Norme salde, nonostante i racconti mediatici - Pioggia di bugie sulla
legge 40, Assuntina Morresi, 6 settembre 2012
Una pioggia di bugie ci ha
investito dopo che la legge 40 sulla fecondazione assistita è tornata agli
onori della cronaca con il pronunciamento arrivato la scorsa settimana da una
sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo. Tralasciando la vecchia, noiosa
e falsa accusa di essere "cattolica" (la dottrina cattolica non
consente la fecondazione in vitro, punto e basta), abbiamo letto che la 40
sarebbe stata «bocciata 17 volte in 8 anni», «smantellata», «ridotta a
brandelli» dai tribunali italiani, e che avrebbe prodotto tanti guasti, meno
bambini nati e più gravidanze a rischio e chi più ne ha più ne metta, in un
crescendo di ignoranza (forse) e malafede (certamente) che ha prodotto, a
essere buoni, una marea di parole in libertà. In realtà la legge 40 nella sua
ratio nonostante gli attacchi furiosi –- non solo ideologici, ma anche per
forti interessi economici – è rimasta esattamente così come è stata approvata
dal Parlamento, nel 2004, e confermata dal referendum dell’anno successivo,
clamorosamente perso dai suoi detrattori.
La sola modifica è quella del
2009 della Corte Costituzionale, con cui si è eliminato il limite massimo dei
tre embrioni da trasferire in un unico e contemporaneo impianto, ma
l’orientamento della legge è rimasto immutato. I giudici costituzionali, cioè,
non hanno indicato una cifra migliore, differente (uno, due o quattro) ma hanno
detto che quel numero va stabilito caso per caso dal medico, fermi restando
tutti gli altri criteri: gli embrioni formati sono solo quelli «strettamente
necessari» alla procreazione, non possono essere distrutti né selezionati,
resta il divieto all’eterologa. Sono rimaste insomma tutte le tutele che hanno
impedito che il nostro Paese divenisse mèta di chi fa commercio di liquido
seminale, ovociti ed embrioni e di chi lucra sulle maternità surrogate (utero
in affitto).
Sarebbe bene prendere anche atto
delle conseguenze negative dell’intervento della Consulta: dopo l’applicazione
della sentenza l’aumento delle gravidanze è rimasto lo stesso di quello degli
anni precedenti, mentre gli embrioni crioconservati sono cresciuti di oltre il
2.000% (proprio duemila, non è un errore di stampa), sono diminuite le
procedure di crioconservazione degli ovociti (una tecnica di avanguardia, in
cui il nostro Paese primeggiava), e i parti trigemini sono il doppio di quelli
della media europea, nonostante l’eliminazione del limite massimo dei tre
embrioni, da sempre imputato come responsabile dell’elevato numero di
gravidanze gemellari. Cioè: nonostante i centri di fecondazione abbiano formato
e crioconservato embrioni in abbondanza, i parti trigemellari sono calati poco
(dal 2.7% del 2008 al 1.9% del 2010) , e rimangono comunque due volte tanto
quelli della media europa (1.0%): l’ennesima dimostrazione che quei valori
elevati non dipendono dalla legge 40, ma dalle procedure seguite in tanti centri
italiani.
A meno di ammettere che la media
europea è sottostimata perché altrove si pratica la «riduzione embrionaria»,
cioè gli aborti selettivi di alcuni embrioni in utero, quando sono
"tanti": forse è questo il fatto che rende bassa la percentuale di
parti plurigemellari in Europa? Comunque la si consideri l’unica modifica della
legge 40 ne ha peggiorato gli esiti, che erano positivi – per chi si è rivolto
a queste tecniche – fin dalla sua approvazione: anno dopo anno gli accessi ai
trattamenti erano sempre aumentati, così come le gravidanze e i nati vivi, e si
sono drasticamente ridotte le complicanze da iperstimolazione ovarica, queste
sì, molto al di sotto della media europea. Una correzione dei risultati
negativi della sentenza del 2009 potrebbe venire dalle linee guida della legge
40, già approvate dal Consiglio superiore di sanità, che aspettano da tempo
solo la firma del ministro. In quel testo viene richiesto ai medici, tra
l’altro, di riportare in cartella clinica la giustificazione sul numero di
embrioni che vengono formati, trasferiti ed eventualmente crioconservati: non
c’è altro modo di monitorare l’applicazione della 40 dopo l’unica modifica
della legge.
Il ricorso alla Grande Chambre
che si profila in questi giorni è la difesa, doverosa, della legge che ha
meritoriamente posto fine all’era di provetta selvaggia. Legge approvata dal
Parlamento, confermata da un referendum, consolidata nella sua applicazione, e
calunniata da detrattori con scarsità di argomenti ma, purtroppo, abbondanza di
spazio nei media.
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