martedì 4 settembre 2012


Il martirio in Pakistan di Suneel Masih, il 30 agosto 2012, http://www.corrispondenzaromana.it

(di Cristina Siccardi) Si chiamava Suneel Masih e aveva 14 anni. È stato assassinato in Pakistan per la sua Fede in Cristo. Era orfano, viveva a Faisalabad con i suoi parenti e frequentava la quinta classe. Il 19 agosto si era recato in un negozio del Liberty Market per acquistare una maglietta e poi non è più rientrato a casa… Due giorni dopo, gli agenti della polizia, durante le ricerche del ragazzo, hanno rinvenuto in un’area industriale isolata un cadavere orribilmente mutilato. Era lui.

Un ufficiale della polizia, interpellato dall’organo di informazione “AsiaNews”, ha così commentato la tragedia: «è la prima volta che mi trovo al cospetto di un simile assassinio». Non riusciamo a narrare ciò che hanno fatto al povero Suneel, basti dire che sarebbe accaduto lo stesso scempio se il giovane cristiano fosse stato introdotto in un’arena di belve feroci, come facevano i persecutori dei primi cristiani. Per le vie di Faisalabad si implora giustizia, ma la polizia pakistana non ha nemmeno aperto un’inchiesta ufficiale. Fiumi di sangue sono stati versati nei primi secoli, ancora tempeste di sangue nel XX secolo sotto la tirannia comunista, quando la Chiesa si illuse che con il “dialogo”, ovvero silenziando gli errori e le menzogne, fosse possibile il rispetto reciproco. Ed oggi, nell’era della “libertà religiosa”, sono in tanti coloro che nel mondo vengono perseguitati e uccisi.

Secondo il Cristianesimo, i martiri (dal greco μάρτυς, “testimone”) sono quei fedeli che per diffondere il messaggio evangelico sono incorsi in pene e torture, fino alla pena capitale, sull’esempio del sacrificio di Cristo. La figura del martire è antitetica a quella dell’apostata, di colui cioè che tradisce la Fede nel Vangelo. Oggi l’apostasia è diffusa sia nel clero che tra i fedeli: si pensa di credere in Cristo, spesso si ha realmente un sentimento religioso, ma la vita condotta e gli insegnamenti impartiti ne sono antitetici. La dottrina e le sue conseguenze, in molti ambienti, sono state cancellate.

Dal concetto di martire, in epoca successiva alle persecuzioni, si è evoluto il concetto di santo. Ancora adesso l’elenco di tutti i santi canonizzati è detto martirologio. Per un cristiano autentico il martirio è una eventualità da considerare all’interno della propria Fede. Per i primi cristiani dare la propria vita per Cristo era l’unico modo possibile per contraccambiare il Salvatore degli uomini, che aveva offerto sull’altare del Calvario tutto il suo dolore, fino al martirio.

Sant’Ignazio di Antiochia arriva ad implorare gli altri cristiani a non intercedere presso l’imperatore per salvargli l’esistenza. In molte passio il martire va spontaneamente al sacrificio anche avendo la possibilità di evitarlo. Con il termine delle persecuzioni, la ricerca del martirio come dimostrazione di Fede tende a diminuire, sostituita dalla ricerca della santità. Ancora di san Martino (IV secolo), primo non martire ad essere considerato santo, si dice, nell’Ufficio composto per la sua festa: «anima beata, se la spada non ti ha colpito non hai perso la gloria del martirio», quasi a scusare il fatto che non abbia subito la pena del supplizio.

Nel Concilio Vaticano II si è spostato il baricentro: dalla tolleranza religiosa si è passati alla libertà religiosa con il risultato pratico che la Cristianità è continuamente minacciata, mentre le altre religioni propagano le loro idee come meglio credono, con orgoglio e disinvoltura. Oggi siamo costretti persino ad udire vescovi “cattolici” che salutano l’arrivo e la fine del Ramadan… a tanto siamo arrivati. La libertà religiosa è un evidente prodotto-trappola, sorto da quel liberalismo, dalla maschera buonista, che ha seminato micidiali errori fra i cattolici.

Valgano per il nostro fratello in Cristo, il battezzato Suneel Masihle, queste affermazioni: «non vi meravigliate, fratelli, se il mondo vi odia. Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna. Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. (…). Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità» (1Gv. 3, 13-18). (Cristina Siccardi)

Nessun commento:

Posta un commento