Il martirio in Pakistan di Suneel Masih, il 30 agosto 2012, http://www.corrispondenzaromana.it
(di Cristina Siccardi) Si
chiamava Suneel Masih e aveva 14 anni. È stato assassinato in Pakistan per la
sua Fede in Cristo. Era orfano, viveva a Faisalabad con i suoi parenti e
frequentava la quinta classe. Il 19 agosto si era recato in un negozio del
Liberty Market per acquistare una maglietta e poi non è più rientrato a casa…
Due giorni dopo, gli agenti della polizia, durante le ricerche del ragazzo,
hanno rinvenuto in un’area industriale isolata un cadavere orribilmente
mutilato. Era lui.
Un ufficiale della polizia,
interpellato dall’organo di informazione “AsiaNews”, ha così commentato la
tragedia: «è la prima volta che mi trovo al cospetto di un simile assassinio».
Non riusciamo a narrare ciò che hanno fatto al povero Suneel, basti dire che
sarebbe accaduto lo stesso scempio se il giovane cristiano fosse stato
introdotto in un’arena di belve feroci, come facevano i persecutori dei primi
cristiani. Per le vie di Faisalabad si implora giustizia, ma la polizia
pakistana non ha nemmeno aperto un’inchiesta ufficiale. Fiumi di sangue sono
stati versati nei primi secoli, ancora tempeste di sangue nel XX secolo sotto
la tirannia comunista, quando la Chiesa si illuse che con il “dialogo”, ovvero
silenziando gli errori e le menzogne, fosse possibile il rispetto reciproco. Ed
oggi, nell’era della “libertà religiosa”, sono in tanti coloro che nel mondo
vengono perseguitati e uccisi.
Secondo il Cristianesimo, i
martiri (dal greco μάρτυς, “testimone”) sono quei fedeli che per diffondere il
messaggio evangelico sono incorsi in pene e torture, fino alla pena capitale,
sull’esempio del sacrificio di Cristo. La figura del martire è antitetica a
quella dell’apostata, di colui cioè che tradisce la Fede nel Vangelo. Oggi
l’apostasia è diffusa sia nel clero che tra i fedeli: si pensa di credere in
Cristo, spesso si ha realmente un sentimento religioso, ma la vita condotta e
gli insegnamenti impartiti ne sono antitetici. La dottrina e le sue
conseguenze, in molti ambienti, sono state cancellate.
Dal concetto di martire, in epoca
successiva alle persecuzioni, si è evoluto il concetto di santo. Ancora adesso
l’elenco di tutti i santi canonizzati è detto martirologio. Per un cristiano
autentico il martirio è una eventualità da considerare all’interno della
propria Fede. Per i primi cristiani dare la propria vita per Cristo era l’unico
modo possibile per contraccambiare il Salvatore degli uomini, che aveva offerto
sull’altare del Calvario tutto il suo dolore, fino al martirio.
Sant’Ignazio di Antiochia arriva
ad implorare gli altri cristiani a non intercedere presso l’imperatore per
salvargli l’esistenza. In molte passio il martire va spontaneamente al
sacrificio anche avendo la possibilità di evitarlo. Con il termine delle
persecuzioni, la ricerca del martirio come dimostrazione di Fede tende a
diminuire, sostituita dalla ricerca della santità. Ancora di san Martino (IV
secolo), primo non martire ad essere considerato santo, si dice, nell’Ufficio
composto per la sua festa: «anima beata, se la spada non ti ha colpito non hai
perso la gloria del martirio», quasi a scusare il fatto che non abbia subito la
pena del supplizio.
Nel Concilio Vaticano II si è
spostato il baricentro: dalla tolleranza religiosa si è passati alla libertà
religiosa con il risultato pratico che la Cristianità è continuamente
minacciata, mentre le altre religioni propagano le loro idee come meglio
credono, con orgoglio e disinvoltura. Oggi siamo costretti persino ad udire
vescovi “cattolici” che salutano l’arrivo e la fine del Ramadan… a tanto siamo
arrivati. La libertà religiosa è un evidente prodotto-trappola, sorto da quel
liberalismo, dalla maschera buonista, che ha seminato micidiali errori fra i
cattolici.
Valgano per il nostro fratello in
Cristo, il battezzato Suneel Masihle, queste affermazioni: «non vi
meravigliate, fratelli, se il mondo vi odia. Noi sappiamo che siamo passati
dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella
morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun
omicida possiede in se stesso la vita eterna. Da questo abbiamo conosciuto
l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la
vita per i fratelli. (…). Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma
coi fatti e nella verità» (1Gv. 3, 13-18). (Cristina Siccardi)
Nessun commento:
Posta un commento