al più offrono frasi da mettere tra virgolette nei titoli dei
giornali. Capita di moltiplicare i personaggi, su uno sfondo realistico come
gli ultimi giorni di Eluana Englaro, nel tentativo di dimostrare che il film a
tesi non è tale: “C’è perfino un risveglio, come potete dire che sono
schierato, ho messo il raggio di speranza”. Sicuro, Maya Sansa si risveglia nel
suo lettuccio d’ospedale, dopo che ha cercato di tagliarsi le vene. Si trascina
verso la finestra e vorrebbe suicidarsi, salvata dal dottore amorevole che ha
avuto un presentimento. Il raggio di speranza l’abbiamo visto, anche perché da
un’ora e mezza stavamo a domandarci che cosa ci facesse Maya Sansa scarmigliata
e nichilista accanto a Isabelle Huppert (ex attrice francese ora votata alle
cure di una figlia in coma), a Alba Rohrwacher, che prega per Eluana quando non
si fa distrarre da un ragazzo carino del campo avverso (galeotto fu un
fazzolettino), e a Toni Servillo, deputato in crisi di coscienza. Pedine nel
grande gioco della vita e della morte, appena sagomate come i pezzi degli
scacchi, prive di quasivoglia dettaglio atto a suscitare compassione nello
spettatore.
Un film riuscito, stante la
delicata materia, dovrebbe indurci a spiare con un po’ di curiosità le vite e
magari le ragioni degli altri. Una sola scena, e un solo personaggio, hanno le
qualità che il cinema dovrebbe avere. Roberto Herlitzka, “psichiatra che dà le
medicine” – lo abbiamo inteso come una stilettata a Massimo Fagioli, per anni
guru del regista – cura i parlamentari in crisi di rappresentanza (propria, non
rispetto a chi li ha votati, uguali all’onorevole Slucca inventato da Carlo
Fruttero in “Visibilità zero”). Immersi fino al collo in un bagno turco
rischiarato da candele, guardano la tv e meditano sulle qualità antidepressive
dei talk show. Chi viene invitato spesso tiene lontane le paturnie e le crisi
di identità. La sequenza è bellissima, i drappeggi degli teli sono
caravaggeschi, il dialogo per un attimo risplende, lontano dai gattamortismi –
di femmine e di maschi – che affliggono il resto del film. Pare di vedere Tony
Curtis e Laurence Olivier nella scena censurata di “Spartacus”: chiacchierano
di ostriche e lumache, con un sottotesto che l’ha fatta diventare di culto
nella comunità gay. Gli attori fan
quello che possono. Isabelle Huppert si addormenta e sogna le mani insanguinate
di Lady Macbeth. Il figlio, in procinto di entrare all’Accademia d’arte
drammatica, prepara per l’esame “Donna de paradiso” di Jacopone da Todi. Ha
studiato tanto, ma non riesce a non storpiare il “Crucifige! Crucifige!” in un
devastante “Crucifigge!”.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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