"L'infinitamente piccolo trasformerà i robot e li renderà simili a
noi" - La Stampa, 12 Settembre 2012, http://www.swas.polito.it/
L'EVENTO/2
Muscoli e pelle per
"iCub" all'Iit di Genova
Se da robot di ferro e rame
diventeranno umanoidi amichevoli, morbidi, flessibili e prossimi agli archetipi
naturali, molto si dovrà alle nanotecnologie. E ai materiali di nuova
concezione, che stanno imparando a simulare caratteristiche e qualità della
pelle e dei muscoli. La metamorfosi è iniziata e al meeting di Venezia la
racconterà Giulio Sandini, direttore del dipartimento di Robotica e Scienze
Cognitive all'Iit, l'Istituto italiano di tecnologia di Genova. «Qui - racconta
- abbiamo messo insieme tre ingredienti-base: i nuovi materiali, appunto, le
neuroscienze e le tecnologie robotiche». Professore, quali dei vostri sogni di
ingegneri e scienziati realizzerà il nanotech? «Un obiettivo è quello degli
"attuatori". Sono i motori con cui far muovere i futuri robot e che dovranno
possedere caratteristiche di elasticità e plasticità simili ai muscoli». E la
pelle? «E' uno degli ultimi sviluppi della creatura che ha reso famoso il
nostro laboratorio, il bambino-robot "iCub": ora ha una
"pelle" che ricopre mani e torace. E' un elemento importante, perché
rappresenta un canale sensoriale ulteriore, con cui impara, esplorando il
proprio corpo e l'ambiente». Com'è fatta? «Di microcircuiti "rigidi",
ricoperti di silicone e tessuti. Ma l'obiettivo futuro è quello di realizzare
tessuti flessibili che incorporano i microsensori». E intanto volete
insegnargli a camminare, giusto? «Sì. Finora gattonava, ma stiamo completando
la progettazione delle gambe e sviluppando la capacità di mantenere
l'equilibrio». Perché siete partiti da una creatura-cucciolo? «Perché è
l'incarnazione di una creatura che cresce e impara, come noi». Lei sostiene che
i robot diventano modelli di noi stessi: che cosa significa? «Che utilizzeremo
robot e intelligenza artificiale per capire come siamo fatti noi e come
pensiamo. E' il motivo per cui robotica e neuroscienze sono sempre più
intrecciate». E in pratica che cosa rende simile «iCub» a un umano? «Alla
"tecnologia fisica" si affianca la "tecnologia mentale":
stiamo accentuando le sue capacità di apprendimento e comprensione del parlato,
oltre che l'abilità di riconoscere l'effetto delle proprie azioni. Al centro
c'è un concetto noto come "affordance"». Ce lo spiega? «Rappresenta
l'insieme delle funzioni che assume un oggetto e che un essere intelligente
scopre gradualmente, manipolandolo. Così un sasso può essere usato per rompere
una noce o piantare un chiodo. Si tratta di proprietà variabili, legate meno
alla forma e più all'uso, e quindi prodotte da quelle scintille che definiamo
intelligenza». Per suscitare questi lampi a quali software ricorrete? «Agli
algoritmi di apprendimento: il programmatore dà un compito, per esempio
un'azione specifica, e il robot ne esplora le possibilità e impara ad eseguirla
attraverso tentativi ed errori». Ma lei crede al replicante alla «Blade
Runner»? «E' un obiettivo possibile, anche se, finora, nessuno ha provato a
tradurlo in realtà: un motivo è che, accanto all'intelligenza artificiale, la
robotica si è limitata a sfruttare materiali esistenti senza avere la
possibilità - come dicevo prima - di studiarne di nuovi. Ora, però, si è capito
che un corpo umanoide è indispensabile per lo sviluppo di macchine intelligenti
in grado di interagire con noi». Il motivo? «Gli umani collaborano perché si
immedesimano gli uni negli altri: se vogliamo robot con capacità paragonabili,
devono assomigliarci. Allora si potrà immaginare di costruire una creatura che
sa passarmi il cacciavite, non appena vede che prendo una vite». Crede più ai
robot «lavoratori» o «amici»? «Rivestiranno entrambi i ruoli. Già oggi accade
qualcosa di simile con lo smartphone».
Giulio Sandini Ingeg nere
RUOLO: È DIRETTORE DEL
DIPARTIMENTO DI ROBOTICA E SCIENZE COGNITIVE ALL'IIT (L'ISTITUTO ITALIANO DI
TECNOLOGIA DI GENOVA) E PROFESSORE DI BIOINGEGNERIA ALL'UNIVERSITÀ DI GENOVA
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